venerdì 14 ottobre 2016

IL MITO DELL'ALTALENA... di Raffaele K. Salinari





«Luce luce lontana, più bassa delle stelle, quale sarà la mano che ti accende e ti spegne? 
Ho visto Nina volare tra le corde dell’altalena, un giorno la prenderò come fa il vento alla schiena…». 
Così Fabrizio De Andrè poetizza, e dunque rinnova, una vecchia storia: quella di Erigone, la vergine sposa di Dioniso trasformata poi in costellazione, che fondò il mito dell’altalena.

Ma che senso ha ricercare queste ascendenze arcaiche, richiamare i significati sacri, gli usi visionari? In fondo l’altalena è solo un gioco, un innocente passatempo per bambini che però, qui sta l’arcano, mai lascia indifferenti, sempre turba l’anima in modo inspiegabile. Forse è perché viene da un tempo lontano, quando le distanze tra l’umano e il divino non erano, come oggi, incommensurabili, e quel gioco simboleggiava la loro congiunzione: una pratica estatica, per rigenerarsi al cospetto della zōḗ.
Nell’antica Grecia zōḗ significava Vita, senza nessuna caratterizzazione ulteriore e senza limiti: esistenza incondizionata. E questa zōḗ, che non ha contorni e neppure definizioni, ha il suo sicuro opposto in thánatos, la morte. Ciò che in zōḗ risuona in modo certo e chiaro è «non morte»: qualcosa che non la lascia avvicinare a sé; da questo Bataille vedrà nell’erotismo l’affermazione della Vita sino dentro la morte.
Rileggere un mito, in realtà, significa renderlo attuale; Schelling dice che nulla di ciò che è, e di ciò che diviene, può essere e divenire senza che un’altra cosa contemporaneamente sia e divenga, poiché all’interno della natura stessa non esiste nulla di originario, nulla di assoluto e per sé stante: gli atti di culto che hanno preceduto quelli attuali non erano semplici gesti di superstizione dovuti all’ignoranza dei fenomeni naturali, ma creazioni possenti generate da questa consapevolezza.

La vertigine e la maschera
L’altalena è dunque un gioco originariamente sacro, ma che tipo di gioco è? Secondo Roger Caillois nel suo La vertigine e la maschera, essa risponde al principio dell’Ilinx, della «vertigine»: l’ebbrezza che strappa al mondo razionale e mette, seppur per un solo momento, sull’orlo dell’imponderabile, esposti alla visione del gorgo – questo significa in greco la parola Ilinx– nel quale gorgogliano le forze che governano il mondo senza che le si possa mai governare.
Ancora e sempre l’attrazione per la «vertigine» resta una necessità della vita psichica; anche se la civilizzazione odierna l’ha voluta confinare in luoghi separati – come i Luna Park nei quali l’ebbrezza “normalizzata” non deve aprire le porte all’incontro con le forze della natura – una libera e semplice altalena, con il suo movimento “lunare”, ciclico, può generare un fugace incontro con l’Intelligenza della zōḗ.

Perché il cielo, ed il mondo sotto di esso, si muovono con movimento circolare? Si chiede l’egizio Plotino nelle Enneadi, e lui stesso risponde: perché imitano l’Intelligenza.
E il movimento circolare, prosegue il filosofo: «È un movimento della coscienza, della riflessione, e della vita che ritorna su se stessa, che non esce mai da sé e non passa ad altro, appunto perché deve abbracciare tutto in sé. Ma non l’abbraccerebbe se rimanesse immobile, né avendo un corpo, manterrebbe in vita le cose che contiene: infatti la vita del corpo è movimento. Sicché il movimento circolare risulta composto del movimento del corpo e di quello dell’anima, e siccome il corpo si muove per natura in linea retta, e l’anima lo trattiene, dai due deriva quel movimento che ha del movimento e della quiete».
E allora, nessun gioco come l’altalena può simboleggiare meglio la visione di un corpo e di un’anima uniti nel generare questa combinazione di quiete e movimento che riflette, sul piano del microcosmo umano, l’Intelligenza stessa che ordina ed abbraccia il Cosmo.
«Io, se non lo sapete figliuoli, vi ho data vita per mezzo della voluttà e del moto» dice la Venere rinascimentale e neoplatonica di Marsilio Ficino, divinità della Vita che genera altra vita secondo «voluttà e moto»; principio femminile che fornisce alla zōḗ quell’animazione caratterizzante propria delle vite particolari: le singole bíos.

Venere, «anima del Mondo» secondo Plotino, agisce dunque attraverso il moto ondeggiante che il suo paredro, Eros, suggerisce ai corpi. E come non associare queste caratteristiche alle sensazioni eccitanti, erotiche, che proviamo in altalena: la voluttà sensuale evoca il suo moto, il suo moto ondeggiante porta seco la voluttà.
Ma questa sensualità, l’erotismo del dondolio, arriva a noi dalla trasformazione di un gioco – l’altalena – che antichi miti descrivono come simbolizzazione della morte; per questo il nesso tra morte ed erotismo sfugge a chiunque non ne veda il senso religioso! Inversamente, il senso delle religioni sfugge a chiunque trascuri il legame che esso presenta con la morte e l’erotismo.
Estendere la trama delle analogie significa essere sostenuti, nella nostra ricerca, dalla tela della realtà; questa preziosa unità analogica potenzia il nostro essere nel Mondo.
Un obiettivo esistenzialmente ed essenzialmente politico dunque, poiché questi termini sono aspetti di uno stesso divenire, di una potenza dell’esserci che manifestiamo attraverso la nostra singolarità pienamente dispiegata.


Il mito greco: Erigone
Ecco, allora, il mito delle origini: un pastore di nome Icario ricevette da Dioniso il segreto del vino. Di questo nettare egli fece dono ai suoi colleghi pastori che, credendosi avvelenati, lo uccisero. La fedele cagna Maira corse a cercarne la figlia Erigone che, di fronte al cadavere del padre, lanciò una maledizione prima di impiccarsi per il dolore: da quel giorno, nella ricorrenza del suo gesto, tutte le vergini si sarebbero impiccate sino a quando gli assassini del padre non fossero stati trovati ed il suo sacrificio espiato.
E così andò; di fronte a quel susseguirsi di impiccagioni verginali gli abitanti di Atene si rivolsero all’oracolo delfico, che sentenziò la necessità di inventare un gioco che potesse simboleggiare l’impiccagione senza causare la morte. Così nacque il rito dell’altalena.
Ma, per comprendere appieno il mito, dobbiamo situarlo all’interno della sua evoluzione: le storie non vivono mai vite solitarie, sono inserite in un grande albero del quale dobbiamo ritrovare le radici attraverso i rami.
Il fondamento storico cultuale sul quale si basa questa ricostruzione del rito tratto dal mito risale ad un’epoca molto più remota: alla taurocatapsia minoica in onore della Grande Dea mediterranea. Il salto tra le corna del toro, infatti, simboleggiava il moto oscillante dell’altalena sulla quale stava seduta la Dea, mentre l’animale era una sua ipostasi teriomorfa.
A riprova di ciò, nella zona che circonda il palazzo di Aghia Triada, presso Phaestos, venne trovata una statuina di terracotta, risalente al XVI secolo a.C., che rappresenta una figura femminile che si dondola in altalena. Il luogo di rinvenimento era un piccolo reliquiario e la statuetta, sormontata da due uccelli che stanno per spiccare il volo, forse mediatori tra il mondo dei mortali e quello degli dei, evoca, all’interno dell’arte minoica, l’ipostasi della divinità che, in questa cultura, significa l’altro da sé, lo «spettatore divino».
A Malthi in Messenia e a Mari in Mesopotamia si trovarono altre due statuette della Dea, risalenti allo stesso periodo, seduta e approntata per la sospensione.
Una figura femminile in trono che doveva essere destinata a dondolarsi la troviamo anche in un santuario della dea babilonese Ninhursag, risalente al III millennio a.C., come pure in varie parti della Grecia sono state rinvenute figure preistoriche che, come gli oscilla romani, erano destinate allo stesso scopo.

Alle origini, dunque, la sfera del mito e del suo rito appare molto più ampia e decisamente meno tinteggiata di toni oscuri rispetto al mito greco, essendo certamente presente il tema della morte ma, più ancora, quello della rinascita.
E di morte e rinascita parla il simbolo più conosciuto di Cnosso, il regno della Grande Dea: il labirinto. «Una grande figura femminile della cerchia dionisiaca apparve su una tavoletta di Cnosso, in un contesto di poche parole senza nomi; e tuttavia fu il primo personaggio divino della mitologia greca che poté essere immediatamente conosciuto […] è la Signora del Labirinto: essa deve essere stata una Grande Dea. […] Socrate, nel dialogo che Platone pubblicò con il titolo di Eutidemo, nominò il labyrinthos e lo descrisse come una figura in cui è facilissimo riconoscere una linea a spirale o a meandro che si ripete all’infinito. […] Sia la spirale sia il meandro vanno intesi come percorsi che si fanno involontariamente avanti ed indietro, se si continua a seguirli»; così ci dice Kerényi nel suo Dioniso.

E «Io sono iltuo labirinto… », dirà Dioniso ad Arianna nella poesia di Nietzsche. Arianna «moglie di Dioniso», come dice Euripide nell’Ippolito, è una divinità lunare, legata alla parte umbratile dell’esistenza, come Persefone e Demetra.
Su alcune monete di Cnosso la troviamo raffigurata su una faccia, mentre su quella opposta compaiono i meandri del labirinto con iscritta una falce di luna. Questa sua caratteristica affinità con la costruzione dedalica le consentirà di orientare Teseo, ma anche di identificarsi con il movimento dell’altalena, che riproduce le fasi lunari nel loro continuo mutamento: come i meandri del labirinto.
Le tre fasi della luna si riflettevano anche nella figura della Grande Dea come vergine, ninfa e vegliarda. Altra identificazione fu quella che vedeva la vergine associata all’aria, la ninfa alla terra e la vegliarda al mondo infero.
Queste letture gettano luce anche sulla modalità della morte di Arianna, o di una delle sue morti, quella per suicidio mediante impiccagione, che la identificherà poi con Erigone. Il mito, in questo caso «esistenziale» – come lo storico delle religioni Raffaele Pettazzoni definiva quelli che simbolizzano le fasi della vita – non va separato dal rito che lo richiama e lo attualizza.
E allora possiamo pensare all’altalena come ad un gioco che “svolge” il labirinto; una sorta di trasformazione del percorso terrestre, forse in origine una danza, in moto pendolare: la traiettoria, che richiama la falce di luna, ne risolve i meandri in eterne oscillazioni.
Luna ed altalena divengono così le facce di una metafora aerea che richiama le fasi di una perenne ricerca interiore, mai terminata, inesausta; una prova continua, a tratti mortale, che sembra tornare incessantemente al punto di partenza, e della quale il labirinto è sempre stato il simbolo più immediato.
Anche nei Misteri di Eleusi le danze labirintiche rappresentavano il cammino dell’anima verso la sua liberazione; i motivi a meandro, presenti in maniera ubiquitaria in ogni tempo e luogo, sono un simbolico riferimento alla zōḗ non passibile di interruzioni. Seguendo queste suggestioni capiamo perché nel palazzo di Cnosso il corridoio dal soffitto a meandri conduce verso la principale fonte di luce della costruzione, chiara simbologia della rinascita.


Dioniso e l’altalena
Questi riferimenti iniziali ad Arianna, ed al labirinto come percorso ripetitivo, un «avanti ed indietro», servono ad inquadrare le ascendenze dionisiache del mito fondatore: la storia di Erigone, l’«Arianna di Ikarion» che diverrà la prima baccante, vergine e amante del dio; una delle tante personificazioni della Grande Dea che, all’inizio della storia mediterranea, presiedeva al rinnovamento eterno della Vita.
E allora entriamo più a fondo nel mito greco che, per primo, come tutti i miti, ci descrive la festa delle altalene, e facciamolo guardando al firmamento, alla costellazione celeste in cui è fissato per sempre. Se l’andare in altalena è un riferimento polare nel cielo microcosmico delle nostre immagini archetipiche, è naturale che abbia un corrispettivo proprio nella costellazione che ci narra la sua storia: la Vergine o, in altre versioni, Sirio.
Nel mito, ripreso da Eratostene, Sirio appare come la cagna Maira, la “scintillante”, un nome proprio per una tale stella.
È la «luce lontana» che si vede in inverno cui fa riferimento De Andrè nella sua canzone Ho visto Nina volare, dove il mitologema dell’altalena viene ripreso in ogni suo aspetto.
È questa cagna, poi trasformata da Dioniso in luminoso astro, che troverà il cadavere di Icario, l’eroe del dêmos di Ikarion, al quale il dio aveva deciso di far dono del vino. Ma, come spesso accade nelle relazioni diseguali tra uomini e dei, nell’asimmetria che vige tra la finitezza dell’umanità e l’indifferenza delle divinità – direbbe Varrone: parchissime di misericordia – il segreto procedimento si rivela, per il suo portatore, una maledizione.
Icario, infatti, viene ucciso dai suoi amici – mandriani dei boschi di Maratona presso il monte Pentelico – poiché accusato ingiustamente di averli avvelenati proponendo loro di gustare il nettare senza tagliarlo con l’acqua, come Enopione più tardi consigliò di fare. Dioniso dunque, il dio che muore e rinasce, protagonista della tragedia greca, signore dellazōḗ, è all’origine del mito greco dell’altalena, che a lui sarà legata anche da altre pratiche tutte riconducibili all’essenza del «dio dell’ebbrezza», quella situazione particolare di «vortice» del quale il vino è l’araldo.
Gli antichi mitografi, quelli precedenti Eratostene, dicono che dopo l’uccisione di Icario da parte dei pastori che si credevano avvelenati, la cagna Maira, fedele compagna dell’emissario dionisiaco, torna da sua figlia Erigone per avvertirla della tragedia paterna. Comincia così l’angosciante erranza della ragazza alla ricerca del corpo amato, un topos che include, tra molti altri, la ricerca del cadavere smembrato di Osiride da parte della sorella-amante Iside.
Significativa prefigurazione di quello che sarà lo strumento simbolico che libererà le vergini attiche dalla sua maledizione, l’altalena appunto, Erigone, «copiosa figliolanza», traduce il suo nome Graves, oppure «nata all’alba» – tutti appellativi che la includono in uno degli aspetti della Grande Dea – viene, nei miti più antichi, chiamata Alêtis, l’errante, con riferimento non solo all’errabonda e disperata ricerca del cadavere, ma anche al suo carattere lunare, di perenne mutazione astrale.

La luna e la morte – aspetti della Grande Dea – si sovrappongono alla figura di Erigone sulla sua altalena, così come lo sbocco del mito sarà verso la rigenerazione e la vita.
Erigone erra dunque come la luna nel cielo, senza posa. A volte scompare, nera ed invisibile, minacciosa, come inghiottita dal mondo infero. Se per la civiltà greca Dioniso è oramai il dio della zōḗ, la vita senza caratterizzazioni, Erigone, figura epigona della Dea, ne è il principio animatore, caratterizzante: colei che dà l’anima alle bíos.
La zōḗ indifferenziata, infatti, cerca l’animazione: per caratterizzare le sue forme, le suebíos, ha sempre bisogno del principio femminile. Questo «fare anima» – mutuando la celebre espressione di Keats – è necessario alla zōḗ per trascendere il suo stadio seminale, totipotente ma indistinto, e trasformarlo in atto. Erigone, quindi, è il principium individiationis di Dioniso.
Qui la complementarietà simbolica tra le due divinità è evidente; si può dire che siano aspetti dello stesso Principio che si esprime attraverso attributi diversi; dalla relazione tra Erigone e Dioniso nascerà anche un figlio, Stafilos, che può essere inteso come la zōḗ che si rende carne: Stafilos morirà e risorgerà, come il dio stesso.
Anche con Arianna avviene tutto questo: una versione del mito ci narra della «Signora del Labirinto» che muore di parto e del figlio nato nell’Ade; una nascita mistica che riprende così il mitologema della Grande Dea che procrea la sua discendenza.
«E così Arianna divide con tutti coloro che appartengono a Dioniso un destino tragico e, coi più eletti di questi, anche la sua liberazione dall’Ade dopo la morte e la sua elevazione all’Olimpo», ci ricorda Otto.

In altre versioni del mito, narrate da Igino, Apollodoro ed Eliano, è Dioniso stesso che viene ucciso dai pastori, ed Erigone piange il suo sposo affetta da una forma di mania che la raffigura così come la prima baccante. Si impicca dunque ad un albero che potrebbe essere anche una vite scaturita dal corpo dell’amante; in tempi lontani questa sviluppava un vero e proprio tronco, ancora visibile in alcuni musei di storia naturale, come quello di Firenze.
Graves sostiene invece l’ipotesi del pino, nominato da Virgilio nelle Georgiche: lo stesso albero sotto il quale il frigio Attis fu castrato.
In altre narrazioni dal corpo del dio scaturirà la vite, e il suo sacrificio darà agli uomini il mezzo per raggiungere l’ebbrezza, attraverso la quale egli tornerà ogni volta a rinascere, continuando così il ciclo della Vita.
Erigone dunque, come nel mito di Iside e Osiride, termina il suo vagare al ritrovamento del corpo del padre o amante, Icario o Dioniso, che l’antica festa ateniese delle Anthestḗria – la festa dei germogli – faceva coincidere col Giorno delle Brocche (Choēs), nelle quali si trasferiva il vino per essere bevuto, ed in grandi paioli si cucinava la panspermia, una miscela di prodotti vegetali che esaltavano le forze vivificatrici della natura risorta. Lo stesso giorno le giovani vergini ricordavano il sacrificio di Erigone andando sulle altalene, leAiðra.
Era il momento in cui l’inverno volgeva alla fine ed i fiori cominciavano a spuntare dalla neve residua. Il verbo antheîn, che indica questo movimento floreale, dà appunto il nome alla festa, Anthestḗria, ed al suo mese, Anthestērin.
I versi di un ditirambo dicevano: «Ora è venuto il tempo, ora ci sono i fiori». Ma la scena del ditirambo non era l’Atene nei giorni della festa, bensì un richiamo ai fiori che Persefone stava cogliendo quando venne rapita da Ade, il signore del mondo infero. Ecco che torna, imperioso, il raccordo tra il gioco dell’altalena, la vergine impiccata, e la storia del dio che in questo periodo emerge dal mondo sotterraneo portando con sé anche le anime dei defunti ad abbeverarsi alle brocche col vino.
Le anime dei morti venivano chiamate díspioi: le assetate, e non di semplice acqua avevano sete, bensì del vino dei píthoi, i grandi recipienti di argilla aperti nel primo giorno della festa e dai quali il nettare dionisiaco veniva trasferito nelle brocche, nelle choēs, che davano il nome al terzo giorno delle celebrazioni.

Qui ci troviamo immersi pienamente in un’atmosfera frammista di ebbrezza e spiriti dei morti: dunque aperta al puro erotismo, ne dedurrebbe Bataille. Era questo delle Anthestḗria, infatti, anche il tempo in cui Dioniso, tornato dagli inferi, giaceva con le donne di Atene, tutte simboleggiate dalla Basilinna, la moglie dell’árchōn basileús.
In epoca romana lo stesso periodo veniva definito Mundus patet: il mondo infero restava aperto, seppure per pochi giorni, ma senza l’ebbrezza dionisiaca, e dunque senza l’erotismo della festa ateniese.
E così, il giorno delle brocche, le giovani andavano in altalena, in onore di Erigone; anche ai bambini era consentito dondolarsi, perché quel giorno essi imitavano tutto quanto accadeva pubblicamente nella grande festa. I giovani Kuroi bevevano il vino per la prima volta.
La relazione tra la morte e l’altalena dunque, come vediamo dal mito, è diretta: essa è un’attività comunque potenzialmente letale: per questo può simboleggiare la trasfigurazione simbolica della morte proprio a partire dalle sue intrinseche caratteristiche.
Il legame tra l’altalena e la morte rituale durante le celebrazioni dionisiache è anche dovuto all’indubbio carattere ctonio del dio poiché, come dice icasticamente Eraclito «Ade e Dioniso […] sono un’unica e medesima cosa», a sottolineare la cifra infera di una divinità legata, per metà della sua esistenza/ciclo, al mondo dei morti.
Ed infatti, durante le Anthestḗria risorgevano le anime dei defunti ma anche i keres, forme che veicolavano miasmi, influenze nefaste che dovevano essere purificate con katharmoi. L’ultimo giorno della grande festa, in conclusione di tutte le celebrazioni, nelle case venivano scacciate queste entità insieme alle anime dei defunti, oramai appagate dai culti a loro dedicati e dalle libagioni di vino, col grido «fuori i keres, sono finite le Anthestḗria!».
Ecco che, allora, come dice Otto, pienezza di vita e violenza di morte, ambedue sono in Dioniso egualmente misurate: nulla è attenuato, ma nulla è distorto.
Ma dove c’è Thanatos c’è anche Eros, e la festa delle altalene è impregnata di sensualità e di vera e propria sessualità, intesa e vissuta anche come momento problematico della vita muliebre, in cui avviene un passaggio non sempre facile a compiersi.

Ernesto De Martino, nel suo studio sui tarantolati, coglie appieno il legame tra fase puberale – dunque ancora “virginale” della vita femminile – e la stagione successiva, quella matrimoniale, con il corteo di pulsioni suicide legate al travaglio del momento.
La festa delle Aiðra assume dunque un connotato sessuale evidente, dato che il giorno dopo si celebravano le nozze della regina con Dioniso, e che la notte delle altalene era vista come preparazione a queste. In sintesi le vergini, identificandosi con Erigone, si preparavano esse stesse all’incontro col dio, proprio come la loro eroina aveva fatto all’origine del mito.
L’idea che qualcosa di altalenante servisse come scongiuro della cattiva sorte, auspicio beneaugurale, o come gesto di purificazione, la troviamo “imbalsamata” anche nel rito romano degli oscilla, che richiama il mito originario seppur “disumanizzato”.

Nel Libro II delle Georgiche (vv. 388 sgg.), infatti, compaiono questi versi oltremodo indicatori: «Et te, Bacche, vocant per carmina laeta, tibique oscilla ex alta suspendunt mollia pinu» (E te, Bacco, invocano con lieti carmi e in tuo onore appendono oscilla agli alti pini).
Il termine latino oscilla, da cui l’odierno «oscillazione», deriva da os-oris, bocca o più estensivamente faccia; probabilmente in origine un’effigie del dio stesso. Dunque è in onore di Dioniso, durante le Paganalia o le Sementivae faeriae, feste della semina, che vengono fatte dondolare queste immagini. Durante i Compitalia invece, feste in onore dei Lari, venivano appese figurine in legno che rappresentavano gli schiavi e i bambini della famiglia.
Nel periodo imperiale, infine, ogni casa aveva, sospeso tra i portici, un oscillum raffigurante varie divinità, sempre con una qualche ascendenza o correlazione dionisiaca. A questo proposito un oscillum molto ben conservato è visibile nella chiesa di San Clemente in Laterano a Roma, proveniente dal mitreo sottostante.


Maria e l’altalena
Anche la religione cristiana originaria assumerà caratteri dionisiaci, basti pensare a Gesù che si definisce «la vera vite» (Giovanni XV, 1-2) e come gli apostoli si debbano attaccare a lui «come grappoli al tralcio». L’anima cristiana si considerò, come l’orfica, serrata al corpo come in un sepolcro.
La teologia cristiana è in parte esoterismo dionisiaco: consideriamo soltanto la centralità del vino come simbolo di resurrezione. Ma, forse più essenziale ancora, è la relazione tra la Madonna, ciò che resta della Grande Dea nella concezione patriarcale cristiana, e Gesù, suo figlio, attraverso un rito che implica una oscillazione collettiva.
A Taranto, il Giovedì santo, la Madonna addolorata cerca il figlio morto nei sepolcri allestiti presso le varie chiese. Osservando la processione che la accompagna si notano subito i Perdoni che, a piedi scalzi, i volti coperti da un cappuccio (torna la maschera!), nazzicano, cioè si cullano – questo significa in dialetto la parola – assumendo questa camminata dondolante tutta la notte.
Anche chi porta la statua nazzica, come pure i fedeli tutti. Se si osserva lo sguardo della statua, oltre il velo nero (Eros e Thanatos) che lo adombra come fosse quello di una danzatrice del ventre – altra forma della maschera – si capisce che questo cercare non è dettato solo dal dolore, ma dalla volontà di dargli la possibilità di risorgere: è lei che fa rinascere il figlio.
Joseph Roth ne La cripta dei Cappuccini dice ad un certo punto: «Sempre una madre aspetta il ritorno di suo figlio, del tutto indifferente se questi se n’è andato in un paese lontano, in uno vicino o nella morte».

E questa attesa è un sentimento attivo, una forma di volontà, e produce una forza che tiene vivo il ricordo e dunque viva la persona.
Quando questa volontà viene esercitata da una moltitudine di persone diviene un atto di fede in grado di rigenerare la Vita.
Attis e Cibele, Dioniso e la Grande Dea attraverso la Basilinna nelle Antesterie… sono gli antecedenti divini del Cristo, così come Maria è ciò che ci rimane della Grande Madre.
L’ottica ecclesiale ovviamente capovolge polarmente la simbologia: il patriarcato cattolico ha voluto transustanziare la naturale rinascita della vita in quella della resurrezione eterna di un corpo morto, attribuendola al potere del Dio padre.
Ha spezzato così il nesso matriarcale tra vita, morte e rinascita, con la conseguenza evidente di far allontanare ancor più l’umanità da questo mondo e dal rispetto per la ciclicità dell’esistenza e di chi l’assicura: sotto la croce a deporre il Figlio è la Madre.
E dunque per il principio degli elementi costanti che regna nel mitologema della rinascita del figlio autogenerato da parte della Madre- essendo lo Spirito Santo emanazione di lei e non altro da lei – la lettura autentica del rapporto tra Maria e Gesù è chiara.
Questa non è una interpretazione eretica, ma solo l’evidenza della naturale evoluzione che parte dal rapporto tra la Grande Dea ed il suo paredro, prima figlio, dopo amante, poi in morte da Lei stessa fatto rinascere.
Se il femminile riprendesse le fila e rivoltasse in questo senso la tela della realtà simbolica cambierebbe radicalmente anche quella fattuale.

Una modesta proposta

Ecco, allora avanziamo, a mo’ di conclusione, una modesta proposta, partendo dalla domanda: dove sono finite le altalene oggi? Perché nei parchi pubblici ai bambini vengono proposte quelle squallide apparecchiature munite di cinture di sicurezza, con una escursione di poche decine di centimetri, basse ed impiantate su basi di grigio tartan? Come faranno questi bambini esperienza del loro volo immaginario? Dove incontreranno la «vertigine»? Quando potranno, con la coda dell’occhio socchiuso nel sorriso estatico del volo pericoloso, intravedere Dioniso bambino che spunta nella luce del sole?
La scomparsa delle altalene dai parchi pubblici è la prova provata della violenza crescente che il nostro modello di civilizzazione esercita sui bambini, ovviamente con la scusa della “sicurezza”. Privati del sensibile, essi si rifugeranno nell’insensibile, nel consumo senza soddisfazione, poiché è solo l’investimento emozionale che immettiamo nel gioco che lo rende libidicamente produttivo, soddisfacente; è il rischio della morte, e la sua visione, il vortice, che penetrano sino all’interno delle nostre ossa sino agli ultimi fondamenti del sangue, mentre oscilliamo pericolosamente, a rendere il gioco perfettamente dionisiaco, erotico, liberatorio e creativo.
Per ritrovare qualcosa del genere dobbiamo andare nei Luna Park contemporanei, in cui enormi aggeggi meccanici ci fanno provare sensazioni simili a quelle che una volta cercavamo sulla tavoletta sospesa tra i rami di un albero. Ma oggi, a differenza di quel tempo, l’illo tempore della nostra infanzia, i ragazzi sono imbragati, legati da camice di forza dentro macchine che fanno vivere, a pagamento, un fugace brivido che non è né estasi né paura. L’altalena dei parchi pubblici odierni, con i suoi edulcorati epigoni da Luna Park, sta dunque a quella alta ed infinita di un tempo come la pornografia d’accatto sta all’eros.

L’altalena vera, invece, evoca in noi un’energia che esige di essere immaginata. E non è forse questa sensazione di ricreare il futuro attraverso le immagini, di cui abbiamo bisogno per vivere l’infanzia? Di una «gioia incorporea che ha appena dato inizio alla sua corsa», come scrive Shelley? Immaginare significa innalzare di un tono il reale; la gioia dell’altalena, del corpo in altalena, riproduce nel microcosmo della nostra oscillazione ascensionale la stessa dinamica dell’universo in espansione.
Forse possiamo arrivare a pensare, chi scrive lo pensò molte volte, che se morissimo nel punto massimo di elevazione, il nostro corpo resterebbe li, sospeso nel cielo.



http://ilmanifesto.info/il-mito-dellaltalena/
http://www.cavernacosmica.com/il-solstizio-destate-e-san-giovanni-decollato/

7 commenti:

  1. CAttivo Master non hai fatto riferimento allo sminchiamento di questo archetipo fatto dal programma massonico "vertigo" XD
    GRazie per questo articolo molto interessante,consiglio la prossima volta di soffermarti sul "girotondo" e l'axis mundi :)
    A proposito...centra niente ma lo dico lo stesso XD l altroieri sono intervenuta nella scuola della mia città a un incontro sul adhd fatto da un comitato di famiglie favorevole alla somministrazione di farmaci ai bambini,spero di aver piantato un po di dubbi,i casi presentati non mi sembravano di vera adhd semmai casi di plusdotazione o vere e propri problemi genetici mal diagnosticati-es kilnfelter,prade willi...-
    purtroppo questa moda dell adhd si sta sempre diffondendo sempre più
    SOylentGReen
    ps fammi gli auguri che domani faccio gli anni XD

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  2. Non conosco VERTIGO programma, comunque auguri
    :-)

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  3. Master ma scusa è da miliardi di interventi che segnalo "vertigo gli abissi dell anima" e ancora non me lo analizzi XD?
    Grazie degli auguri. IL miglior regalo rimane sempre questo blog :)
    SoylentGReen

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  4. se può interessare, nella Medicina tradizionale cinese e anche, nelle Arti marziali cinesi [Basi], l'Equilibrio energetico corre su tre Movimenti: ondulatorio [come sull'Altalena!], vibratorio [Zigo zago <-- mi si perdoni il Linguaggio da Volgo], sussultorio [Saltelli], e quindi questo Articolo va benissimo, alla Prossima s'implementi, se si desidera, con Articoli sugli altri 2 Movimenti [e voglio immaginare che ne esistano forse altri, come le Dimensioni, che sono 3 (destra-sinistra, su-giù, avanti-dietro), ma anche 4 (incluso il dentro-fuori), e poi 5 eccetera]. Solarità interiore-esteriore ovunque-sempre e Felicità dentro-fuori, a tutti.
    IndoEuropean

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  5. Il nuovo spot di Air France.....sono tutti sull altalena. Strano sincronismo con la pubblicazione del tuo post. Forse dovremmo aspettarci qualcosa di strano in cui è coinvolto un volo della air france?....spero di no....

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  6. E' che sono temi alchemici e talvolta qualcuno ne parla o li utilizza.

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  7. Articolo GRANDIOSO.

    Lilith

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