lunedì 31 luglio 2017

IL CLUB DEI SUICIDATI: LE STRANE MORTI DI CORNELL E BENNINGTON...


Talvolta capita che famose star scompaiano nel peggiore dei modi, morte durante strani giochi sessuali, soffocate dal proprio vomito, per abuso di alcol e droghe, deceduti per gravi malattie, ricoverati in cliniche avveniristiche e poi svaniti nel nulla.
Talvolta capita che vengano ritrovati "suicidati", ufficialmente depressi e tossicodipendenti, per giustificare ai media il gesto fatale e tranquillizzare l'opinione pubblica. 
In realtà deceduti per curiosi contrappassi, vendette, moniti oscuri ed antichi adagi di sovrastrutture che contemplano nei loro piani e nei modus operandi la facoltà di punire, celebrare, ritualizzare attraverso una morte simbolica l'artista in questione.
Alcune di queste star pagano contratti di sangue faustiani ed in certi casi forse già sanno che l'antico adagio "Memento Mori" li aspetta al varco quando meno se lo aspettano; questi mondi particolari chiedono tributi di sangue attraverso contrappassi.
Sono usciti diversi articoli indipendenti riguardo a presunte testimonianze su ambienti pedofili che coinvolgerebbero personaggi illustri. Pare che i due cantanti volessero denunciare violenze su minori da parte della casta dello spettacolo, anche se non si comprende però in quale modo e con quale timing, perché proprio ora e con quale modalità.
Io credo che sia un ulteriore e raffinato livello di depistaggio mediatico, anche se il discorso pedofilia esiste eccome, ma come corollario della vicenda, come conseguenza di certi mondi, come prassi, ma forse in questo caso serve a spostare il bersaglio.
Kubrick e Polanski spiegano bene quali sono i mondi oscuri che manipolano l'arte, la musica ed il cinema, i quali senza "apparente motivo", chiedono tributi di sangue.
"Io ti ho creato e io ti ditruggo"... cit.
Poi su questo modello si innestano altri livelli con motivazioni più semplici e pratiche, per esempio chi ci specula sui dischi e sulla morte dei suoi artisti, il discorso dell'indotto mediatico e l'effetto domino che ne scaturisce, l'indurre all'assunzione di sostanze, malattie, depressioni che portano alla morte, ecc...
Probabile che nel loro caso la scomparsa sia da attribuire al fatto che veramente volessero denunciare una rete di pedofili, secondo alcuni addirittura è una banale casualità siano morti in maniera così simile, in quanto entrambi persone con problemi di dipendenze da stupefacenti e alcol. La vera causa non la sapremo mai, giusto e doveroso però contemplare altre possibilità, secondo noi assai più logiche.


Lo stesso Polanski ha messo in scena questo mondo almeno in 3 film in maniera chiara e palese (Rosmary's Baby, L'inquilino del 3° piano, la Nona Porta), pagando un tributo di sangue che forse si aspettava, quello della moglie morta curiosamente incinta dopo il film Rosmary's Baby, quasi un contrappasso di un successo che sarebbe avvenuto a breve; la storia del film è tratta da un romanzo di Ira Levin dei primi sessanta che influenzò molto i produttori che decisero in seguito di affidare lo script a Roman.
In quegli anni molti artisti musicali e cinematografici, oltre ovviamente a produttori del backoffice dello star system, facevano parte di Sette e mondi occulti generati ed eteropilotati talvolta da apparati dei servizi segreti per controllare, guidare e contenere la psicologia di massa che all'epoca si esprimeva in nuovi fenomeni sociali come la musica rock, pop, cinema ed un certo ambiente dell'arte.
Una di queste cellule era la PROCESS CHURCH, chiesa satanica che negli anni 60 faceva da ponte essoterico tra vip di ogni estrazionee mondi ancora più occulti, soprattutto legati all'ambiente militare, pionieri del controllo mentale.
Lo stesso Polanski per aver osato mettere in scena certi suoi film ha pagato e paga un contrappasso ancora oggi. Quello dell'accusa di pedofilia, quindi vive sul confine in una linea sottile, ben sapendo che non può andare oltre nello svelamento del Re, anche perché appartiene anch'esso a mondi occulti.
L' "L'inquilino del 3° piano", sempre di Polanski, seguito metafilmico di Rosmary's baby, anticipatore di certe tematiche visionarie che saranno successivamente di Linch, film che oscilla tra paranoia, suicidio, manipolazione mentale e mondi magici controiniziati, spiega molto bene come si possa spingere al suicidio una persona anche senza suicidarla direttamente e risultano più chiare certe dinamiche.
Il Club dei Suicidati non è ancora finito...


Segue riassunto tradotto di un articolo tra i tanti simili apparsi in USA sulla morte di Cornell e Bennington.
http://yournewswire.com/
Secondo quanto riferito, la polizia ha svolto un'indagine per omicidio sulla morte di Chester Bennington con il contributo degli insider, i quali credono sia estremamente probabile che il frontman dei Linkin Park sia stato ucciso in circostanze assolutamente simili al suo amico Chris Cornell.
I detective stanno cercando di capire se Chester Bennington sia stato ucciso attraverso una messinscena di un delitto simile ad un suicidio. Hanno messo in piedi un gruppo di investigatori e rifiutano di escludere che sia una serie di omicidi criminali.
"Gli omicidi sono talvolta fatti per sembrare suicidi. Pensiamo che sia stato ucciso, dobbiamo solo scoprire chi c'è dietro", ha detto una fonte di polizia.
L'ufficio dell'esaminatore medico della contea di Los Angeles ha confermato che l'icona nu-metal di 41 anni è stata trovata morta, ma ha rifiutato di fornire dettagli, con il capo dell'operazione dell'agenzia Brian Elias, rimanendo abbottonato sui rapporti mediatici del suicidio .
"Stiamo vagliando tutte le possibilità", ha detto.
Bennington, padre di sei figli e padrino del figlio di Chris Cornell, che ha cantato al recente funerale di Chris Cornell, dopo essergli stato vicino negli ultimi anni, riferisce di aver lavorato con la fondazione di Cornell per prevenire lo sfruttamento sessuale di bambini.
"Se penso a quando ero veramente giovane, quando sono stato molestato, quando tutte queste cose orribili stanno avvenendo intorno a me, io rabbrividisco", ha detto alla rivista metallica Kerrang! nel 2011.
Ora i ricercatori ritengono che le morti di Cornell e Bennington possano essere collegate.
I paralleli tra le due morti sono sorprendenti. Gli amici stretti, che stavano lavorando per esporre un elenco di notori pedofili appartenenti all'industria dello spettacolo, sono morti allo stesso modo; Bennington muore il giorno del 53 ° compleanno di Cornell.
La polizia crede che gli omicidi di Chris Cornell e Chester Bennington possano essere collegati.
Alcuni amici di Cornell dicono sia stato mostrato un "libro nero" che includeva il nome di uno dei suoi collaboratori professionali.
Dopo aver creato la sua fondazione ed aver indagato ulteriormente, Cornell era vicino a denunciare una rete di pedofili che lavoravano all'interno dell'industria dello spettacolo, un lavoro pericoloso che considerava come suo "dovere".
L'indagine ufficiale sulla morte di Chris Cornell è chiusa, ma la sua vedova ed i suoi fan sono insoddisfatti per la sentenza della polizia e degli esaminatori medici.
La polizia di Detroit ha concluso rapidamente le indagini e l'Ufficio di esame medico di Wayne County ha giudicato la morte per suicidio, ma i ricercatori affermano che le lacune inspiegabili nella timeline ufficiale dei momenti finali di Cornell e le incongruenze sospette nei registri suggeriscano che la morte di Cornell non sia affatto un suicidio, ma un omicidio premeditato per coprirne un altro.
L'investigatore Randy Cody punta a percepire le lacune della timeline, le domande di forensi sulle due ferite che Cornell aveva alla testa, non menzionate nei rapporti di autopsia.
Parlando a Detroit Free Press, ha riferito dell'audio di scansione della polizia di Detroit in cui si sente un medico che dice: "il paziente aveva una fascia di gomma attorno al collo, ciò può suggerire un possibile strangolamento, un trauma cranico ".
Cody chiede anche se i medici abbiano rotto davvero tante delle costole di Cornell nel tentativo di rianimarlo.
"Volete dire che questi medici hanno procurato nove fratture di costole (durante CPR)? Non lo comprendo ", ha detto Cody.




giovedì 27 luglio 2017

MOSTRO DI FIRENZE - PROTOCOLLO DELLA STRATEGIA DELLA TENSIONE


Pacciani come Bossetti, e pur essendo stato il vecchio toscano un noto criminale, all'epoca fu il perfetto capro espiatorio per interpretare anche il maniaco omicida delle coppiette, nonostante fatti e circostanze lo scagionavano in maniera plateale.
E come lui tanti sono finiti in galera per colpe non commesse, come sacrifici al Moloch di turno, e ci è toccato sentire per anni ed anni la vulgata moralizzatrice che puntava il dito sempre verso gli ultimi, contadini, spazzini, operai, muratori, studenti, casalinghe e poveri diavoli, mentre le caste dovevano egregoricamente e mediaticamente apparire sempre pulite, oneste e quindi vincenti rispetto alla plebaglia costretta ad interpretare ruoli di carnefici agli occhi della società.
In realtà SEMPRE E SOLO vittime, anche e soprattutto per colpa del sentimento popolare che solerte spinge affinché venga fuori un colpevole, meglio se simile a lui, perché un VIP troppo potente lo si deve poi confliggere, e ciò comporterebbe un salto quantico di coscienza di classe che richiede evidentemente troppo sforzo spirituale e morale. Più comodo spostare il bersaglio...

Articolo FONDAMENTALE quello uscito dall'ANSA e su alcuni quotidiani, non tanto per il contenuto che parla del coinvolgimento di un vecchio mercenario fascista nelle vicende del MDF, ma per il fatto che entra in scena direttamente il discorso della strategia della tensione e le vere motivazioni dietro a certi delitti passati, questo legittima la buona controinformazione che si prenda una rivincita sulle opinioni ingenuiste ed ufficialiste che puntavano il dito verso i soliti capri espiatori finiti in galera da innocenti, sacrificati per placare l'astinenza da rogo di masse incolte e reazionarie.
I giornali ovviamente si soffermano sul gossip ridicolizzando i fatti, omettono che il coinvolgimento del vecchio mercenario non è diretto, ma è importante come anello di congiunzione tra certi mondi di una terra di mezzo utilizzata dai servizi come candidati manciuriani e per depistare dai veri responsabili dei delitti e dalle reali motivazioni dietro certi crimini.
In questo senso è importante la notizia.
Gli omicidi mediatici del MDF sono stati un singolo episodio all'interno di una più vasta STRATEGIA DELLA TENSIONE, un protocollo di strategia della tensione come lo è anche, e questo verrà fuori più avanti, tutto il palinsesto degli omicidi mediatici degli ultimi anni, da Meredith a Cogne, Erba, Elisa Claps, Melania Rea, da Yara a Sarah Scazzi, fino Marco Prato compreso.
Da oggi la controinformazione avrà una legittimazione maggiore ad affermare la verità dei fatti e l'opinione pubblica, non conoscendo il linguaggio operativo rituale del sistema, sarà costretta ad aprire finalmente gli occhi e contemplare il backstage del potere in maniera meno infantile e dogmatica di un tempo, capendo infine di aver sempre creduto a specchietti per le allodole...
Tutta la paccottiglia sociologica scolastica, psicologica da rivista che indicava un mondo di serial killer, tutti quei disperati guru che per decenni hanno fatto spiegoni sulla mente malata di potenziali killer, in solo colpo vengono tutti zittiti, azzerati, un'intera cultura di criminologia nazional-popolare sconfitta da prendere a calci in culo dinnanzi all'evidenza dei fatti.
Lo scenario è quello più classico che noi da anni con coerenza, buon senso e logica avevamo sempre spiegato con dovizia di particolari, pazienza, documentando e cercando di inquadrare i fatti con giusta visione d'insieme.

Strategia della tensione di omicidi mediatici ai quali corrispondevano sempre step strutturali di eventi transnazionali, nazionali e economico-politici, esoterici, gestiti da avanguardie di reparti come GLADIO, P-2, Rosa dei Venti, ovviamente dall'estrema destra, la cui unica esistenza è stata quella di contemplare stragi, omicidi e terrore, essendo da sempre lo strumento principe del padronato turbo-capitalista e neo-aristocratico, oggi a livello globale sostituita dalla fantomatica ISIS, avanguardia sionista di UR-LODGES reazionarie occidentali che utilizzano candidati manciuriani fondamentalisti islamici come carne da macello e reparti di contractor per le operazioni più complesse.

Come il noto scrittore Giuseppe Genna narrava nel suo capolavoro NEL NOME DI ISHMAEL, meta-romanzo che descrive in maniera sublime la realtà occulta del potere, a determinati omicidi mediatici con relativi capri espiatori, corrispondono messaggi operativi in codice che appartengono a linguaggi militar-esoterici. Gli stessi studi in modalità diversa sono stati portati avanti negli ultimi 20 anni da Cosco, dalla Carlizzi e da Paolo Franceschetti che ha avuto il merito di ampliare certi concetti, espandendoli a diversi omicidi mediatici e raffigurando una strategia operativa che agisce anche a livello internazionale.
Sono gli stessi paradigmi che descriveva sapientemente ELIO PETRI nei suoi meravigliosi film denuncia, ma pure l'ultimo e più interessante PASOLINI, narrando come il potere costituito faccia omicidi anche apparentemente casuali per DIALOGARE in codice, addirittura multi omicidi che serviranno a comporre frasi che potranno essere usate militarmente come START di operazioni, omicidi che verranno dal sistema attribuiti successivamente a poveri cristi, i quali diventeranno i soliti capri espiatori che tutti voi ben conoscete e potete osservare in TV, strumento ed ORACOLO del plagio emozionale e della psicologia di massa.
La cosa importante da oggi non è tanto sapere chi sono stati i colpevoli o meno, i nomi ce li possiamo scordare. ma piuttosto quali mondi stanno dietro a certi delitti, mondi che la gente nega e che da oggi negherà un po' meno in quanto ufficializzati non da "noi complottisti", ma presentati a denti stretti dai media come possibilità reale e non dalla solita visionaria versione dietrologica.


Qui sotto il sunto dell'articolo dell'ANSA che apre nuovi scenari:
Per i delitti del mostro di Firenze ci sarebbe una nuova pista che legherebbe gli 8 duplici omicidi alla 'strategia della tensione', a una 'pista nera'. Il pm che ha sempre indagato sui delitti del mostro, Paolo Canessa, ora procuratore capo a Pistoia, avrebbe indagato secondo quanto scritto sui quotidiani locali, un ex legionario, Giampiero Vigilanti, 86 anni, residente a Prato. 
L'inchiesta sarebbe condotta in collaborazione con il procuratore aggiunto di Firenze Luca Turco. L'uomo, secondo quanto spiegato, conosceva Pietro Pacciani: come lui nel 1951 abitava a Vicchio, nel Mugello, quando quest'ultimo uccise l'ex rivale sorpreso con la sua ragazza. Vigilanti sarebbe stato sentito da Canessa più volte negli ultimi mesi e condotto nei luoghi dove vennero uccise le coppiette. Era già stato coinvolto marginalmente dalle indagini. La pista nera era stata già emersa 30 anni fa e poi ripresa dopo un esposto dell'avvocato Vieri Adirani, legale dei familiari di Nadine Mauriot, una delle vittime del mostro.
Ex legionario: 'Non ho paura, sono in regola' - "Non ho paura di niente, non ho fatto nulla". Così l'ex legionario Giampieri Vigilanti, l' 86enne al centro della nuova inchiesta sui delitti del 'mostro di Firenze' ai microfoni della Tgr Rai della Toscana. "Ho sempre avuto quattro pistole: sono venuti da me - dice riferendosi agli inquirenti - e poi se ne sono andati, quindi vuol dire che sono in regola". Quanto alla sua conoscenza con Pietro Pacciani "lo conoscevo io - ha risposto - come lo conoscevano tutti. Io sono a posto, sono in regola".

Qui sotto il sunto dell'articolo della NAZIONE:
Firenze, 26 luglio 2017 - Un ex legionario, originario del Mugello come Pietro Pacciani. Abile a sparare, appassionato di armi e frequentatore di poligoni. Legato agli ambienti dell’estrema destra e anche a quelli dei servizi segreti. Si racconta che organizzasse campi di addestramento sulla Calvana, negli anni della P2 e di Gladio. Adesso è ufficialmente sospettato di aver avuto un ruolo negli omicidi del mostro di Firenze. Trentadue anni dopo il delitto degli Scopeti, l’ultima delle otto coppiette trucidate con la solita, introvabile, Beretta calibro 22, c’è almeno un altro indagato per la storia che ha fatto conoscere al mondo il lato più oscuro del capoluogo toscano. I più attenti, si ricorderanno di Giampiero Vigilanti, classe 1930, perché lambito dalle indagini che poi virarono su Pacciani e i compagni di merende. Da diversi mesi, Vigilanti, ora residente a Prato, è sotto torchio. L’ex legionario, alto e forte anche oggi che ha 86 anni, è stato accompagnato nei luoghi dei delitti. Dice e non dice. Sembra però sapere. Molto, tanto che dalle sue parole, i carabinieri sono arrivati a perquisire anche un medico che vive in Mugello il cui grado di coinvolgimento è ancora da chiarire.

Ma questa silenziosa svolta nell’indagine tenuta ostinatamente aperta dal procuratore Paolo Canessa, con l’aiuto del collega Luca Turco, apre anche una inedita e clamorosa pista ‘nera’: delitti studiati a tavolino o cavalcati in ambienti eversivi per distrarre magistrati e opinione pubblica da ciò che accadeva nell’Italia della strategia della tensione. Il primo a indicare questa strada, a suon di esposti, è stato il legale della coppia di francesi uccisa nel 1985 agli Scopeti, l’avvocato Vieri Adriani. Ci sono sinistre vicinanze tra stragi e misteri di quel difficile periodo storico e i delitti del mostro. Il 4 agosto ’74 esplode la bomba sull’Italicus, il 14 settembre il mostro uccide a Sagginale Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore. Prima che il 6 giugno ’81 a Mosciano venissero massacrati Carmela Di Nuccio e Giovanni Foggi, imperversava la storia della loggia di Licio Gelli e c’era stato l’attentato al Papa, senza dimenticare la bomba a Bologna dell’80.

Il 23 ottobre ’81, il giorno dopo l’uccisione a Calenzano di Susanna Cambi e Stefano Baldi, c’era uno sciopero generale. Il giorno prima che Antonella Migliorini e Paolo Mainardi morissero sotto i colpi della calibro 22, era stato ritrovato impiccato sotto il ponte dei frati neri a Londra il banchiere Roberto Calvi. Il 9 settembre ’83 vengono ritrovati i cadaveri dei tedeschi Uwe Rusch e Horst Meyer: il 10 agosto precedente era evaso Licio Gelli dal carcere svizzero.
E, secondo la nuova chiave di lettura, non sarebbero casuali le vittime. La Pettini, era la figlia di un partigiano di Vicchio. Il giorno del delitto, ricorreva il trentennale della liberazione del Paese e alcuni dettagli fanno pensare a una esecuzione in stile nazifascista: i vestiti dei due fidanzati vennero ritrovati piegati fuori dalla macchina, come se fosse stato dato loro un ordine sotto il tiro dell’arma. L’ex legionario conosceva Pacciani, di cinque anni più anziano di lui, e come lui viveva a Vicchio nel 1951, quando il contadino uccise il rivale sorpreso ad amoreggiare con la fidanzata.

Dopo un primo tentativo alla fine degli anni ’40, Vigilanti si arruolò nella Legione subito dopo la condanna di Pacciani, nel 1952. Un’altra coincidenza? L’ex legionario, che rientrò in Italia nel 1960, ha conosciuto anche i ‘sardi’, perché ha abitato nella stessa strada di Salvatore Vinci, a Vaiano. A Vigilanti, gli investigatori si erano avvicinati già nel 1985: gli trovarono articoli della Nazione sul delitto di Sagginale del ’74, una pagina sulla strage dell’Italicus, i ritagli dell’elezione del presidente Cossiga. La polizia tornò a casa dell’ex legionario per caso, nel ’94, a causa di una denuncia di un vicino, con cui aveva avuto una lite. Quella volta, spuntarono 180 proiettili Winchester serie H: gli stessi del mostro, fuori produzione, all’epoca, da almeno una dozzina d’anni.


http://www.ansa.it/toscana/notizie/2017/07/26/mostro-firenze-indagato-ex-legionario_b561b31b-84df-4be1-84b8-4e9c0e174c4c.html
http://www.lanazione.it/firenze/cronaca/mostro-firenze-indagato-1.3293255
http://www.lanazione.it/firenze/commento/mostro-firenzwe-1.3293422


martedì 18 luglio 2017

L'INGIUSTA CONDANNA DI UN MURATORE DEL BERGAMASCO...


Il processo e la condanna a Bossetti è il processo e la condanna di ogni singolo cittadino italiano e il suo stato di diritto.
cit. Mantenos Andrea Flower Naborovich

La Corte d'Assise d'Appello di Brescia ha confermato la condanna all'ergastolo di Massimo Bossetti per l'omicidio di Yara Gambirasio.
Ce lo aspettavamo tutti, forse qualcuno di noi ci aveva pure sperato invano, ma intimamente sapevamo sarebbe successo, e così è stato.
Il tritacarne della giustizia non poteva fermarsi, la piazza andava sfamata, quella bava atavica che colava dalla bocca dei moralizzatori non poteva seccarsi così velocemente, l'astinenza da rogo non poteva attendere tempi migliori, Bossetti non avrebbe mai potuto passarla liscia.
E allora, noi e pochi altri sostenitori della sua innocenza, che ingenuamente speravamo che qualcosa di magico potesse almeno per una volta compiersi, che desideravamo si materializzasse la Dea della giustizia Astrea nel cupo tribunale del povero muratore, abbiamo perso, ma soprattutto hanno perso tutti gli italiani ed i sostenitori del diritto, ha perso lo Stato di Diritto, ha perso l'intera comunità...
Bossetti dopo la lettura della sentenza "ha pianto" nella gabbia degli imputati. Lo ha riferito uno dei suoi avvocati, Claudio Salvagni, che ha aggiunto: "questa sera si è assistito alla sconfitta del diritto".
I Legali di Bossetti, Salvagni e Paolo Camporini, subito dopo la lettura della sentenza hanno dato "per scontato" il ricorso in Cassazione. "Aspettiamo le motivazioni - hanno detto - ma il ricorso in Cassazione è scontato. Questa sera abbiamo assistito alla sconfitta della giustizia".
Nelle sue dichiarazioni spontanee Bossetti ha detto di essere vittima "del più grande errore giudiziario di tutta la storia". Il muratore ha anche stigmatizzato il modo con cui fu arrestato: "C'era necessità di scomodare un esercito e umiliarmi davanti ai miei figli e al mondo intero?". Ha poi aggiunto che, quando fu fermato nel cantiere in cui lavorava (e i momenti del fermo furono filmati) si sentì "una lepre che doveva essere sbranata da innumerevoli cacciatori". "Perché, perché, perché?" ha detto il muratore. E girandosi verso il pubblico in aula per poi tornare ai giudici, ha detto: "Io non sono un assassino, mettetevelo in testa".
Posso marcire in carcere per un delitto atroce che non ho commesso senza che mi sia concessa almeno questa possibilità?", ha scritto Bossetti Bossetti a un quotidiano: "Confido che finalmente sia fatta Giustizia e io possa tornare a riabbracciare i miei cari da uomo libero e innocente quale sono, anche se ho una vita stravolta e comunque segnata per sempre. 
Lo spero io, lo devono sperare i Giudici, sono convinto che lo speri Yara da Lassù, almeno fino a quando il suo vero assassino che è ancora libero e sta ridendo di me e della Giustizia, sconterà la giusta pena".
" In natura, se io tocco una persona, se io tocco lei, cosa trasferisco? 
Solo il nucleare o tutto quanto? Tutto.
E se andiamo ad analizzarlo, possibile che non si trovi il mio Dna mitocondriale?
Anzi, che non si trovi il mio ma quello di un altro soggetto? Perché questo è il caso di specie. 
Il mitocondriale di Yara è stato trovato, non è sparito. 
Ed era lì sicuramente da tre mesi, non si è degradato. 
Invece di Ignoto 1 non l’hanno trovato, hanno trovato un altro Dna mitocondriale, che non si sa di chi sia. 
Il nodo processuale è tutto qui. Ma non è un cavillo, è una questione tecnico-scientifica di fondamentale importanza".
L'errore del DNA è oggettivo, c'è poco da aggiungere, la procura sta negando che 1+1 faccia 2...
Questo sarà considerato il nuovo caso Giro Limoni, però ancora peggio, con la connivenza di poteri rimasti al tempo dell'OVRA, con la gogna mediatica, perché il fascismo non è morto.
Rivedere SALO' di Pasolini per capire e percepire quale ambiente c'è dietro a questi delitti...
Onore all'avvocato che ha fatto il possibile per amor della giustizia ed a titolo gratuito, egli sta facendo un grande servizio alla democrazia ed alla società intera, compresi tutti coloro che sono in astinenza da rogo, giustizialisti con il culo degli altri...

Quella che segue è un'intervista rilasciata dal suo avvocato Salvagni ad Andrea Rossetti il 24 febbraio 2017 e pubblicata per il Bergamo Post:
Avvocato, partiamo dall’inizio. Come è entrato in contatto con Bossetti 
«La famiglia mi conosceva già. Mi hanno contattato pochi giorni dopo l’arresto».
Inizialmente ha lavorato fianco a fianco con l’avvocato d’ufficio.
«Sì, la collega Silvia Gazzetti. Poi, nel dicembre 2014, lei ha lasciato l’incarico e ho continuato da solo fino all’udienza preliminare. Più o meno in quel periodo s’è affiancato a me l’avvocato Paolo Camporini, con cui seguo il caso ancora oggi».
Siete stati aiutati anche da un folto gruppo di esperti. 
«Io e Paolo siamo solo la punta dell’iceberg. Dietro di noi c’è il fantastico lavoro di un team di professionisti entrati in punta di piedi nella vicenda, dubbiosi, ma che non appena hanno letto le carte dell’inchiesta si sono messi al servizio di Bossetti. Il dottor Marzio Capra e la professoressa Sarah Gino, genetisti; l’investigatore privato Ezio Denti; la dottoressa Dalila Ranalletta, medico legale; l’ingegnere Vittorio Cianci, esperto di tessuti; l’avvocato e professore universitario di logica giuridica Sergio Novani. E ancora: Luigi Nicotera, che si è occupato dell’analisi delle celle telefoniche; Giovanni Bassetti, esperto informatico; i professionisti in psicologia clinica forense Anna Maria Casale e Alessandro Meluzzi; e il dottore in legge Roberto Bianco, che è stato un po’ il coordinatore di tutti i consulenti ».
Non capita spesso di vedere un team difensivo così ampio.
«Vero. La figura del dottor Bianco, ad esempio, credo sia una novità. Lui ha fatto da collegamento tra noi e i consulenti, anche perché loro sono gli esperti ma poi siamo noi a dover spiegare in aula il loro operato. È stato veramente un grandissimo lavoro».
Scusi la domanda un po’ indelicata, ma la famiglia Bossetti può pagare tutto questo?
«Uno dei nostri meriti ritengo sia stato l’aver messo insieme un gruppo di professionisti di primissimo livello che si sono appassionati al caso soltanto per amore di verità. Nessuno, sottolineo nessuno, ha avuto un euro di parcella. Nemmeno io».
Però il ritorno mediatico è stato elevato…
«Posso assicurarvi che anche questo è un falso mito. Tutti hanno lavorato a titolo gratuito perché la verità è che un caso del genere è capitato a Bossetti, ma potrebbe capitare veramente a chiunque, soprattutto se dovesse passare la linea giuridica adottata nella sentenza di primo grado. Diventerebbe veramente molto pericoloso e rischioso per chiunque di noi».
Lei è convinto dell’innocenza di Bossetti?
«Sì, anche se per un avvocato non dovrebbe essere un elemento rilevante. Il mio collega Paolo Camporini, ad esempio, dice: “A me non interessa sapere se l’imputato è colpevole o innocente, a me interessa sapere cosa dicono le carte processuali”. E ha ragione, anche se poi è diventato il primo convinto assertore dell’innocenza di Massimo. Ma io la penso in maniera leggermente diversa. In un processo come questo per me era importante essere intimamente convinto dell’innocenza di Massimo, perché soltanto così si può dare quel qualcosa in più. Abbiamo lavorato una quantità di ore infinita, giorno e notte. E non per modo di dire, ma davvero. Quando abbiamo depositato il ricorso in Appello, solo per la stesura finale dell’atto abbiamo lavorato trenta ore di fila. Trenta ore».
Cos’è che la rende così certo dell’innocenza di Bossetti?
«Una somma di elementi. Partiamo dal concetto che il delitto perfetto non esiste. Chiunque commetta un delitto lascia una serie di elementi che, uniti, portano all’individuazione del responsabile. Quali sono gli elementi a carico di Bossetti? Solo ed esclusivamente il Dna, la sua firma dicono. Praticamente ha compiuto il delitto perfetto e poi lo ha firmato. Già questa è una contraddizione. Non hai lasciato tracce, non c’è un punto di contatto, non c’è un movente, non c’è una ricostruzione, sei una sorta di marziano che si è calato in quel momento nella vita di questa ragazzina e l’ha uccisa lasciando unicamente il proprio Dna».
Non è cosa da poco, no?
«Il Dna diventa un elemento individualizzante, probante, quando è perfetto. Quando è esente da anomalie. In quel caso siamo tutti d’accordo: periti della difesa, periti dell’accusa, parte civile, tutti. Poi sarà il giudice che dovrà decidere. Ma in questo caso siamo così sicuri che quello sia il Dna di Massimo? La sentenza glissa paurosamente tutte le nostre eccezioni. Noi non abbiamo mai potuto partecipare a nessun contraddittorio su quel Dna. Mai».
Ci spieghi meglio la questione allora...
«Volentieri. Trovano sugli slip di Yara questa traccia di Dna. Una quantità esorbitante, tantissimo. Facciamo finta un bicchiere di Dna. In quel momento Bossetti non era conosciuto, quindi non potevano certo chiamarci a esaminare i test compiuti. Ma un conto è se ne trovi una goccia, come accaduto nell’omicidio di Meredith Kercher: lì il test viene compiuto giustamente come atto irripetibile, non è che puoi fermare le indagini. Un altro discorso, invece, è se ne trovi un bicchiere, come qua. In questo caso buona regola vorrebbe che metà Dna lo userai per far tutti i test che vuoi e metà lo conservi per il futuro, quando ci sarà finalmente un presunto colpevole».
E invece come sono andate le cose?
«Invece qui avevano molto Dna, ma non sono neppure stati in grado di dire che tipo di traccia sia. È stato escluso con diversi test, uno più sofisticato dell’altro, che si tratti di sperma. Quindi sappiamo che cosa non è, ma non sappiamo che cos’è. È tanto, non sappiamo che cos’è, ed è pressoché puro. Praticamente un fiore del deserto. Meraviglioso. È meraviglioso ma non sappiamo dirti che cos’è. Una prima stranezza: il diverso grado di degradazione proteica di Dna della vittima e Dna di Ignoto 1. Il primo era presente in tutte le sue componenti, nucleare e mitocondriale, e dimostrava l’esposizione a tre mesi di agenti esterni. Il secondo, come detto, era invece una sorta di fiore nel deserto, stranamente privo di degradazione proteica. Puro, perfetto. C’è un però: l’assenza del Dna mitocondriale nella traccia riferibile a Ignoto 1. Il Dna mitocondriale presente, infatti, oltre quello della vittima è quello di qualcun altro, di cui però non si conosce l’identità».
Il Dna mitocondriale però conta poco per il riconoscimento.
«No, purtroppo è questo che non si riesce a far capire. È un elemento fondamentale. Ho fatto questo esempio in aula: facciamo finta che si stia parlando di una rapina in banca, le telecamere inquadrano il rapinatore che entra col volto scoperto, pistola alla mano, e si vede benissimo il viso. È lui. Poi una seconda telecamera inquadra la nuca del rapinatore, ed è completamente diversa. Com’è possibile? Il viso non corrisponde alla nuca. Qualcosa non va, qualcuno ha sbagliato. Questo è quello che si è verificato. Il Dna nucleare, che è quello che si usa per le identificazioni, è il viso con mille particolari, il mitocondriale è invece la nuca, che può dirmi qualcosa ma non tutto. Però il mitocondriale deve combaciare perfettamente con il nucleare, se non combacia c’è un errore».
Come se lo spiega?
«Non so. In natura, se io tocco una persona, se io tocco lei, cosa trasferisco? Solo il nucleare o tutto quanto? Tutto. E se andiamo ad analizzarlo, possibile che non si trovi il mio Dna mitocondriale? Anzi, che non si trovi il mio ma quello di un altro soggetto? Perché questo è il caso di specie. Il mitocondriale di Yara è stato trovato, non è sparito. Ed era lì sicuramente da tre mesi, non si è degradato. Invece di Ignoto 1 non l’hanno trovato, hanno trovato un altro Dna mitocondriale, che non si sa di chi sia. Il nodo processuale è tutto qui. Ma non è un cavillo, è una questione tecnico-scientifica di fondamentale importanza».
Perché non si è ripetuto il test allora?
«Ecco, questo è il punto. Il nodo processuale. È lo stesso imputato che sta chiedendo di rifare questi esami».
È possibile ripeterli?
«Certo, ci sono ancora dei campioni, il Dna era molto. È stato detto anche in udienza che ci sono. Bossetti lo ha chiesto: “Non è possibile che ci sia io lì dentro, non l’ho mai vista questa ragazza, non l’ho mai toccata, ripetiamo i test”. Io ho passato ore con lui in carcere e gli ho detto: “Massimo sei sicuro? Guarda che se noi chiediamo questa cosa e ce la concedono e viene fuori che sei tu, è finita”. Ma lui è stato irremovibile. Perché allora non concedergli un nuovo test? Credo sia il primo processo in Italia dove una richiesta dell’imputato di questo tipo non venga accolta».
Con che motivazione è stata respinta la vostra richiesta?
«È stata ritenuta superflua. Il problema è che il risultato è stato ottenuto con tutte le criticità che abbiamo detto. Il punto di civiltà giuridica, il punto di diritto: è questo su cui bisogna insistere. Non è possibile che sia l’imputato a chiederti di rifare il test che lo ha condannato all’ergastolo e tu non glielo concedi».
Lei dunque ritiene che quel Dna non sia quello di Bossetti?
«Non è il suo. Non ci dimentichiamo che tutti noi siamo uguali al novantanove percento. Ci giochiamo la differenza fra me, lei e gli altri in un misero un percento. Lo stesso vale per il collegamento tra Bossetti e Guerinoni, da cui si è risaliti a Massimo. Capisce che se si sbaglia ad analizzare quell’uno percento cambia tutto, cambia la persona».
E resta il problema della differenza tra nucleare e mitocondriale.
«Una differenza che non ci deve essere, che non può esistere. Infatti la spiegazione di come sia possibile questa cosa nessuno l’ha data. Se anche ci fosse una possibilità su un miliardo in natura che accada una cosa del genere, me lo devi dimostrare, altrimenti stai condannando un uomo all’ergastolo sulla base di un elemento incerto. In questo Dna ci sono più anomalie che nucleotidi, che sono gli elementi alla sua base».
Sulla stampa il messaggio che è arrivato è stato diverso. Qual è il suo giudizio sul modo in cui l’informazione ha trattato il processo?
«La stampa, a parte qualche caso isolatissimo, si è appiattita sulle posizioni della Procura. La mia è una critica alla stampa in generale. L’informazione è una cosa molto seria, molto delicata. Fare cronaca significa dire le cose come stanno davvero, non distorcere la realtà. Perché ciò che scrivono i giornali e che dicono le televisioni, arriva ai giudici. Sono umani anche loro».
Si riferisce al famoso video del furgone?
«Quel filmato ha fatto dei danni pazzeschi. Guarda caso il Dna di Ignoto 1 è il Dna di Bossetti, lo stesso che girava intorno alla palestra. Beh, allora è lui. È chiaro che nell’opinione pubblica si rafforza questa convinzione. Poi però, se andiamo a misurare il passo del furgone nel filmato con quello di Bossetti, viene fuori che è diverso. E togliamo l’ipotesi che Bossetti fosse lì. In questo processo si è piegata la realtà per far tornare tutto, ma non torna niente».
Lei stesso però è sceso spesso sul ring mediatico.
«Io ho subito detto che i processi si fanno in Tribunale. Sin dal primo giorno. Ma alla fine sono stato costretto ad espormi per cercare di tappare le falle e le voragini aperte dalla Procura. Le sembra normale che venissero pubblicati degli atti coperti da segreto istruttorio? Io ho avuto il fascicolo processuale, le famose sessantamila pagine, dopo alcuni giornalisti. Come è possibile che in un processo dove vige il segreto istruttorio, dove in fase di indagine le cose non dovevano sapersi, sono state sbandierate in televisione e sui giornali? Sono stato costretto ad espormi e dire: “Guardate che stanno dicendo delle cose che non sono corrette”. Qui si è cercato di demolire l’uomo, demolire tutto ciò che gravitava intorno a lui, alla sua famiglia, ai suoi affetti. Perché non si è aspettato il processo? Poi però, in aula, le televisioni non sono state ammesse. Vi posso assicurare che se ci fossero state le telecamere, sarebbe cambiata da così a così l’opinione pubblica. Il fatto degli amanti della moglie, ad esempio, che senso aveva se non quello di demolire Bossetti?».
Perché dimostra possibili tensioni tra Bossetti e la moglie, ipotizzo.
«Ok, ma allora mi deve dimostrare anche, qualora questa storia fosse vera, che lui sapesse di questi amanti. E poi, dove sta scritto che un uomo in crisi matrimoniale passa da sua moglie a una tredicenne? Qual è la logica?».
Nessuna.
«Le racconto un aneddoto avvenuto durante uno degli interrogatori. A Bossetti, dopo alcune domande, viene chiesto: “Lei lo sa che non è figlio di Giovanni Bossetti?”. Massimo rimane spiazzato. È un uomo arrestato per un omicidio e gli viene data una mazzata psicologica di questo tipo. Non paghi, mezzora dopo gli dicono: “Sua moglie ha l’amante”, e tirano fuori le presunte fatture dei motel. Lui si dispera, ma accusano anche lui di tradire la moglie. Bossetti nega e loro gli mostrano un bigliettino con scritto dei nomi di donna e dei numeri di telefono. A quel punto Massimo ha fatto un mezzo sorriso e ha spiegato che, togliendo le prime e le ultime cifre di quei numeri, venivano fuori alcuni codici che non si ricordava a memoria, tipo il pin del bancomat. Cioè, questi non avevano neppure provato a chiamarle questa fantomatiche amanti».
Sta dicendo che le indagini sono state approssimative?
«Io posso solo dire che in questo processo sono successe cose pazzesche. L’ho urlato in udienza e non ho timore di ripeterlo. Abbiamo sentito degli alti ufficiali dei carabinieri venire in aula a dire cose contraddette da altre risultanze. Le faccio un esempio: uno degli elementi fondamentali era capire se Yara fosse realmente morta in quel campo di Chignolo o se fosse stata portata lì successivamente. È evidente che questo elemento cambia tutto. Ciò che legava Yara a quel campo era il fatto che il cadavere stringesse nella mano destra degli arbusti. Un colonnello testimoniò e disse di aver visto con i suoi occhi il fatto che gli arbusti fossero radicati al suolo. Dunque Yara era per forza morta lì. Poche udienze dopo ha invece parlato il medico legale. A precisa domanda sulla questione della presidente, dottoressa Bertoja, la professoressa Cattaneo ha risposto: “No, gli arbusti non erano radicati al suolo”. Quindi Yara potrebbe non essere morta lì. E, se così fosse, l’accusa mi deve anche dire dove è morta. Chi sta dicendo la verità e chi sta mentendo? Tutto questo è successo, è nei verbali di udienza. Come è nei verbali di udienza la questione del video del furgoncino di Bossetti: un colonnello dei carabinieri, comandante dei Ris, che ammette che quel video è stato realizzato di comune accordo con la Procura per esigenze di comunicazione. Perché è successo tutto questo? La risposta non la so, ma i fatti sono oggettivi».
C’è anche la questione delle ricerche sul computer…
«Un’altra grandissima bufala che ha condizionato l’opinione pubblica. Hanno descritto questo omicidio come un delitto a sfondo sessuale, quindi ci voleva un assassino con un profilo ben preciso. Chi è pedofilo non è pedofilo una volta nella vita e basta. Serviva qualcosa che dimostrasse che Bossetti aveva quel profilo. Ma nel suo computer non hanno trovato niente. Zero. Però è stato fatto passare il contrario. Le ricerche che più si possono avvicinare a quel mondo, inoltre, sono presto spiegate. Bossetti e la moglie hanno ammesso che, talvolta, guardavano insieme siti per adulti. Così come Marita ha ammesso di aver fatto lei stessa delle ricerche pornografiche. Poi mi son pure fatto una certa cultura: il termine “teen”, ad esempio, è una delle categorie più cliccate nel porno, ma non vuol dire che si cerchino delle minorenni. Vuol dire giovani, non minorenni. La famosa ricerca “tredicenni”, invece, ha dichiarato di averla fatta il figlio maggiore, che all’epoca aveva quell’età. Quindi non ci sono ricerche pedopornografiche, anche perché se ci fosse stata la detenzione di un solo fotogramma di qualcosa di pedopornografico gli avrebbero contestato anche quel reato giustamente. Cosa che invece non è avvenuta».
Ha parlato di profilo dell’assassino. Qual è invece il profilo di Bossetti? Che tipo è?
«È un muratore bergamasco, una persona molto ingenua. È un tipo diretto, ti dice le cose di impulso, istintivamente. È uno sincero. Gli hanno rivoltato la vita come un calzino per trovarci qualcosa. Non hanno trovato niente, zero. In otto anni sarà uscito otto volte. La sua vita era la famiglia».
Un fatto strano è che non si sia mai riusciti a trovare punti di contatto tra la vita di Yara e quella di Bossetti.
«Perché non ce n’erano. Nessuno ha potuto dire che li ha visti anche una sola volta insieme, che si conoscevano. Non c’è una foto, un messaggio, una chat WhatsApp, un contatto sui social network».
È stato dato molto peso alla frequentazione di Bossetti del solarium di Brembate Sopra.
«Ci andava, si faceva la sua lampada, pagava e usciva. È un delitto? Anche in questa cosa è stata data enfasi a elementi assolutamente secondari. Uno che va a farsi una lampada vuol dire che diventa un pedofilo assassino? Non credo».
Però è un bugiardo. Lo chiamavano “Il Favola”.
«No, assolutamente. Lei si riferisce alla storia del tumore inventato sul posto di lavoro, giusto? Bene, quell’episodio spiega perfettamente chi è Bossetti. Durante l’udienza in cui si è parlato di questa vicenda, lui ha alzato la mano e, in totale spontaneità, ha detto: “Io sono mortificato, ho fatto una cosa bruttissima raccontando quella bugia, ma l’ho fatto perché non venivo pagato”. E io lo so, visto che quando è stato arrestato non riceveva lo stipendio da sei mesi. Si era inventato una storia che gli permettesse di cercarsi un altro lavoro per tirare avanti. Cosa dava altrimenti da mangiare ai figli, la sabbia, i forati e il cemento? In un minuto, spiegando la cosa, ha chiuso l’argomento in maniera credibilissima, tanto è vero che non è stato neanche ripreso in sentenza. Si tratta soltanto dell’ennesimo elemento di questo processo che è stato raccontato in malafede».
Perché, secondo lei?
«Qui si è preso un punto di partenza, un punto di arrivo e poi gli si è costruita la storia in mezzo».
Ma perché Bossetti?
«Mi sta chiedendo se lo hanno voluto incastrare?».
Lei lo pensa?
«Non lo so. Ho delle mie convinzioni che però non dico a nessuno perché al momento non sono supportate da prove. Quello che posso dire è che, processualmente, gli elementi che sono stati raccolti contro Bossetti non sono assolutamente concordanti, non si incastrano, e l’unico elemento che c’è, il Dna, è altamente critico. Questa è una storia senza storia. Non c’è il movente, non c’è l’arma del delitto, non c’è niente. Lo stesso pubblico ministero ha dovuto alzare le mani e dire: “Io non sono in grado di ricostruire la dinamica”. Com’è avvenuto l’omicidio? Killer e vittima si conoscevano o non si conoscevano? Yara è salita volontariamente su quel furgone o è stata rapita?».
Quindi per lei le accuse a Bossetti non sono casuali.
«C’è la possibilità che non lo siano. Ma c’è anche la possibilità che sia stato veramente un caso, perché se avessero voluto individuare proprio Bossetti ci avrebbero impiegato una settimana».
E come?
«Bossetti col suo furgone passava di lì, non ci voleva tanto a incrociare i dati di cui erano in possesso. Una settimana gli bastava».
Quali saranno i prossimi passaggi processuali?
«Attendiamo che venga fissato il processo d’Appello. E speriamo che possa essere concessa la perizia sul Dna, perché credo che sia un principio di civiltà giuridica. Con la perizia sono certo che si possa arrivare all’assoluzione».
Bossetti come sta?
«Alterna momenti di incredibile forza, in cui vuole lottare fino in fondo, ad altri di grande depressione, come è facilmente immaginabile».
E lei è fiducioso?
«Non posso che esserlo, altrimenti dovrei cambiare lavoro. Significherebbe non credere nella giustizia».
Il processo di primo grado ha messo a dura prova la sua fiducia nella giustizia?
«Sì, perché quando entri in certi meccanismi ti accorgi che c’è un qualcosa di più grande. Io credo che in un processo normale, senza tutto questo clamore, l’imputato sarebbe già stato assolto. Certo, stiamo parlando di un assassinio; chiaro che emotivamente colpisce il fatto che sia stata uccisa una bambina. Però non è tollerabile la disparità di trattamento che è stata riservata a Bossetti rispetto ad altri imputati. Per questo credo che, soprattutto in Cassazione, non possa passare il principio giuridico passato in primo grado, dove il Dna, per di più con tutte le sue criticità di specie, rappresenta un timbro di colpevolezza assoluto. Se così fosse, allora bisognerebbe cambiare il codice e dire che quando c’è il Dna non lo facciamo neanche il processo perché non puoi dimostrare il contrario».
Qual è il suo timore?
«Che non si stia cercando la verità».

http://www.ansa.it/lombardia/notizie/2017/07/17/yara-bossetti-poteva-essere-figlia-di-tutti-noi_cfdb59a9-8d5c-4917-ab1e-db19c41fa331.html
http://www.liberoquotidiano.it/news/italia/12434115/massimo-bossetti-sarbit-kaur-ragazza-scomparsa-trovata-morta-lo-puo-scagionare.html


sabato 8 luglio 2017

LA CORAZZATA POTEMKIN NON E' UNA CAGATA PAZZESCA... cit. Paolo Villaggio



La corazzata Potemkin NON è una cagata pazzesca.
cit. Paolo Villaggio


Un saluto affettuoso a Paolo Villaggio ed un omaggio al grande comico che negli anni 70 scrisse ed interpretò meravigliose pagine di costume.
Per onestà intellettuale devo dire che si perse per strada e che avrebbe potuto evitare gli ultimi terrificanti Fantozzi ed altre schifezze ritirandosi prima a vita privata, comunque i primi 2 film firmati dal grande Salce, il Fracchia con Agus ed alcuni episodi rimangono pietre miliari del cinema comico italiano.
In Villaggio amo la visione che ebbe soprattutto agli inizi quando sfotteva il potere ed i radical-chic comprendendo perfettamente quale sarebbe stata la nemesi della sinistra italiana.
Villaggio amava il cinema d'autore, come lo stesso Salce e la satira meravigliosa sul maestro Eisenstein e sulla "Korazzata Kotionki" rappresentava proprio questo paradigma.
Rappresentava la cattiva coscienza di un certo sinistrismo che sarebbe poi trasmutato nel peggior liberismo, nello scientismo, nel citazionismo di un certo mondo già allora in forte decadenza.
Rappresentava la mediocrità di una certa classe culturale e politica che, oggi come allora, sfruttava i saperi per declinarli in termini dogmatici e reazionari.
La grande storica gag sulla corazzata Potemkin non era affatto contro il valore rivoluzionario dell'opera filmica, ANZI, era contro lo sfruttamento, diremmo oggi boldrinista, di un certo paradigma di regime.
Villaggio riportava anarchicamente ed adogmaticamente la forma pensiero rivoluzionaria proprio denunciando un certo stile di un certo ambiente aristofreak, MALE ASSOLUTO e peccato originale dei mali d'Italia e della morte della sinistra, che si beava religiosamente dell'erudizione e non della cultura.
In questo una vera opera di sinistra, anarchica e rivoluzionaria, come giustamente asserì lo stesso DE' ANDRE' in un'intervista negli anni 70.
Inoltre nella presa di coscienza della CAGATA PAZZESCA, Villaggio metteva in scena proprio una rivoluzione contro i quadri dirigenti aziendali, mostrava come ribellarsi ad infami intellettualoidi cinefili messi al potere e più borghesi e fascisti di quello che falsamente denunciavano con le loro obbligatorie proiezioni "colte e de sinistra".


Un'altra tappa del risveglio della coscienza di classe, anche Fantozzi poteva esercitarla, e per osmosi tutti quanti i piccoli borghesi italici. Questa fase è ben rappresentata ironicamente dall'incontro con l'eretico Compagno Folagra, anche lui ovviamente intriso di cliché, che lo illumina sulla vi di Damasco e gli fa comprendere come sia stato sempre sfruttato e preso in giro dal padronato.
Come non ricordare Dottor Jekill e gentile signora quando davanti ad una lavagna spiegava con parole semplici i meccanismi dello schema del potere liberista agli studenti ignari.
Grazie Paoo Villaggio, che la nuvola di Ugo Fantozzi sia la tua casa celeste.