lunedì 10 giugno 2019

IL SUICIDIO DI NOA E LA PAURA DELLA MORTE


Noa Pothoven è una ragazza olandese di 17 anni di Arnhem, Paesi Bassi. Da bambina è stata vittima di ripetute violenze sessuali e nella sua breve vita ha sofferto di depressione, disturbo da stress post-traumatico e anoressia.
Domenica scorsa, è morta dopo aver smesso di alimentarsi e di bere, come aveva annunciato sui suoi profili social: «Voglio arrivare dritta al punto: entro un massimo di 10 giorni morirò. 
Dopo anni di continue lotte, sono svuotata. Ho smesso di mangiare e bere da un po' di tempo, e dopo molte discussioni e valutazioni, ho deciso di lasciarmi andare perché la mia sofferenza è insopportabile. Respiro, ma non vivo più», aveva scritto nell'ultimo post su Instagram, ora rimosso.

I media italiani ed internazionali, ai quali la maggioranza crede (tipico retaggio fideistico, purtroppo, duro a morire), dicevano fosse morta per eutanasia, perché in Olanda è una pratica legale, invece lei e la famiglia hanno scelto il gesto estremo, con una scelta forse discutibile, ma che non auguro a nessuno e non mi permetterei mai di giudicare, sostituendomi a loro.
Noa ha deciso questo "lutto anticipato, volontario" per porre fine a terribili sofferenze esistenziali.
Così, tanto per creare l'ennesima polarizzazione tra chi pretende che l'uomo viva per forza, anche tra mille sofferenze, e chi nel dubbio rispetta la sua scelta radicale, nell'ottica dei media ufficiali, i primi rappresenteranno la fazione pro-life, più tradizionalista, ed i secondi  saranno percepiti come quelli della fazione liberal, i modernisti che mettono i cosiddetti diritti civili davanti ad ogni cosa.
In realtà la vita e la società sono infinitamente più complesse e variegate di questo schema rigido e divisorio, in parte artificiale ed eterodiretto.
Personalmente, farei di tutto per impedire che una persona a me cara si suicidi, a costo anche della mia esistenza, e pretendo una società che faccia il possibile per mediare a qualsiasi problematica di carattere sanitario, ma sono ben consapevole che nessuno di noi, purtroppo o per fortuna, potrà mai sostituirsi, nel bene o nel male, al libero arbitrio di chiunque e, nonostante tutto ciò che saremmo in grado di operare, non sarà mai totalmente risolutivo.
Ogni persona è un mondo a se'.

Andando a creare questa polarizzazione indotta e sottesa tra le righe, in modo che possano artificialmente crearsi due fazioni, si evita di parlare in profondità rispetto a certe patologie, si evita di trattare seriamente l'argomento eutanasia e di quali possano essere i limiti o le possibilità di una decisione così radicale e dolorosa. Ovvero, fino a dove lo Stato può permettersi di tollerare il gesto estremo dei propri cittadini, essi appartengono allo Stato o a se stessi, o entrambe le cose?
Qual è il limite, se c'è un limite, è giusto ci sia un limite  o le "scelte" individuali vengono prima di tutto?
Tutti noi istintivamente siamo a favore della vita, soprattutto se si tratta di un minore, ma tutti coloro che sentenziano emotivamente e con sicumera, sono poi così sicuri che reggerebbero tali sofferenze?
Siamo tutti così certi che, facendo a cambio, non saremmo i primi a chiedere di morire, piuttosto che continuare un doloroso calvario esistenziale senza vie di uscita, senza potere trovare pace nelle cure mediche, psichiatriche, sociali?
Io non ho alcuna certezza, ho solo dubbi, anche se, istintivamente proverei a superare qualsiasi ostacolo, ma poi, giunti ad un livello di non ritorno, cosa farei, cosa non farei?
Non lo so, so che farei di tutto per aiutare il prossimo, ma senza sostituirmi in toto alla persona che si trovasse in simili condizioni, l'ultima scelta la deve fare lei, per quanto ciò ci possa ossessionare e terrorizzare, perché nessuno di noi è onnipotente.

Nel frattempo facciamo un exursus storico, senza darne un giudizio aprioristico e di merito, sui rapporti tra suicidio e società, per scoprire che in realtà, un tempo il suicidio era, non solo tollerato, ma faceva parte della cultura antropologica di quel dato popolo, di quella zona geografica, ed era lo specchio fedele di quella data società.
Nell'Egitto faraonico veniva "concesso" di suicidarsi al colpevole di alto rango che così sfuggiva ad una morte poco degna, la Regina Cleopatra si sottrae alla prigionia presso Ottaviano compiendo un suicidio rituale: facendosi mordere dall'aspide=ureo sacro, tramite divino, divinizza la sua persona ascendendo al Pantheon egiziano.
Agli schiavi non era concesso, perché erano utili al potere, piuttosto sarebbero dovuti morire di stenti.
Nella mitologia nordica Wotan accoglie nel Walhalla soltanto coloro che sono morti violentemente: i guerrieri ed i suicidi, lui stesso suicida: Signore degli Impiccati viene chiamato dalla tradizione dell ' Havannah (pare essersi ucciso in questo modo). Altra tradizione lo vuole suicida (con la sua spada).
Presso i Maya Ixtab, "La Signora della corda" - veniva rappresentata appesa ad un capestro-, era la dea dei suicidi e questi andavano in un paradiso proprio in quanto erano considerati sacri.
I Romani introdussero un contenuto emozionale al gesto suicida: uccidersi non è più male, non esiste alcun tabù relativo alla morte volontaria e questa diviene banco di prova del coraggio e della ''virtus" latina: lo seppuku giapponese nasce da una identica matrice ideologica.
La Bibbia nel Vecchio Testamento non da alcuna condanna del suicidio mentre condanna l'omicidio in Caino ed il sacrificio umano (seppur involontario). Jefte e ben quattro suicidi vengono riportati: Saul ed il suo scudiero, Sansone, Abimeloch e Achitofel.
Il Nuovo Testamento riporta il suicidio di Giuda Iscariota, ma l'ottica è ambigua o quanto meno si presta ad una interpretazione opposta a quella data dai commentatori posteriori: il Gesto di Giuda viene visto come una catarsi che si esplica nel gesto definitivo alla ricerca di un riscatto al vero gesto, omicida: il tradimento di Cristo; sarà soltanto dopo il IV secolo d.C. che la Chiesa condannerà il suicidio.
Abbiamo ancora tanto da imparare, sulla vita e sulla morte, sulle nostre paure e spesso le proiettiamo inconsapevolmente, ogni volta che ci troviamo davanti a storie terribili come questa, perché queste vicende ci rendono impotenti e vulnerabili. Questo ci terrorizza perché non abbiamo più il controllo di noi stessi e delle nostre emozioni, ci sentiamo improvvisamente soli davanti all'ignoto, in piccolo come accade per tutti coloro che si trovano e si sono trovati a decidere della propria vita, della propria morte.
A volte il silenzio è meglio di qualsiasi parola.


3 commenti:

  1. Non sono le esperienze in sé a risultare traumatiche e dolorose, ma il modo in cui si rapporta a tali esperienze, e anche il modo con cui vengono interpretate. In America Centrale ad esempio ci sono donne di etnia maya che hanno subito soprusi simili, oltre ad essere relegate ai margini in quanto considerate "non compatibili per i parametri della società moderna", vivono con le loro tradizioni e i loro costumi, e molte di loro sono riuscite a trasformare l'intenso dolore emotivo in una risorsa, nel senso che si sono trasformate in donne sciamane e guaritrici curandere, ma qui siamo nell'Occidente e le cose vanno diversamente (basta Equitalia per incrinare il tenute e delicato equilibrio psicologico delle persone). Ad esempio l'ideogramma cinese weiji sta ad indicare che in ogni crisi vi è racchiusa per questioni di equilibrio anche la sua opportunità, mentre Gurdjeff diceva che la sofferenza emotiva è il portale più immediato verso il risveglio,o comunque serve a temprare e fortificare il proprio spirito indomito, ma per molti invece può rappresentare anche una via di fuga che conduce al suicidio, (il suicidio è un trucchetto o considerato tale dall'identità egoica del soggetto in questione che non accettando una situazione cosi estrema, la considera ingiusta in quanto non dispone di una visione d'insieme, più ampia e totalizzante), il suicida quando si troverà faccia a faccia con la sua vita appena trascorsa, sotto forma di disincarnato si troverà davanti agli stessi problemi che non è riuscito a comprendere nella sua essenza, e sarà perciò tutto amplificato, molto più intenso, non avrà più a disposizione i mezzi fisici (non disponendo più a sua volta di un corpo fisico) per risolvere il proprio disagio esistenziale, nella realtà astrale, i contenuti inconsci accumulati dal neodisincarnato durante l'esistenza terrena assumeranno forme mostruose che non potranno più essere eluse o razionalizzate.

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  2. Ovviamente si fa presto a parlare, ad atteggiarsi a "psicologi del profondo" perché non ci si trova in prima persona nella situazione di Noa e di chissà quante altre povere persone che in questo momento mentre io commento qui in questo blog si staranno trovando in una situazione da fare accapponare la pelle (quasi da pentirsi di essere nati). Resta comunque disgustosa questa morale che fanno nei mezzi di informazione ordinari, perché se da un lato "informano", mettono quindi al corrente le masse che purtroppo nel mondo accadono cose simili, dall'altro occultano il fatto che in realtà la rete internazionale che si occupa degli abusi è incredibilmente potente e gode di tutti i mezzi per mettere a tacere chi prova a mettere in evidenza questo tipo di situazioni. L'unica cosa che si può fare per l'anima di Noa è pregare (non come fanno i cattolici), cioè veicolare alla sua anima pensieri di serenità, inviargli energie rasserenanti con il potere della focalizzazione che è racchiuso in ognuno di noi ed utilizzabile in qualsiasi momento. (occorre tenere in considerazione che i disincarnati si mantengono autocoscienti di sé stessi soprattutto e grazie al pensiero emotivo ed ai legami con il mondo dei vivi, ciò che spaventa in maniera cosi orripilante del decesso fisico è dovuto ad una mancanza di esperienza con le uscite fuori dal corpo cosa di cui molti non ne sono a conoscenza se non in termini romantico-idealistici, ed anche al fatto che dopo la morte fisica l'anima si ritrova in una sorta di abisso, di mancanza di continuità perché sente che i suoi involucri percettivi andranno incontro ad una fase di graduale e lenta disgregazione). La morte attraversa tre fasi, la prima è quella notoriamente conosciuta, quella in cui il corpo fisico abbandona le proprie funzioni che non è per ovvi motivi più in grado di svolgere, mentre le altre due avvengono nell'aldilà, ma non descrivili mediante l'utilizzo della sintassi ordinaria, perché certi fenomeni si possono osservare solo durante i viaggi fuori dal corpo. In ogni caso pace all'anima (tormentata e delusa dalla vita) di Noa.

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  3. Mi associo ai bellissimi messaggi dell'anonimo prima di me.

    È una storia molto dolorosa rispetto alla quale chi non ha i neuroni e il cuore al posto giusto dovrebbe solo osservare un rigoroso e rispettoso silenzio.

    Perché a scrivere emerite stronzate sono quasi sempre gli uomini, che magari non hanno subito uno stupro da bambini, perché gli stupri su bambine e donne sono assai più numerosi statisticamente se ci aggiungiamo i matrimoni delle bambine nella cultura di certi paesi.

    La cosa che mi fa più schifo è che si arrogano tutti il diritto di entrare nell'intimo di una ragazzina depressa violandolo per l'ennesima volta.
    Questo perché al giorno d'oggi essendo noi umani visti solo come pezzi, automi parte di un meccanismo sociale atto solo a produrre altrimenti crepa -ma solo quando decide il sistema, sia chiaro - la decisione lucida, individuale e libera per quanto possibile di una ragazza minorenne fa scalpore nei benpensanti con una nocciolina al posto del cervello.
    Ma come, stai male e vuoi decidere della tua vita e della tua morte senza prima consultare la burocrazia e l'autorità??? Ma sei pazzo/a?? La vita non è tua come pensi, che ti sei messo in testa, tu sei schedato dalla nascita e sei solo un suddito del potere di cui poter disporre come e quando vogliamo, la Gran Bretagna docet su questo, tu devi morire solo quando lo dico io e pure soffrire per degli stupri...per cui io scommetto nessuno ha ancora pagato né pagherà mai.

    Come diceva anonimo, quanto lavoro ci vuole per trasformare alchemicamente un orrendo trauma in consapevolezza e accettazione in nome di qualcosa di più grande di noi! E non siamo tutti attrezzati per farlo purtroppo, forse alcuni devono impararlo nelle prossime vite ed è tutto già stabilito.

    Onestamente preferisco una persona che si suicida perché comprende di non avere i mezzi psicologici e spirituali per metabolizzare, ad una che diventa psicopatica e da vittima diventa carnefice sempre in virtù di quel trauma.
    O anche cornuta e mazziata da un cancro, come quello che si è portata via anzitempo una delle due vittime del Circeo, Donatella Colasanti.

    Perché se non trasformi te stesso e ti dedichi ad un bene superiore tipo aiutare gli altri affinché nessuno soffra più lo stesso tormento, il destino delle persone è già tristemente segnato: O psicopatiche-carnefici, e ne conosco, o morte giovani di malattie incurabili (o curabili, ma dove le cure non funzionano più).

    Anna

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