giovedì 17 ottobre 2019

LA NATO DIETRO L'ATTACCO TURCO IN SIRIA



Non è affatto da sottovalutare la guerra che la NATO sta favorendo, tramite il Fratello Erdogan, per consolidare il Nuovo Ordine Mondiale, paradigma che non tollera esempi di autegestione come quello dei curdi, utili fino all'altro ieri contro le milizie dell'ISIS, oggi vigliaccamente e vergognosamente scaricati da Trump e dalla NATO stessa. La Turchia in fondo non ha tutte le colpe, persegue anche lei gli stessi interessi nazionalisti che la NATO, in termini più ampi, persegue contro tutti coloro che non rientrano nei piani stabiliti. Diciamolo, a molto fa comodo questa guerra contro i curdi, piace all'europa che vende armi alla Turchia e fa affari miliardari da decine di anni, va bene agli USA che non hanno per ora più nessun interesse a difenderli, piace a certi paesi arabi, ma, soprattutto, piace a chi desidera ridisegnare la geopolitica internazionale del medioriente.
Vi presento due interessanti articoli che in modo diverso parlano del backoffice del potere e delle ragioni di questo conflitto.

Il sistema di difesa italo-francese è già in Turchia (Il Manifesto):
di Manlio Dinucci  
Germania, Francia, Italia e altri paesi, che in veste di membri della Ue condannano la Turchia per l’attacco in Siria, sono insieme alla Turchia membri della Nato, la quale, mentre era già in corso l’attacco, ha ribadito il suo sostegno ad Ankara. Lo ha fatto ufficialmente il segretario generale della Nato Jean Stoltenberg, incontrando l’11 ottobre in Turchia il presidente Erdoğan e il ministro degli esteri Çavuşoğlu.
«La Turchia è in prima linea in questa regione molto volatile, nessun altro Alleato ha subito più attacchi terroristici della Turchia, nessun altro è più esposto alla violenza e alla turbolenza proveniente dal Medioriente», ha esordito Stoltenberg, riconoscendo che la Turchia ha «legittime preoccupazioni per la propria sicurezza».
Dopo averle diplomaticamente consigliato di «agire con moderazione», Stoltenberg ha sottolineato che la Turchia è «un forte Alleato Nato, importante per la nostra difesa collettiva», e che la Nato è «fortemente impegnata a difendere la sua sicurezza».

A tal fine – ha specificato – la Nato ha accresciuto la sua presenza aerea e navale in Turchia e vi ha investito oltre 5 miliardi di dollari in basi e infrastrutture militari. Oltre a queste, vi ha dislocato un importante comando: il LandCom, responsabile del coordinamento di tutte le forze terrestri dell’Alleanza
Stoltenberg ha evidenziato l’importanza dei «sistemi di difesa missilistica» dispiegati dalla Nato per «proteggere il confine meridionale della Turchia», forniti a rotazione dagli Alleati. A tale proposito il ministro degli esteri Çavuşoğlu ha ringraziato in particolare l’Italia. E’ dal giugno 2016 che l’Italia ha dispiegato nella provincia turca sudorientale di Kahramanmaraş il «sistema di difesa aerea» Samp-T, coprodotto con la Francia.

Una unità Samp-T comprende un veicolo di comando e controllo e sei veicoli lanciatori armati ciascuno di otto missili. Situati a ridosso della Siria, essi possono abbattere qualsiasi velivolo all’interno dello spazio aereo siriano. La loro funzione, quindi, è tutt’altro che difensiva.
Lo scorso luglio la Camera e il Senato, in base a quanto deciso dalle commissioni estere congiunte, hanno deliberato di estendere fino al 31 dicembre la presenza dell’unità missilistica italiana in Turchia.
Stoltenberg ha inoltre informato che sono in corso colloqui tra Italia e Francia, coproduttrici del sistema missilistico Samp-T, e la Turchia che lo vuole acquistare.
A questo punto, in base al decreto annunciato dal ministro degli Esteri Di Maio di bloccare l’export di armamenti verso la Turchia, l’Italia dovrebbe ritirare immediatamente il sistema missilistico Samp-T dal territorio turco e impegnarsi a non venderlo alla Turchia.
Continua così il tragico teatrino della politica, mentre in Siria continua a scorrere sangue.
Coloro che oggi inorridiscono di fronte alle nuove stragi e chiedono di bloccare l’export di armi alla Turchia, sono gli stessi che voltavano la testa dall’altra parte quando lo stesso New York Times pubblicava una dettagliata inchiesta sulla rete Cia attraverso cui arrivavano in Turchia, anche dalla Croazia, fiumi di armi per la guerra coperta in Siria (Il manifesto, 27 marzo 2013).
Dopo aver demolito la Federazione Jugoslava e la Libia, la Nato tentava la stessa operazione in Siria. La forza d’urto era costituita da una raccogliticcia armata di gruppi islamici (fino a poco prima bollati da Washington come terroristi) provenienti da Afghanistan, Bosnia, Cecenia, Libia e altri paesi.
Essi affluivano nelle province turche di Adana e Hatai, confinante con la Siria, dove la Cia aveva aperto centri di formazione militare. Il comando delle operazioni era a bordo di navi Nato nel porto di Alessandretta.
Tutto questo viene cancellato e la Turchia viene presentata dal segretario generale della Nato come l’Alleato «più esposto alla violenza e alla turbolenza proveniente dal Medioriente».


La Turchia all’attacco dei curdi con il secondo esercito Nato (Il Sole 24ore):
di Roberto Bongiorni
La sfida è impari. E a meno che non entrino in gioco nuovi attori,l’esito appare scontato. Il confronto militare tra il potente esercito turco e le male armate milizie curdo-siriane, le Ypg, appare come la lotta di Davide contro Golia. Nella quale però Davide non sembra disporre nemmeno della fionda.
Moderni elicotteri da combattimento, caccia, sistemi radar all’avanguardia, carri armati di nuova generazione. E una delle fanterie più grandi al mondo. Quello turco è il secondo esercito della Nato (su 29 Paesi membri), e non solo per numero di effettivi (circa 400mila). 
Le milizie Ypg non hanno certo l’aviazione, né i carri armati di ultima generazione, tanto meno sistemi radar all’altezza della situazione. «Non abbiamo a disposizione armi pesanti che potrebbero essere utili contro l’aviazione o i carri armati turchi», ha confermato ieri una fonte delle Ypg alla Reuters.
Non sono nemmeno così numerosi, circa 35mila quelli inquadrati nelle Syrian Democratic Forces (Sdf), la coalizione multi-etnica di 40mila uomini voluta dagli Stati Uniti per fronteggiare l’Isis. Certo, dalla loro parte c’è il fatto di conoscere il loro territorio, le loro montagne, ma poco di più.

Il precedente di Afrin parla chiaro. «Ramoscello d’ulivo», la seconda campagna militare contro le Ypg, scattata nel gennaio 2018, è stata davvero rapida. In meno di due mesi le forze turche sono riuscite ad prendere possesso di uno dei tre cantoni di cui è composto il Rojava, quel Kurdistan siriano che dal 2011 è amministrato in totale autonomia dai curdi (per quanto Damasco non lo riconosca.)
Il maggior freno al successo della nuova operazione turca non è rappresentato dal potenziale bellico del nemico quanto dall’impatto sull’economia. Proprio ieri il ministero del Tesoro turco ha precisato che non vede alcun impatto negativo di lungo termine dalla campagna militare in corso, eppure la lira turca ha subito una decisa flessione nei confronti del dollaro, la più alta da agosto.
Certo, il costo dell’ultima guerra di Erdogan è difficile da valutare. Dipenderà dalla durata, dagli sforzi bellici che saranno messi in campo, dal tipo di armi utilizzate. Crisi o crescita, Erdogan ha sempre fatto della Difesa una priorità. Come spiega al Sole 24 Ore Pieter D. Wezeman, analista dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), anno dopo anno la Turchia, che detiene il 15simo esercito del mondo, sta accrescendo la sua spesa militare. 
E ciò nonostante la perdurante incertezza economica. «Nel 2018 – spiega Wezeman - il Governo turco ha destinato 19 miliardi alle spese militari. Occorre fare attenzione non solo al dato assoluto ma al trend. Dal 2017 l’incremento è stato davvero consistente. E comunque dal 2009 ad oggi le spese militari turche sono aumentate del 65 per cento. Più della Francia, più del Regno Unito, più della Germania».
Certo, quando si parla di spese militari, nessuno si avvicina agli Stati Uniti. Nel 2018 Trump le ha aumentate di 49 miliardi di dollari, portandole complessivamente a 649 miliardi (più di un terzo della spesa globale).

A frenare l’appetito bellico di Erdogan, reduce da una débâcle nelle ultime elezioni amministrative, è il rischio di un ulteriore rallentamento dell’economia. 
Che potrebbe essere esacerbato dal potenziale pacchetto di sanzioni a cui sta lavorando un gruppo di senatori del Congresso. Se dovessero passare, dovrebbero scattare nel caso in cui la Turchia continuasse la sua offensiva. Già in luglio gli Usa stavano valutando un round di sanzioni contro il Governo turco. In quel caso la ragione era stata l’arrivo in Turchia dei primi componenti del sistema di difesa aerea S-400 di fabbricazione russa.
Il Pentagono intende estromettere Ankara dai contratti relativi alla componentistica degli ultra-moderni F-35 e sospenderà le consegne dei cacciabombardieri già ordinati. 
Il timore che i sofisticati radar del sistema S-400 possano catturare informazioni sensibili ha prevalso su tutto. «Gli Usa non forniranno i programmi manifatturieri degli F-35 - continua Wezeman - e potrebbero valutare di limitare l’export di altri armamenti. 
L’analista dell’Ispi conclude aggiungendo un altro elemento che potrebbe mettere in difficoltà Erdogan. «C’era un accordo tra Germania e Turchia che vietava l’uso dei carri armati tedeschi nella campagna contro i curdi, e che contemplava la sospensione delle forniture se ciò fosse accaduto». Altri Paesi starebbero seguendo l’iniziativa tedesca. «Francia e Italia stanno invece continuando a fornire armi all’esercito turco che potrebbero essere utilizzate in questa guerra. Come gli elicotteri italiani da combattimento Mangusta. 
Ma non è escluso che possano prendere provvedimenti».
Insomma, il “sultano” Erdogan sembra determinato ad andare avanti. Ma il conto della sua nuova avventura militare rischia di essere salato.






3 commenti:

  1. "Non è affatto da sottovalutare la guerra che la NATO sta favorendo, tramite il Fratello Erdogan, per consolidare il Nuovo Ordine Mondiale", infatti da lì potrebbe venire ad innescarsi un escalation militare con lo scopo di coinvolgere prima l'Iran che è la vera preda, e poi successivamente da lì gettare le basi per il conflitto globale con l'entrata in scena di due schieramenti principali, da una parte l'esercito di Gog e Magog (Russia e Cina) e i rispettivi alleati, mentre dall'altro l'allenza Nato, quindi l'Occidente e i suoi alleati. Poi da lì transumanesimo per tutti (i sopravvissuti), per ripartire dalle ceneri e ricostruire (rimodellare) il mondo secondo i criteri dell'Ordine Mondiale prossimo.

    RispondiElimina
  2. Me lo auguro anch'io che non sia cosi, anche se la tendenza predominante a quanto pare ci sta conducendo in quella direzione. La questione è questa: quale delle due tipologie principali di Ordine Mondiale prevarrà? quello "morbido" e stabile (euroasiatico) con le turbolenze geopolitiche ridotte al minimo o quantomeno gestibili o quello distruttivo e caotico (euroatlantico)?

    RispondiElimina