martedì 31 dicembre 2019

I SATURNALIA E LA BEFANA


Con il nome di Saturnalia i Romani facevano riferimento a delle particolari celebrazioni, che andavano dal 17 al 23 dicembre, in cui l’ordine sociale veniva sovvertito.
Le feste prendevano il nome dal dio Saturno, corrispondente del greco Crono e padre di Giove/Zeus, che si riteneva imperasse durante la mitica “età dell’oro”, quando sulla terra regnavano pace e abbondanza; per questo i suoi festeggiamenti, affinché fossero di buon auspicio, avvenivano durante la parte dell’anno in cui cadeva il solstizio d’inverno e in cui si attendeva – in un momento ‘buio’ come dicembre – la ‘rinascita’ della natura. 
Non è un caso che queste celebrazioni facevano da preludio al “dies natalis Solis Invicti” (giorno di nascita del Sole Invincibile), che cadeva il 25 dicembre, e che in epoca cristiana coincideranno con l’Avvento. Tuttavia, i Saturnalia, più che ricordare il nostro Avvento, ricordano semmai il Carnevale, per il carattere di burla e di sovversione; difatti, durante le feste si allestivano grandi banchetti, con canti, danze e finanche orge, per ricordare l’opulenza dell’età dell’oro, inoltre era concesso agli schiavi di banchettare e di poter prendere in giro i padroni, secondo la logica del capovolgimento sociale. Perché tutto ciò? 
Forse perché Tolerabile est semel anno insanire, frase attribuita a Seneca, meglio nota come Semel in anno licet insanire, ovvero “una volta all’anno è lecito essere folli”; questo per una sorta di funzione catartica attribuita alla ‘follia’, all’‘uscire fuori dagli schemi’, che favoriva una sorta di liberazione corale, che l’autorità costituita era consapevole di non poter reprimere per tutto l’anno e i Saturnali, dunque, fungevano da valvola di sfogo. Non è un caso che, anche quando la Chiesa vietò queste feste, nel corso del Medioevo ne nacquero altre simili, si pensi alla Festa dei Folli in Francia; chi di noi non ricorda la celebre scena in "Notre Dame de Paris" quando il gobbo Quasimodo viene incoronato re dei folli, proprio durante questi festeggiamenti? E non è un caso – a ribadire la discendenza dalla cultura latina – che anche durante i Saturnalia si eleggesse, spesso tra le persone appartenenti allo strato sociale più basso, un “princeps Saturnalicius” (principe dei Saturnali), cui si faceva indossare una veste rossa (colore che alludeva forse ad Ade, dio degli Inferi). Sebbene il cristianesimo abbia cercato in tutti i modi di reprimere questi antichi culti pagani, alla fine in una maniera o nell’altra questi tornavano alla luce, perché il desiderio di liberarsi dalle leggi per ritornare al caos primordiale è da sempre stato insito nell’uomo; così, benché in maniera molto più edulcorata, questa antica festa è stata spostata verso febbraio e oggi costituisce il Carnevale.



La Dodicesima Notte e "Befana"
La notte fra il cinque e il sei Gennaio è da sempre una notte di grande festa, durante la quale i fuochi e gli ultimi doni chiudono il ciclo delle feste solstiziali.
Già da tempi antichissimi la festività era indicata con il termine Epifania, derivato dal greco, epifaneia, che ha il significato di manifestazione, apparizione, venuta, presenza divina, e dal verbo, epifaino, appaio. Già presso i Romani l’Epifania, intesa come manifestazione del divino, chiudeva i festeggiamenti per i Saturnalia, le festività in onore del Dio Saturno che sottolineavano il Solstizio d’inverno.
Meravigliosamente i simboli superano nella loro semplicità ed efficiente comunicabilità tutte quelle differenze che rendono l’ecumenismo un miraggio, e nella loro universalità annullano le differenze fra religioni e razze abbattendo confini e culture in un universo denso di significato ma privo di spazio e tempo. 
E’ il caso del numero "dodici", infatti proprio nella dodicesima Notte dopo il "solstizio d’inverno", apice dei Saturnalia, il popolo romano festeggiava l’Epifania, ovvero la manifestazione divina, che chiudeva un ciclo di feste caratterizzate dal capovolgimento delle regole. A partire dal II secolo l’Epifania era festeggiata con un rito molto singolare durante il quale si organizzava un banchetto per gli animali domestici i quali sarebbero stati serviti dai propri padroni per impedire loro di acquisire il dono della parola.
Altri riti legati ai Saturnali hanno dato origine, nel giorno dell’Epifania, all’elezione di "Re Burla" come accadeva nella "Festa dei Pazzi" a Parigi, sul sagrato di Notre Dame.
Mentre a Roma e nelle grandi città dell’Impero si festeggiava l’Epifania Saturnaliium, nelle zone rurali i contadini accendevano i loro fuochi in onore della Dea Madre al ritmo lunare e non solare. Nella lettura volgare il termine "Epifania" si è trasformato in "Pifania" e da lì in "Befana".
Giunta alla fine del suo ciclo, la Madre Terra è, in questo periodo vecchia e decrepita, stanca e vuota dopo aver dato tutti i suoi frutti ed energie all’umanità.
Ella vuole solo riposare, lasciarsi incenerire dal fuoco nascente dopo il massimo dell’oscurità, ma prima lascia un suo ultimo dono in ogni casa, nei pressi del focolare, simbolo dell’Asse del Mondo nella società rurale.
Presto alla Madre Terra furono date le fattezze di una Vecchia che, a cavallo di una scopa fatta di rametti secchi, girava di casa in casa lasciando frutta e altre cibarie in dono, specie per i più piccini.
Nacquero così, in quei tempi lontani, riti ancora oggi vivi durante i quali fantocci di legno e paglia rappresentanti vecchie con la scopa erano bruciati in grandi falò attorno ai quali grandi e piccini danzavano.
In genere, la vecchia rappresentava, come detto, la Madre Terra incenerita dal Sole che sarebbe rinata in primavera dalle sue stesse ceneri. Questi falò erano una sorta di esorcismo contro le privazioni passate.
Un altro rito propiziatorio delle campagne era la questua alimentare, fatta di casa in casa dai bambini della comunità. La questua era accompagnata da canti e filastrocche allo scopo di scacciare le manifestazioni terribili della natura. Per coloro che dalla Terra traggono sostentamento, infatti, la Madre, ha una doppia natura: una benefica e una malefica.
Essa è una madre che nutre i suoi figli ma che, anche, li umilia, frustra e sconfigge con le carestie, i diluvi, le grandinate, le gelate, la siccità e via discorrendo.



La Festa dei Fuochi
Le società rurali sono, per loro definizione, tradizionali e legate al passato.
Se nelle grandi città poco e nulla rimane dei riti saturnali e solstiziali in genere, i falò contadini sopravvivono ancora oggi come fulcro dei festeggiamenti invernali, specie nell’Italia Settentrionale e, in modo particolare in Veneto, Piemonte e Lombardia.
La notte del 5 Gennaio, le oscure pianure venete e friulane si accendono dei mille falò del Panevin, antico rito contadino arcaico legato, appunto, alle celebrazioni solstiziali pre-cristiane.
Il nome della festa è una parola che, scomposta, parla di pane e vino, cioè di sostentamento e, dunque, di benessere dichiarando il carattere augurante ma anche esorcizzante del rito.
Questa festa dei fuochi interessa le ’terre basse’ attraversate da fiumi storici come il Piave, il Livenza, il Tagliamento; e sulle colline venete e sui monti del vicino Friuli. Lungo questo tragitto, splendono falò costituiti da grandi, a volte gigantesche pire, fatte da sterpaglia, rimasugli delle potature, tralci di vite, fascine di rovi ecc.
In cima alla pira è sistemato un pupazzo grottesco, la Befana chiamata "Maràntega".
Tutta la festa è fortemente simbolica: il fantoccio della Maràntega rappresenta tutte le cose dalle quali liberarsi, come la miseria e le malattie, la carestia e la siccità ecc., che finiscono nel sacco del passato.
Così le faville rosse del falò e le volute del fumo caldo sono simbolo dell’avvenire gonfio di speranze e aspettative e così la tradizione vuole che questa sia una notte di presagi e di vaticini.

Un aruspice osserva e legge nelle faville danzanti nel vento o nelle gravide volute di fumo il futuro della comunità stretta intorno al falò, in attesa di sentire annunciare prosperità e benevolenza da parte della Madre Terra per l’anno che verrà e che si ridesterà in tutto il suo fulgore in primavera.
Una volta annunciato l’ultimo auspicio regina della festa sarà la ’pinsa’, un dolce casalingo, un tempo molto rustico ma evolutosi nei secoli.
A ogni falò potrete assaggiarlo in ben sette gusti come vuole la consolidata tradizione, nel solito sposalizio del dio e della dea primordiali, l’assaggio delle tonde pinse preparate dalle massaie è accompagnato dalla degustazione dei vini del contadino.
Una storia popolare vuole che a Santa Maria di Faletto, sotto una sfavillante pira, il poeta contadino Nino Mura, di origine solighese, declamasse rigorosamente in dialetto una profezia... del tutto inaspettatamente gli rispose il professor Trump, scozzese, ululando in gaelico.

Il Piemonte, la Brianza e l’Alto milanese sono anch’esse illuminate da fuochi simili, in onore di una vecchia strega: la Giubiana (il nome varia leggermente secondo il paese) durante la notte dell’ultimo giovedì di Gennaio.
Come la Maràntega, anche la Giubiana rappresenta la Madre Terra vecchia e stanca. Anche la pira della Giubbiana rappresenta il rogo di un passato carico di cose da dimenticare, bruciare e le faville che s’innalzano leggere nell’oscurità sono le speranze degli astanti portante in cielo dal fumo denso e gonfio del falò.
La Pira, in questo caso è formata da un enorme fantoccio di legno e paglia vestito di stracci. L’origine del nome Giubiana è sconosciuta poiché sono assenti fonti scritte, tuttavia, molti riconducono questa celebrazione al culto di Giove e Giunone, divinità tutelari della famiglia, rappresentanti il Cielo e la Terra.
Secondo la tradizione popolare la Giubiana è una strega, spesso magra e dalle gambe molto lunghe vestite da calze rosse. Vive nei boschi e, grazie alle sue lunghe gambe, non mette mai piede a terra, ma si sposta di albero in albero.
Così osserva tutti quelli che entrano nel bosco e li fa spaventare, soprattutto i bambini. Ogni ultimo Giovedì di Gennaio va alla ricerca di qualche bambino da mangiare.
Ma una mamma, che voleva molto bene al suo bambino, le tese una trappola. Preparò una gran pentola piena di risotto giallo allo zafferano con la luganega (salsiccia), e lo mise sulla finestra. Il profumo era delizioso, da far venire l’acquolina in bocca. La Giubiana sentì il buon odore e corse con la sua scopa verso la pentola e cominciò a mangiare il risotto. Il risotto era tanto ma era così buono, che la Giubiana non si accorse che stava per arrivare il Sole. Il Sole nascente incenerì la strega che era una creatura dell’oscurità e così il bambino fu salvo.
Esiste anche un’altra versione, secondo la quale una mamma prese una bambola e la riempì di coltelli e forbici, poi la mise nel letto, al posto della figlia.
A mezzanotte la bimba spaventatissima, si strinse vicino alla mamma, mentre si sentiva la Giubiana salire i gradini ed entrare nella stanza dove giaceva la bambola che la madre aveva riempito di forbici e coltelli.
Nella sua ferocia, la Giubiana ingoiò in un sol boccone la bambola credendo che fosse la bambina, ma subito fu costretta a emettere un urlo raccapricciante. La mamma andò nella stanza della bimba e trovò il corpo della Giubiana in brandelli, per via dei coltelli e delle forbici. Con il sorgere del sole il corpo dell’orchessa fu bruciato.
In memoria di questa leggenda dopo il rogo viene servito il risotto della Giubiana con zafferano e salsiccia. Questo mito ricorda molto quello di Saturno, anche lui divoratore di fanciuli, ovvero dell'avvenire.
Infine, nel Mondo Cristiano, la festa dell’Epifania fu canonizzata nel III Secolo e commemora l’adorazione dei Magi presso il Bambinello.

Tale Adorazione simboleggia la Manifestazione della natura divina di Gesù Bambino, tuttavia, per la Chiesa Ortodossa, tredici giorni dopo Natale (secondo il calendario Giuliano) si commemora il battesimo di Gesù, altro importantissimo momento della manifestazione divina del Bambinello. Anche in questo caso l’Epifania sottolinea la morte del vecchio e la nascita del nuovo, là dove Gesù rappresenta non solo il Sole Invicto o la nascita della nuova religione cristiana ma, in un’ottica più universale e certo più evangelica (nell’accezione di Buona Novella) del nuovo Regno d’Amore che si sostituisce alle Tenebre del Regno della Paura e dell’Assenza di Dio. 
Infatti, l’Epifania, a tutte le latitudini e in tutte le epoche è il simbolo della conoscenza da parte dell’Uomo di Dio e dunque dell’inizio, per l’Umanità, di un momento di speranza e splendore; l’inizio di un viaggio verso l’origine o età dell’Oro che dir si voglia sotto la guida amorevole della divinità.
Chiunque sia la vostra Befana, da qualunque paese vengano i vostri Magi, in qualunque modo vorrete salutare la Madre Terra, possa manifestarsi nei vostri cuori quella certezza del divino che, nella notte dei tempi, portó i nostri sconosciuti antenati a festeggiare tanto allegramente.

http://www.cronacheesoteriche.com/festeEpifania.jsp
https://www.ilmattinodifoggia.it/blog/alba-subrizio/34677/i-saturnalia-l-avvento-dei-romani.html?refresh_ce

domenica 29 dicembre 2019

CONTRO IL PRIMATO ARTISTICO DELLA MACCHINA SULL'UOMO

Questo sgorbio realizzato con un FX tipo "trasparenza porta a vetro" è un’opera d’arte realizzata dall’intelligenza artificiale. L’ha appena battuta all’asta Christie’s, che l’aveva stimata fra i 7 e i 10mila dollari ma l’ha piazzata alla cifra record di 432.500 dollari, nel corso di una sessione di vendita a New York. Il dipinto, tratto da un gruppo di undici ritratti raffiguranti i componenti dell’immaginaria famiglia Bellamy, è in realtà il frutto di un progetto di un collettivo francese di artisti 25enni, Obvious.

L'opera d'arte non deve necessariamente essere "bella o brutta", può essere quello che vuole, ma per essere tale deve prevedere e contemplare una certa dose di originalità, un'estetica personale ed una forte volontà creativa della persona o delle persone che la realizzano, deve rappresentare qualcosa di unico e raro.
L'opera d'arte deve far pensare, sognare, far provare emozioni, anche provocare, ma si porta dietro la sua grammatica, il suo linguaggio, i suoi simboli, i suoi significati, non deve avere utilità come un bagno pubblico, deve nutrire le menti, lasciare dei segni, seminare elementi che poi verranno elaborati nel tempo. Quando non lascia traccia, significa che l'autore non è riuscito a comunicare nulla o che l'opera valeva poco.
Nella nostra epoca attribuiamo valenze artistiche ad ogni forma di creazione industriale, come il design di un palazzo, di una macchina, di un cellulare, di un salotto, la stessa moda, fino l'oggettistica d'arredamento, ed è forse per questo motivo che il concetto di Arte, inteso in senso tradizionale, è morto. La differenza però è molto semplice, un quadro, una scultura, un brano musicale, conservano l'impronta dell'artista e la loro unicità è in qualche modo eterna, una sorta di impronta digitale che si distingue da tutte le altre e, per quanto possa ricordarci qualcosa di già visto o sentito, sarà sempre differente da tutto il resto, al contrario, tutto ciò che viene prodotto in serie, ripetuto, clonato, per quanto degno di interesse estetico, perderà quel primato originale.
Oggi, nella psicologia di massa della nostra veloce e vorace società, per far emergere un'opera, non si tende più ad andare in profondità, trasmettendo visioni e significati archetipici, nell'era della ripetizione, si tenderà a scioccare lo spettatore, ad urlare di più, ad alzare il volume.
L'originalità e la lenta semina vengono sostituiti dalla provocazione, dal plagio emozionale, vince l'istinto primordiale di cogliere quell'attimo per suggestionare, come succede nella pubblicità, il linguaggio è concettualmente simile.
Duchamp, oggi, esporrebbe nei cimiteri delle biennali un quadro potente e denso, e non certo un orinatoio come nel 1917, perché la sua provocazione aveva senso all'epoca, oggi, dopo più di un secolo, si replica all'infinito quella stessa provocazione, decontestualizzandola e ripresentandola spudoratamente come novità. Ecco che per 60 anni ci siamo subiti "merde d'artista" all'infinito, merde tutte uguali che non dissacravano nulla, tranne appunto la prima, realizzata in quel dato momento storico, dove poteva avere un senso preciso, dopo, paradossalmente, assumeva il significato opposto, ovvero, di conservazione, di chiusura mentale, in qualche modo di morte.
Equivoco su equivoco, voluto ed alimentato per un discorso solo speculativo e di potere, legittimo per chi ne trae vantaggio, oggi decisamente da destrutturare, spezzando l'incantesimo, in nome proprio del gesto simbolico di rottura dello stesso Duchamp.
Oggi artisti transumanisti, ovvero, ingegneri con "velleità creative", sponsorizzano intelligenze artificiali che, debitamente programmate, deformano attraverso un innumerevole serie di pattern e frattali matematici, quadri d'epoca, affermando che le macchine possono creare Arte in serie, limitandosi ovviamente a storpiare.
Non ha alcun senso far replicare ad una macchina, con l'equivoco che sarebbe la macchina a crearle, e così non è, opere d'arte. Semmai ha senso usare la tecnologia per creare opere possibilmente originali, interessanti e che portino qualcosa di nuovo nel triste panorama odierno.
La macchina in questione non crea nulla, fa quello che fa una stampante, esegue ed illude gli stolti,
Sarebbe meglio dire, più onestamente, arte manipolata tramite le macchine, ma NON arte fatta dalle macchine, perché così non è.
Si crea un equivoco culturale, fingendo di aver creato qualcosa di nuovo. Oltretutto, certe manipolazioni si possono fare con qualsiasi buon programma dedicato, senza invocare moloch senzienti, che poi tali non sono, perché sono programmati per essere operativi, l'intelligenza è altra cosa.
Stiamo confondendo strumento con volontà creatrice, confondiamo contenitore con contenuto e nell'epoca del post-umano, dove abbiamo giustamente abdicato i vecchi oracoli, orfani, ne creiamo altri più artificiali, quindi la volontà di potenza dell'uomo rinuncia ad esprimersi ed affermarsi, delega al nuovo oracolo digitale la creatività che un tempo coltivava, rassegnadosi al random di un pattern cibernetico. E' l'uomo che crea l'opera d'arte, quindi se si usa la tecnologia per realizzare copie e manipolazioni di quadri esistenti fatti in serie, ed io sono laicamente pronto ad accettare qualsiasi sperimentazione (ma che sia tale), la dovremmo chiamare "programmazione di arte cibernetica per produzione seriale", non confonderla come volontà di potenza di una macchina che, realisticamente, fa solo quello che noi vogliamo. 
"Metropolis" e "2001-Odissea nello spazio" hanno già splendidamente mostrato il superamento ed il fallimento del dominio della macchina sull'uomo, oggi stiamo tornando indietro, siamo affascinati dal nuovo totem come novelli uomini delle caverne, tribali e tecnologici.


La macchina ESEGUE operazioni di programmazione, l'artista DECIDE cosa realizzare. 
Gli scenari determinati dalla tecnologia potrebbero essere infiniti e stupefacenti, magari usare le potenzialità per espandere il nostro di ingegno, ma senza farsi dominare dalla macchina, perché in quel caso non ci sarà mai una rivoluzione, una vera evoluzione, una nuova creazione, ma solo ripetizione e noia, l'esatto contrario di Arte.
E' un pensiero squisitamente reazionario, per quanto legittimo, quello di far "implodere" i gesti artistici nel replicare schemi sempre uguali, è pura masturbazione fine a se stessa, ancor peggio illudersi che sia un robot a crearli. 
E' tipico delle dittature un'Arte che replica se stessa, basta guardare la cosiddetta Arte di Stato nei fascismi e nei comunismi, un'arte paradossalmente molto simile alle nuove avanguardie, che oggi abbracciano anche la tecnologia usata come rotativa, un'arte che si basa sulla ripetizione, sullo snaturamento dell'individuo, sulla soppressione del pensiero creativo, premiando appunto l'estetica da propaganda (gli esempi del faccione del duce, ripetuti e clonati sui palazzi, anticipano di quasi mezzo secolo la pop-art e la pubblicità). 
Non può esserci novità nella replica ad oltranza, è la morte dello spirito questa "simmetria industriale". Non c'è nessuna sinapsi che lavora per intuire e cogliere nuovi modelli estetici, che non siano quelli di programmare una macchina e glorificarla, annichilendo l'uomo a subalterno, è una volontà che sottende un'ideologia transumanista pervasiva e mortifera. 
E' la celebrazione del congegno e non di cosa serva codesto congegno. 
E' il COME che si è sostituito al PERCHE' delle cose, è pensiero magico scambiato per libertà, quindi fotocopie scambiate per Arte. Dispiace ribadirlo, ma questo paradigma vigente è il vero "fascismo culturale". Paradossalmente, anche sotto il ventennio c'erano artisti meravigliosi come Sironi, a mio avviso, uno dei più grandi artisti del secolo passato, che compensavano tanta brutta Arte di stato, in parte anche della sua, quando doveva fare marchette, ma la sua produzione vera ed importante, ci ha donato opere e visioni eccezionali di una sensibilità e di una poesia difficilmente replicabili; perfino sotto quella brutale dittatura c'erano lavori degni di interesse che potevano avere voce in capitolo e non essere sepolti dal conformismo dilagante.

Questo paradigma del "NUOVO" a tutti i costi, è in realtà una visione passatista, per questo motivo le nuove avanguardie, che da oggi dovrebbero chiamarsi "retroguardie", vanno verso un discorso di pensiero unico. Non c'è nessuna complessità, arricchimento e varietà in questo, c'è la negazione della differenza, sostituita dallo scimmiottamento della macchina eretta a totem e non utilizzata solo come mero strumento, ma come mente. La pigrizia culturale fa si che l'autore goda nel delegare al novello HAL 9000, la voglia di pensare, di creare, in un certo senso, anche di vivere. Da oggetto, la macchina diventa soggetto, a differenza di Pinocchio, però, il nuovo golem non cerca l'anima.
Ciò non è colpa della tecnologia in quanto tale, ma delle mode del momento e della passività intrinseca di chi vorrebbe essere sostituito nella sua funzione primaria, un "nuovo" ideologico che auspica la fine del libero pensiero, oscurando e censurando tutti gli esempi di artisti fuori dal coro, di tutti i generi considerati "cattivi esempi" per il conformismo imperante, che metterebbero in discussione l'attuale governance dell'Arte Moderna. L'accettazione acritica dello status quo rappresenta il tipico atteggiamento fideistico religioso di un tempo.

La tecnologia è sicuramente meravigliosa, la usiamo quotidianamente e svolge funzioni importanti nella vita quotidiana, ma per dominarla ed utilizzarla al meglio, per soddisfare le nostre comodità e renderci più "liberi e felici", dobbiamo comprenderne le derive e capire che deve essere considerata sempre e solo uno strumento per migliorare la qualità della nostra vita. Se deve diventare un ostacolo, un impedimento, una perdita di tempo od un pericolo, bisogna utilizzarla in altro modo.
Se l'arte è relegata solo alla replica di se stessa ed alla finta provocazione che non scomoda nessuno (e sono 60 anni che viene ripresentata come nuova, come in un loop all'infinito), diventa noia, non emoziona, ci abbruttisce dentro, significa che l'Arte ha abdicato al suo ruolo, diventando effimera, superficiale, triviale, consumistica e fine a se stessa.
Sarebbe allora auspicabile una rivoluzione, un nuovo rinascimento culturale, un risveglio dal sonno della ragione, più poesia e meno cibernetica, più originalità e meno ripetizione. 
Al contrario, l'ignavia e la supponente passiva accettazione di questo schema (chiamasi alibi ed omertà), cela una volontà di delega creatrice al nuovo moloch, una svelata volontà di umana IMPOTENZA.


mercoledì 25 dicembre 2019

L'ALBERO DI NATALE E SANTA CLAUS. LE RADICI MITOLOGICHE DI DUE ANTICHI SIMBOLI


Bentornati, cari bambini di ogni latitudine, e buone feste...
Vi presento un articolo molto interessante, tratto dal blog JUNGITALIA, che parla delle origini lontane dei simboli dell'albero di natale e di babbo natale, che trovano riscontri in diverse religioni e culti antichi. Personalmente, la figura di babbo natale ha sempre inquietato. Da bambino avevo paura che entrasse di notte da qualche parte remota della casa e, non avendo il camino, mi chiedevo cosa escogitasse per posare i regali sotto l'albero senza farsi vedere, e fin dall'ora, la mia anima dietrologica si poneva diverse domande.
Perché usa le renne e la slitta?
Come fa nella stessa notte ad arrivare nelle case di tutti i bambini? 
Quanti sono i babbi natale?
Babbo natale è buono o cattivo?
Fino a... "Che cazzo vuole babbo natale? Tanto so che me li comprano i miei genitori i regali"
In quel momento, verso i 7 anni, iniziava a svanire la magia del natale, ma rimase sempre la voglia di ricevere tanti giocattoli.
L'albero di natale, invece, l'ho vissuto come una gran rottura di scatole, tutte quelle decorazioni che ti rimanevano sui vestiti, quei maledetti fili delle luci che si aggrovigliavano, ed il gatto che puntalmente vomitava dopo aver ingerito i pilucchi delle stelle filanti.
La magia del natale può tornare anche per noi adulti rimasti un po' bambini, scoprendo le radici antiche di questi simboli lontani ed ancora attuali.
MDD

L’albero di Natale e Santa Claus: le radici mitologiche di due antichi simboli
Emanuele casale

L’Albero di Natale: tra mitologia e antropologia:
Ci dice Jung riguardo l’albero di Natale:
L’albero di Natale è una di quelle antiche usanze che nutrono l’anima, che nutrono l’uomo interiore.
L’albero decorato e illuminato, si ritrova anche indipendentemente dalla natività di Cristo e anzi in contesti non cristiani.
Per esempio nell’alchimia, quell’inesauribile inesauribile riserva dei simboli dell’antichità, il significato dei globi lucenti che appendiamo all’albero di Natale: non sono altro che i corpi celesti, il sole, la luna, le stelle; l’albero di Natale è l’albero cosmico.
Ma, come mostra chiaramente il simbolismo alchemico, è anche un simbolo della trasformazione, un simbolo del processo di autorealizzazione.
Secondo talune fonti alchemiche, l’adepto si arrampica sull’albero: un motivo sciamanico antichissimo. Lo sciamano, in stato estatico, sale sull’albero magico per raggiungere il mondo superiore, dove troverà il suo vero essere. Arrampicandosi sull’albero magico, che è al tempo stesso l’albero della conoscenza, egli si impossessa della propria personalità spirituale.

Albero Cosmico o Albero della vita, preso dal Libro Rosso di Jung

Allo sguardo dello psicologo, il simbolismo sciamanico e alchemico è la rappresentazione in forma proiettiva del processo di individuazione. Come questo poggi su base archetipica è dimostrato dal fatto che i pazienti del tutto privi di nozioni di mitologia e di folklore producono spontaneamente immagini incredibilmente simili al simbolismo dell’albero storicamente attestato.
L’esperienza mi ha insegnato che gli autori di quelle rappresentazioni cercavano in tal modo di esprimere un processo di evoluzione interiore indipendente dalla loro volontà cosciente.»
(Tratto da Jung Parla. Interviste e Incontri)

Alla base dell’albero natalizio ci sono gli antichissimi usi, tipici di varie culture, di decorare i vari Alberi del Paradiso con nastri e oggetti colorati, fiaccole, piccole campane, animaletti votivi, e la credenza che le luci, che li illuminavano, corrispondessero ad altrettante anime.
Allo stesso modo venivano ornati anche i vari Alberi cosmici con simboli del Sole, della Luna, dei Pianeti e delle stelle. In particolare l’abete era sacro a Odino, potente dio dei Germani.
L’abitudine di decorare alcuni alberi sempreverdi era diffusa già tra i Celti durante le celebrazioni relative al solstizio d’inverno.
I Vichinghi dell’estremo Nord dell’Europa, per esempio, dove il sole “spariva” per settimane nel pieno dell’inverno, nella settimana precedente e successiva al giorno con la notte più lunga, si officiavano le solennità per auspicare il ritorno del sole e credevano che l’abete rosso fosse in grado di esprimere poteri magici, poiché non perdeva le foglie nemmeno nei geli dell’inverno: alberi di abete venivano tagliati e portati a casa, decorati con frutti, ricordando la fertilità che la primavera avrebbe ridato agli alberi.
I Romani usavano decorare le loro case con rami di pino durante le Calende di gennaio.

Albero sciamanico/cosmico
L’albero come simbolo del Cristo


Con l’avvento del Cristianesimo l’uso dell’albero di Natale si affermò anche nelle tradizioni cristiane, anche se la Chiesa delle origini ne vietò l’uso sostituendolo con l’agrifoglio, per simboleggiare con le spine la corona di Cristo e con le bacche le gocce di sangue che escono dal capo.



Nel Medioevo i culti pagani vennero generalmente intesi come una prefigurazione della rivelazione cristiana. Oltre a significare la potenza offerta alla natura da Dio, l’albero divenne quindi simbolo di Cristo, inteso come linfa vitale, e della Chiesa, rappresentata come un giardino voluto da Dio sulla terra.
Nella Bibbia il simbolo dell’albero è peraltro presente più volte e con più significati, a cominciare dall’Albero della vita posto al centro del paradiso terrestre (Genesi, 2.9) per arrivare all’albero della Croce, passando per l’Albero di Jesse.
L’albero natalizio ha una valenza cosmica che lo collega alla rinascita della vita dopo l’inverno e al ritorno della fertilità della natura.
L’albero cosmico o albero della vita è stato anche associato alla figura salvifica di Cristo e alla croce della Redenzione, fatta appunto di legno.
L’abete, sin dall’epoca egizia è stato posto in relazione con la nascita del dio di Biblo, dai Greci fu consacrato ad Artemide, protettrice delle nascite e sempre dai Greci era ritenuto simbolo della rinascita rappresentata dal nuovo anno.
Sarà poi venerato dai popoli dell’Asia settentrionale e, in particolare, dai Celti e dai Germani che lo associavano alla nascita del fanciullo divino e a sua volta alla festività del solstizio invernale.
Per il Cristianesimo l’abete diventò simbolo di Cristo e della sua immortalità.
Inoltre si noti la similitudine dell’albero con il pilastro cosmico chiamato Yggdrasill dalla mitologia nordica, fonte della vita, delle acque eterne, cui è vincolato il destino degli uomini: similitudini queste sincreticamente assorbite nel culto cristiano che celebra l’albero di Natale e la Croce stessa.

Il puntale:
In genere esso è utilizzato a forma di stella, che sta come rimando alla Stella Cometa che i Re Magi seguirono per raggiungere la grotta della Natività.
L’uso moderno dell’albero nasce secondo alcuni a Tallinn, in Estonia nel 1441, quando fu eretto un grande abete nella piazza del Municipio, Raekoja Plats, attorno al quale giovani scapoli, uomini e donne, ballavano insieme alla ricerca dell’anima gemella. Tradizione poi ripresa dalla Germania del XVI secolo.
Ingeborg Weber-Kellermann (professoressa di etnologia a Marburgo) ha identificato, fra i primi riferimenti storici alla tradizione, una cronaca di Brema del 1570, secondo cui un albero veniva decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta. La città di Riga è fra quelle che si proclamano sedi del primo albero di Natale della storia (vi si trova una targa scritta in otto lingue, secondo cui il “primo albero di capodanno” fu addobbato nella città nel 1510). Moderno albero di Natale nella città di Riga
Precedentemente a questa prima apparizione “ufficiale” dell’albero di Natale si può però trovare anche un gioco religioso medioevale celebrato proprio in Germania il 24 dicembre, il “gioco di Adamo e di Eva” (Adam und Eva Spiele), in cui venivano riempite le piazze e le chiese di alberi di frutta e simboli dell’abbondanza per ricreare l’immagine del Paradiso.
Successivamente gli alberi da frutto vennero sostituiti da abeti poiché questi ultimi avevano una profonda valenza “magica” per il popolo. Avevano specialmente il dono di essere sempreverdi, dono che secondo la tradizione gli venne dato proprio dallo stesso Gesù come ringraziamento per averlo protetto mentre era inseguito da nemici.
Secondo altre fonti l’albero di natale come è conosciuto oggi sarebbe originario della regione di Basilea in Svizzera dove se ne trovano tracce risalenti al XIII secolo.

Babbo Natale- Le origini nelle varie culture:
C’è un’origine molto “recente” di questa figura nell’immaginario delle persone più curiose e colte, ovvero quell’origine che farebbe risalire la figura di Babbo Natale a Santa Claus (nei paesi anglofoni), che a sua volta deriva principalmente dallo stesso personaggio storico:
San Nicola, vescovo di Myra (Turchia), di cui per esempio si racconta che ritrovò e riportò in vita cinque fanciulli, rapiti ed uccisi da un oste, e che per questo era considerato il Protettore dei bimbi.
L’appellativo Santa Claus deriva da Sinterklaas, nome olandese di San Nicola.

Origine Romana pre-cristiana:
Alcuni studiosi tendono ad identificare nella figura del dio Saturno (una delle più importanti divinità italiche, patrono dell’agricoltura e dei defunti) una di quelle che ha ispirato il mito di Babbo Natale.
Anticamente presso i romani dal 17 al 23 dicembre, in concomitanza con il Solstizio d’Inverno, si svolgeva la festività dei Saturnali, una festività religiosa (a volte anche dai tratti orgiastici) durante la quale era consuetudine scambiarsi dei doni e intrattenersi in grandi banchetti e feste per celebrare l’abbondanza ricevuta durante l’anno.
Successivamente con l’avvento del Cristianesimo la figura del dio Saturno fu sostituita con quella di San Nicola, mentre le usanze eccentriche di questa festività (come il travestirsi e fare scherzi rompendo il comune ordinamento sociale) vennero assorbite dal Carnevale, la cui celebrazione avviene poco prima dell’inizio del periodo della Quaresima che precede le celebrazioni pasquali.

Origini nel folklore germanico:
Prima della conversione al cristianesimo, il folclore dei popoli germanici, incluso quello inglese narrava che il dio Odino (Wodan o Wotan) ogni anno tenesse una grande battuta di caccia nel periodo del solstizio invernale (Yule), accompagnato dagli altri dei e dai guerrieri caduti.Odino l’errante, dio germanico
La tradizione voleva che i bambini lasciassero i propri stivali nei pressi del caminetto, riempendoli di carote, paglia o zucchero per sfamare il cavallo volante del dio, Sleipnir. In cambio, Odino avrebbe sostituito il cibo con regali o dolciumi. Questa pratica è sopravvissuta in Belgio e Paesi Bassi anche in epoca cristiana, associata alla figura di san Nicola.
I bambini, ancor oggi, appendono al caminetto le loro scarpe piene di paglia in una notte d’inverno, perché vengano riempite di dolci e regali da san Nicola – a differenza di Babbo Natale, in quei luoghi il santo arriva ancora a cavallo. Anche nell’aspetto, quello di vecchio barbuto dall’aria misteriosa, Odino era simile a san Nicola (anche se il dio era privo di un occhio).
Un’altra tradizione folklorica delle tribù germaniche racconta le vicende di un sant’uomo (in alcuni casi identificato con san Nicola) alle prese con un demone (che può essere, di volta in volta, un diavolo, un troll o la figura di Krampus) o un oscuro uomo che uccideva nei sogni (Blackman o pitchman). La leggenda narra di un mostro che terrorizzava il popolo insinuandosi nelle case attraverso la canna fumaria durante la notte, aggredendo e uccidendo i bambini in modo orribile.

Antica illustrazione datata 1881. L’autore è Thomas Nast che, insieme a Clement Clarke Moore, ha contribuito a creare la moderna immagine di Babbo Natale

Il sant’uomo si pone alla ricerca del demone e lo cattura imprigionandolo con dei ferri magici o benedetti (in alcune versioni gli stessi che imprigionarono Gesù prima della crocifissione, in altri casi quelli di san Pietro o san Paolo). Obbligato ad obbedire agli ordini del santo, il demone viene costretto a passare di casa in casa per fare ammenda portando dei doni ai bambini. In alcuni casi la buona azione viene ripetuta ogni anno, in altri il demone ne rimane talmente disgustato da preferire il ritorno all’inferno.
Altre forme del racconto presentano il demone convertito agli ordini del santo, che raccoglie con sé gli altri elfi e folletti, diventando quindi Babbo Natale.

Origini nel folklore islandese:
Gli islandesi amano dire che da loro ci sono ben 13 Babbo Natale perché la loro tradizione di doni a Natale è basata su 13 folletti, chiamati Jólasveinar, i cui nomi derivano dal tipo di attività o di cibo che preferiscono.
Una volta all’anno, due settimane prima di Natale, questi folletti fanno prima il bagno nelle acque calde delle sorgenti del lago di Niva, quindi lasciano le grotte dove abitano per portare ai bambini islandesi buoni dei doni.
Questi vengono messi nelle scarpe che i bambini hanno lasciato sotto le finestre. In pratica, i bambini islandesi, se sono stati buoni, ricevono tredici regali, uno per ogni giorno delle due settimane che precedono il Natale.
Questi folletti, tuttavia, possono essere dispettosi e a volte si divertono a fare scherzi o a spiare gli umani. Inoltre, se il bambino ha fatto il cattivo, riceve al posto dei doni delle patate

Curiosità:
La renna appare con Santa Claus poiché la tradizione lo ha fatto un personaggio proveniente dal Nord Europa.
La renna era sacra a Isa o Disa la dea Grande Madre degli Scandinavi.
Nel nord Europa la renna assume spesso il significato di simbolo lunare, come tutti gli altri cervidi, perciò ha ruoli funerari e di guida delle anime dei defunti nell’oltretomba, ma soprattutto ha ruoli notturni per cui è collegata a Santa Claus che giunge di notte portando doni.

Babbo Natale come sciamano:
Una sapiente, curiosa, divertente inchiesta durata dieci anni sulle antiche origini europee di questo personaggio che scopriamo collegato al mito dell’Albero di Fuoco (poi diventato l’Albero di Natale) e a quello del saggio sciamano, che oggi è rappresentato sulla slitta trainata dalle renne.
Come mai i Padri Pellegrini odiavano Babbo Natale? Perché il Vaticano ha fatto il possibile per discreditare Herne Pan, ossia l’antenato di Babbo Natale?
“Una fonte di profonda conoscenza su come, nel tempo, sia avvenuta la trasformazione mitica di un credo e di una pratica pagana di quell”immagine adorabile di robusta benevolenza tanto cara ai bimbi di ogni età.” – Rabbino Dr. Benjamin Herson – Malibu Jewish Center & Synagogue.
Il libro risponde a queste domande: chi era veramente Babbo Natale? Quali sono le sue origini? E l’albero di Natale? Qual è la sua origine? Perché facciamo l’albero di Natale?
Babbo Natale e l’albero di Natale hanno origini che risalgono a migliaia di anni fa, quando l’uomo era nello stesso tempo affascinato e impaurito dalla natura che lo circondava.
La tradizione dell’albero di Natale è un ricordo ancestrale del mito dell’albero di fuoco e potrebbe risalire anche a centomila anni fa…
Il culto dell’albero di fuoco è sopravvissuto nonostante i tentativi della chiesa, soprattutto nei paesi germanici dove era diffuso, di abbattere gli alberi sacri.
Una volta l’albero sacro era la quercia, ma fu poi sostituito dall’abete, perché più economico ed abbondante…
Perché tali miti sono riapparsi, nonostante il tempo e l’ostilità delle religioni?

domenica 8 dicembre 2019

ALICI NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE


Il fenomeno Sardine è molto interessante, descrive alla perfezione il sentimento popolare di una parte delle nuove generazioni, compresi i loro parenti, che talvolta fanno da garanti come con i minori ai concerti rock.
E' la fotografia dei tempi moderni, rappresenta il paradigma della volontà alveare per eccellenza, come succede nei flashmobe. E' quella irrestibile voglia di esserci, di immortalare l'evento in quanto EVENTO, magari suggellato da un inno che unisce e legittima la massa che aderisce all'adunata, da un selfie collettivo a denti stretti, tutti abbracciati in un girotondo che dura un attimo. Mi ricorda tanto lo spot natalizio Coca Cola anni 80, oppure, andando a ritroso nel tempo, la vecchia canzone "Aggiungi un posto a tavola".
In chiave social, oggi potremmo intitolarla "Aggiungi un POST a tavola", dove la tavola è rappresentata dalla piazza, tutti stretti stretti come sardine in una rete prima virtuale, poi reale.
Una folla indistinta, di vago orientamento liberal, dove le persone ci ricordano tante piccole ed anonime api di un alveare post-ideologico, dove la lotta di classe non esiste più, anzi, è vista come un virus letale che mette in discussione l'assenza stessa di ideologia, ora assunta a "nuova ideologia".
Un contenitore che celebra se stesso, negandosi il contenuto.
Se da un lato è sempre buona cosa scendere in piazza e controbilanciare la piazza virtuale, partecipare alla res publica, vivere la propria città da cittadini attenti e curiosi, dall'altro lato non possiamo negare che la tipologia di manifestazione proposta rappresenta il nulla quantico.
Per carità, tanti bravi ragazzi, facce pulite, impegnati nel sociale, onesti e volenterosi, vigili ed attenti guardiani della nostra democrazia contro i populismi mediatici, contro il razzismo, contro la Lega, pronti a dare ottimi consigli a quel fantasma che si chiama PD, ma assolutamente innocui.
Una sorta di Papa Boys in salsa laica che non nutrono troppa simpatia per la vetusta bandiera rossa, considerata un cimelio del passato, troppo simbolica e belligerante, meglio se relegata ai meme.
Infatti, pare siano state allontanate bandiere incriminate in alcune città al grido di "Non vogliamo essere strumentalizzati", basta simboli.


Le Sardine sono il nuovo che avanza, un nuovo modello gentile ed ecosolidale, buonista e benaltrista, una melassa pronta ad intonare "Come è profondo il mare" di Dalla ed una nuova hit di Calcultta.
Non sporcano, bevono solo succhi di frutta alla pera e forse manco fumano le canne, non dicono parolacce e, quando eccedono contro Salvini, vengono subito redarguiti, manco si fosse in una direzione di partito.
Dei simpatici boy scout usciti da Black Mirror, dove il manifestante buono è cullato dai media e sponsorizzato dalla meglio intellighenzia, la piazza innocua che ogni sistema auspica ci sia, magari munita di scopetta e paletta per pulire le cartacce dopo ogni evento.
L'avanguardia che in futuro potrebbe oscurare qualsiasi sciopero e qualsiasi vera lotta, un esempio da insegnare ai cattivi antagonisti sempre incazzati, agli operai licenziati, anche loro sempre incazzati, agli studenti troppo facinorosi, ai guerrieri metropolitani ed ai ribelli di ogni genere.
Se pensiamo quante migliaia di persone, a comando pavloviano interniano, hanno aderito alle Sardine e quanti pochi aderiscono alle vere contestazioni popolari, c'è da preoccuparsi.
Pensiamo per un attimo a quanto potrebbero essere utili le Sardine se non fossero "sardine", se tutta la massa di persone che con un click scattano sull'attenti, fosse indirizzata verso tematiche importanti, verso obiettivi concreti, come il lavoro, l'economia, il salario minimo garantito, le pensioni, se mostrassero una vera criticità verso lo status quo.
Invece no, l'unica volta che in un nano secondo e dal nulla, la gente aderisce spontaneamente ed in quantità esorbitante, come mai i partiti ed i sindacati sono riusciti a realizzare simultaneamente in diverse città, lo si fa solo contro un bersaglio politico, in nome dell'antisalvinismo.
Per carità, per quanto sia sacrosanta la critica al Capitone, ci può stare, ma non può bastare solo questo aspetto, ed è triste constatare come le persone non abbiano affatto coscienza di classe.
Tanta energia vanificata, o forse no, a seconda di quello che in futuro accadrà, ma la piazza distopica e al tempo stesso buonista ci mancava. I numeri parlano chiaro, per ora hanno ragione loro, tanti applausi e congratulazioni.
L'unica cosa, forse la più importante, che ha legami con la tradizione, risiede nel fatto che anche le Sardine necessitano di un nemico comune, quello è il vero collante sempreverde, la garanzia del meritato successo.
Successo che ha sorpreso anche gli organizzatori, perchè nessuno si aspettava questo flusso di gente, almeno non nei numeri, ed anche questo fa pensare...
Perché tutta questa massa di gente non è mai scesa in piazza a favore dei lavoratori dell'Ilva, della Whirlpool o di qualsiasi altra azienda, in sincrono in tutta Italia, perchè non esiste un equivalente più impegnato politicamente delle Sardine, che possa vantare questo ampio movimentismo così immediato a comando?
Misteri della psiche umana, direbbe qualcuno, o forse, un'instillata mentalità orwelliana, dopo anni e anni di social tanto pervasivi, dove si preferisce aderire a qualcosa di non troppo impegnativo, anche se ammantato di buoni sentimenti, un Black Friday del vogliamoci bene, l'importante è la moderazione, la pacatezza ed il qualunquismo scambiato per impegno sociale.


L'idea semplice e geniale dei 4 organizzatori funziona talmente bene che non ha bisogno di nessun mediatore e "grande vecchio" che faccia le loro veci, almeno per quanto riguarda la chiamata alle armi, quella scaturisce banalmente dall'effetto domino di Facebook, come abbiamo constatato a Bologna e poi, a macchia d'olio in tutta Italia. Ora tutti vogliono partecipare, guai a mancare, sarebbe peccato non celebrare questa liturgia riportata dai media con così tanta perizia, si va in piazza per testimoniare se stessi annullandosi in sardine, tutti stretti, stretti, come a Capodanno o in una messa, dove le candele sono state sostituite dai cellulari ed il 5G che verrà. Ed anche ci fosse qualche mente occulta sopra ai 4 organizzatori, non cambierebbe nulla la questione, perché l'adesione, per la grossa maggioranza, è terribilmente spontanea e gratuita.
Ecco, allora, che arrivano i primi corteggiamenti dai partiti del centro-sinistra, le prime avvisaglie di strumentalizzazioni, le tirate per la giacchetta, commissari del Parlamento Europeo, non si capisce se per scherzo o per follia, che intonano una stonata "Bella Ciao", strizzando l'occhio al movimento. Gli osservatori ed i loro arconti stanno studiando le mosse per capire come capitalizzare e/o eteropilotare queste piazze, magari in futuro da convogliare elettoralmente tra le proprie fila, oppure, perchè no, per creare un nuovo format politico populista/antipopulista, da sostituire all'oramai disintegrato M5S, un nuovo M5SARDINE più spostato a sinistra, ma privo di contenuti forti.
E' proprio l'assenza programmatica ed il vuoto ideologico ad interessare i futuri utilizzatori del fenomeno Sardine, guai se avessero espresso istanze di lotta, visioni economiche alternative, una forte critica al sistema neoliberista e via dicendo. L'unico tema sbandierato è un innocuo anti-razzismo di buon senso, che mette d'accordo tutti e nessuno, ma che non porta a nulla di concreto.

E' di oggi la notizia che il buon Mario Monti ha espresso la possibilità di partecipare ad una sardinata, mostrando affinità e solidarietà al movimento. Si è prenotato un posto in prima fila, ma ne seguiranno altri di vip, se spopoleranno ancora in tutto il bel paese. Hanno espresso simpatia al movimento anche diversi attori come De Niro, cantanti come Patty Smith dal palco ne hanno esibito il simbolo, perfino la nuova compagna di Berlusconi ha detto di non disdegnare le Sardine.
A quando la prima pagina della rivista Rolling Stone? Le Sardine sono veramente un fenomeno rock?
Se continueranno positivamente la loro avventura, consolidandosi sempre più, e non svanendo come i vecchi girotondini anni 90 od il Popolo Viola, dovranno ad un certo punto capitalizzare tutto il loro consenso in qualcosa di più concreto e sostanziale.
Due strade si presentano all'orizzonte. Rimanere il megafono della maggioranza silenziosa di centro-sinistra, magari attivandosi di volta in volta, quando le destre avanzano in prossimità di elezioni, oppure, trasformarsi da Sardine in squaletti, puntando alla forma partito, magari con l'aiuto di qualche marinaio con la griglia fumante.
Attenzione però, il fermo pesca non è ancora arrivato e le reti sono ancora in mare aperto, pronte a raccogliere tutto il pesce azzurro, quello rosso non interessa più a nessuno...