DOGMAN prende solo un piccolo spunto dalla storia vera del canaro della Magliana e, come ben spiega il regista Matteo Garrone, non è un film neorealista, storico o biografico, è qualcosa di più personale e complesso.
L'aspetto affascinante dell'opera è il senso di inquietudine che rimane allo spettatore.
L'atmosfera cupa, grigia di una periferia sempre piovosa, buia, con abitazioni fatiscenti quasi provvisorie e in cerca di stabilità, è resa perfettamente sul grande schermo, mostra un'angoscia che non da scampo, te la porti a casa.
E' un film metafisico, l'ambientazione un non-luogo, quasi una sorta di girone dantesco, una terra di mezzo, crepuscolare e ritagliata su storie e scenari neorealisti che rappresentano solo l'escamotage narrativo per andare oltre al mero fatto di cronaca e scandagliare l'animo umano.
Gli unici intervalli di pace che interrompono una costante tensione, sono quei rari momenti di luce dove il protagonista esce con la figlia, unica persona che ama veramente più di se stesso, e dove si può permettere una pausa per respirare.
Durante un'immersione in mare con la bambina, è pero costretto a tornare a galla perché non si sente bene, le profondità delle acque lo fagocitano e gli tolgono l'aria, un po' come fossero parte del suo inconscio con i tutti i suoi mostri interiori e le sue paure che emergono; la redenzione dovrà necessariamente passare attraverso il fuoco.
DOGMAN ama molto i cani, Marcello si sente un po' come loro, è loro amico, fa parte del branco, li pulisce, li accudisce, li preferisce agli uomini, rischia perfino di essere arrestato quando torna sul luogo di una rapina a cui è "costretto" a partecipare, per recuperare un cagnolino chiuso dentro il freezer dai suoi complici. In quel momento compie un'azione taumaturgica e riesce a riportare in vita il cane surgelato mettendolo dolcemente sotto l'acqua calda ed asciugandolo; da Dogman a Godman il passo è breve, forse...
Gli unici intervalli di pace che interrompono una costante tensione, sono quei rari momenti di luce dove il protagonista esce con la figlia, unica persona che ama veramente più di se stesso, e dove si può permettere una pausa per respirare.
Durante un'immersione in mare con la bambina, è pero costretto a tornare a galla perché non si sente bene, le profondità delle acque lo fagocitano e gli tolgono l'aria, un po' come fossero parte del suo inconscio con i tutti i suoi mostri interiori e le sue paure che emergono; la redenzione dovrà necessariamente passare attraverso il fuoco.
DOGMAN ama molto i cani, Marcello si sente un po' come loro, è loro amico, fa parte del branco, li pulisce, li accudisce, li preferisce agli uomini, rischia perfino di essere arrestato quando torna sul luogo di una rapina a cui è "costretto" a partecipare, per recuperare un cagnolino chiuso dentro il freezer dai suoi complici. In quel momento compie un'azione taumaturgica e riesce a riportare in vita il cane surgelato mettendolo dolcemente sotto l'acqua calda ed asciugandolo; da Dogman a Godman il passo è breve, forse...
E' una favola nera come lo sono tutti i film di Garrone che mescolano piano reale e piano metafisico, argomento ben trattato anche nel suo "Reality".
L'ambientazione sembra un villaggio decadente western in chiave urbana, dove ognuno ha ben chiaro il proprio ruolo sociale, dove i giorni scorrono tutti uguali e solo un improvviso e violento scisma potrà spezzare quell'incantesimo che sembra regnare sulle loro teste.
E' un film sulla catarsi, ma il rito di purificazione non riesce ad essere compiuto e realizzato del tutto da parte di Marcello, che subisce le continue angherie ed umiliazioni di Simone, il bullo criminale della zona, un ragazzone grosso e violento che terrorizza tutti.
Nemmeno le fastidiose e rumorose scorribande con la motocicletta, come un bandito in sella al suo cavallo nero, le minacce ed i ricatti che fa continuamente agli abitanti della piccola periferia, sembrano riuscire a smuovere qualcosa, nessuno alza un dito anche se la misura è colma.
Emblematico quando, dopo aver rinchiuso ed ucciso Simone nella gabbia dei cani, cerca di bruciare il suo corpo tra le frasche sulla spiaggia, ma poi ci ripensa, spegne le fiamme e decide di offrirlo ai compari come dono per farsi perdonare di non essersi mai ribellato ed averne subito nel tempo una atroce sudditanza psicologica, ed anche per farsi accettare nuovamente dal gruppo che lo ha abbandonato (Marcello ha "permesso" a Simone di fare un rapina nella cassaforte del negozio del suo vicino, pagando con la galera al suo posto).
Li chiama ma nessun risponde, forse perché non c'è nessuno ad ascoltarlo o volerlo ascoltare, o forse perché si trova già in altra dimensione.
Er Canaro si comporta come il cane che porta l'osso al padrone (Uomo-cane) perché in fondo ci tiene a stare nel branco, da li non esce e non vuole uscire; quella è la sua dimensione ideale, non riesce a scappare dalla prigionia del senso di colpa, dal quartierino del malaffare dove, in piccolo, si replicano le stesse miserie del macro mondo.
Indicativa la scena finale dove il protagonista, nascosto nella spiaggia vicino al rogo del cadavere, vede in lontananza gli abitanti del suo micro-mondo giocare in un campetto di calcio in piena notte...
Dopo aver consumato la vendetta ed essersi caricato in spalla il gigante cattivo, come un novello Davide contro Golia (archetipo della redenzione del piccolo/buono contro il grande/cattivo, un po'come succede, con diverse modalità, nel western on the road metafisico "Duel"), Marcello si dirige verso loro, credendo di vedere una partita che nei fatti non esiste, giocata da ombre e fantasmi, o forse il fantasma è proprio lui.
Un rito celebrato inconsapevolmente da "er canaro" metafisico... Garrone, ispirandosi forse al capolavoro di Antonioni, "Blow-Up", (la famosa scena della partita di tennis con la pallina invisibile) mette in scena questo conflitto come fosse un sogno, passando dal reale al non reale, confondendo i piani, infatti il tempo sembra sospeso ed i giocatori svaniscono nel nulla con le prime ore fredde del giorno...
L'ambientazione sembra un villaggio decadente western in chiave urbana, dove ognuno ha ben chiaro il proprio ruolo sociale, dove i giorni scorrono tutti uguali e solo un improvviso e violento scisma potrà spezzare quell'incantesimo che sembra regnare sulle loro teste.
E' un film sulla catarsi, ma il rito di purificazione non riesce ad essere compiuto e realizzato del tutto da parte di Marcello, che subisce le continue angherie ed umiliazioni di Simone, il bullo criminale della zona, un ragazzone grosso e violento che terrorizza tutti.
Nemmeno le fastidiose e rumorose scorribande con la motocicletta, come un bandito in sella al suo cavallo nero, le minacce ed i ricatti che fa continuamente agli abitanti della piccola periferia, sembrano riuscire a smuovere qualcosa, nessuno alza un dito anche se la misura è colma.
Emblematico quando, dopo aver rinchiuso ed ucciso Simone nella gabbia dei cani, cerca di bruciare il suo corpo tra le frasche sulla spiaggia, ma poi ci ripensa, spegne le fiamme e decide di offrirlo ai compari come dono per farsi perdonare di non essersi mai ribellato ed averne subito nel tempo una atroce sudditanza psicologica, ed anche per farsi accettare nuovamente dal gruppo che lo ha abbandonato (Marcello ha "permesso" a Simone di fare un rapina nella cassaforte del negozio del suo vicino, pagando con la galera al suo posto).
Li chiama ma nessun risponde, forse perché non c'è nessuno ad ascoltarlo o volerlo ascoltare, o forse perché si trova già in altra dimensione.
Er Canaro si comporta come il cane che porta l'osso al padrone (Uomo-cane) perché in fondo ci tiene a stare nel branco, da li non esce e non vuole uscire; quella è la sua dimensione ideale, non riesce a scappare dalla prigionia del senso di colpa, dal quartierino del malaffare dove, in piccolo, si replicano le stesse miserie del macro mondo.
Indicativa la scena finale dove il protagonista, nascosto nella spiaggia vicino al rogo del cadavere, vede in lontananza gli abitanti del suo micro-mondo giocare in un campetto di calcio in piena notte...
Dopo aver consumato la vendetta ed essersi caricato in spalla il gigante cattivo, come un novello Davide contro Golia (archetipo della redenzione del piccolo/buono contro il grande/cattivo, un po'come succede, con diverse modalità, nel western on the road metafisico "Duel"), Marcello si dirige verso loro, credendo di vedere una partita che nei fatti non esiste, giocata da ombre e fantasmi, o forse il fantasma è proprio lui.
Un rito celebrato inconsapevolmente da "er canaro" metafisico... Garrone, ispirandosi forse al capolavoro di Antonioni, "Blow-Up", (la famosa scena della partita di tennis con la pallina invisibile) mette in scena questo conflitto come fosse un sogno, passando dal reale al non reale, confondendo i piani, infatti il tempo sembra sospeso ed i giocatori svaniscono nel nulla con le prime ore fredde del giorno...
Come succede per "Dogville" (Godville) di Von Trier, in DOGMAN, il micro-macro mondo è sempre lo stesso, con i suoi confini ben tracciati, i suoi riti quotidiani, con i suoi ruoli chiari, dove nessuno vuole scappare veramente o cambiare la sua realtà, a costo di pagarne le conseguenze.
Marcello ci prova a redimersi e diventare un Godman uccidendo Simone, ma presto capisce di essere solo con se stesso in un antro infernale di un'alba uggiosa, dal quale non può uscire e dove tutto scorre uguale ciclicamente come in un cerchio magico, o forse quella morte è l'alba di una rinascita che lo ha portato in un altro girone, a fare i conti con se stesso e con il suo lato oscuro, tenuto severamente a bada per tanti anni.
Marcello rinasce sulla morte di Simone, ed i ruoli si interscambiano, vittima e carnefice, così diversi, così uguali e complementari.
Marcello ci prova a redimersi e diventare un Godman uccidendo Simone, ma presto capisce di essere solo con se stesso in un antro infernale di un'alba uggiosa, dal quale non può uscire e dove tutto scorre uguale ciclicamente come in un cerchio magico, o forse quella morte è l'alba di una rinascita che lo ha portato in un altro girone, a fare i conti con se stesso e con il suo lato oscuro, tenuto severamente a bada per tanti anni.
Marcello rinasce sulla morte di Simone, ed i ruoli si interscambiano, vittima e carnefice, così diversi, così uguali e complementari.
Dal cosmo di Garrone non ci si esce, ed i personaggi che sono maschere della realtà ben lo sanno, non si può uscire se non per andare in altra prigione, ed allora abbiamo 3 prigioni, quella periferica descritta dal regista, che rappresenta il micro mondo, quella dello Stato, le cosiddette patrie galere, macro-mondo, e la piccola prigione del negozio dove viene consumata la vendetta e dove normalmente vengono parcheggiati i cani in affido, che rappresenta la prigione del mondo interiore e quel luogo/non luogo dove si possono espiare i propri peccati e colpe, ma anche rifugiarsi dalle responsabilità del mondo esterno.
Film molto profondo, che scava l'animo umano, pieno di significati simbolici, in questo identico, pur avendo altro registro narrativo, al suo precedente "Il racconto dei Racconti", tratto dalle storie del grande Basile, ma che ricorda a tratti anche le atmosfere cupe, morbose e senza via di uscita dell'Imbalsamatore. Ovviamente, come tutti i grandi cineasti insegnano, lo spunto della storia preso dalla realtà o, in altri casi, da romanzi, serve solo come base di partenza, è un espediente narrativo per spiegare altro e costruire una storia più complessa che sia di tipo archetipale.
Desidero riportare una piccola e meravigliosa recensione di un amico:
- "Sono rimasto colpito dall'espressività deflagrante di Marcello Fonte in Dogman di Garrone.
Il film si sviluppa con una perfezione di elementi che rimanda alla tradizione del grande cinema italiano, la luce livida che avvolge la metafisicità del villaggio western lunare, la cura del dettaglio cromatico con l'impronta chiaramente garroniana, l'architettura deĺle immagini per cui Garrone richiama, sue testuali parole, Hopper, il rigore della "favola etologica".
Ma la cifra tragica, psicologica, che fa sì che noi tutti si senta il dolore di un uomo, viene dalla forza del volto di Marcellino, dai mutamenti impercettibili che generano scelte illogiche e irreparabili, dalla profondità dolente degli occhi, dal respiro affannoso della sua paura, reiterato e sospeso lungo il film, dal senso claustrofobico che ti imprime sulla carne, dalle rare aperture del sorriso nel rapporto con la figlia Alida.
Tutto il plot si avvolge sul viso del meraviglioso protagonista e lo spettatore esce dalla sala preso e costretto in un terrore simbiotico."
Film molto profondo, che scava l'animo umano, pieno di significati simbolici, in questo identico, pur avendo altro registro narrativo, al suo precedente "Il racconto dei Racconti", tratto dalle storie del grande Basile, ma che ricorda a tratti anche le atmosfere cupe, morbose e senza via di uscita dell'Imbalsamatore. Ovviamente, come tutti i grandi cineasti insegnano, lo spunto della storia preso dalla realtà o, in altri casi, da romanzi, serve solo come base di partenza, è un espediente narrativo per spiegare altro e costruire una storia più complessa che sia di tipo archetipale.
- "Sono rimasto colpito dall'espressività deflagrante di Marcello Fonte in Dogman di Garrone.
Il film si sviluppa con una perfezione di elementi che rimanda alla tradizione del grande cinema italiano, la luce livida che avvolge la metafisicità del villaggio western lunare, la cura del dettaglio cromatico con l'impronta chiaramente garroniana, l'architettura deĺle immagini per cui Garrone richiama, sue testuali parole, Hopper, il rigore della "favola etologica".
Ma la cifra tragica, psicologica, che fa sì che noi tutti si senta il dolore di un uomo, viene dalla forza del volto di Marcellino, dai mutamenti impercettibili che generano scelte illogiche e irreparabili, dalla profondità dolente degli occhi, dal respiro affannoso della sua paura, reiterato e sospeso lungo il film, dal senso claustrofobico che ti imprime sulla carne, dalle rare aperture del sorriso nel rapporto con la figlia Alida.
Tutto il plot si avvolge sul viso del meraviglioso protagonista e lo spettatore esce dalla sala preso e costretto in un terrore simbiotico."
Mauro Maggiora