sabato 24 aprile 2021

IL CONTRAPPASSO DEL GRILLO

                       
Non è facile affrontare questo tema senza innescare polemiche da ambo le parti.
Partiamo dal video di Beppe Grillo, una testimonianza fuori dalle righe, inopportuna, probabilmente offensiva nei confronti della parte lesa e della sua famiglia, perché un'eventuale denuncia per stupro può avvenire anche dopo un lungo periodo per mille motivi. Potremmo estendere il discorso di offesa a tutte le donne, perché non è mai stata citata la ragazza come presunta vittima, se non come mera partecipante al festino, e come quella che "prima ci sta e poi ci ripensa".
Inopportuna, perché è stato utilizzato uno strumento come il suo blog, che non è SOLO il suo blog, ma anche un canale meta-politico, per non dire politico, mandando il messaggio che, chi è famoso e possiede certi mezzi, può comunicare direttamente con il popolo, arrivando nei salotti degli italiani, un comportamento non dissimile da quello del suo odiato nemico Berlusconi.
Un teatrino dell'assurdo che sarebbe anche umanamente comprensibile, se non fosse che fa parte di una strategia di risposta a chi lo vuole "morto".

Il figlio di Grillo, insieme a tre suoi amici, viene indagato dopo due anni per il presunto stupro, e fino a prova contraria rimane innocente, perché non sappiamo nulla riguardo a cosa sia successo realmente, ed io sono e rimarrò garantista fino alla fine dei miei giorni. Questo avviene in un momento non casuale, subito prima del divorzio tra la Casaleggio ed il Movimento 5S, ufficializzando quello che nei fatti era già avvenuto formalmente, ovvero, l'ingresso dei pentastellati nell'alveo di centrosinistra e del sistema, senza più la zavorra del passato.
Un V-DAY, anzi, un M-DAY che avvicina ulteriormente Letta a Conte per consolidare un asse politico che non ne vuole più sentire parlare di padri fondatori, sempre troppo ingombranti, e se Conte verrà confermato leader maximo del redivivo 5S, fornirà la stampella al vetusto PD.
Una polarizzazione che piace molto anche a destra e che taglia le gambe ulteriormente a tutti i piccoli satelliti che orbitano al centro, e quindi non più un 5S ondivago, ma saldamente nel centro-sinistra anche per quanto riguarda il futuro, ovviamente, dissidenti interni permettendo, perché la strada è ancora lunga.
Quindi, si torna a parlare della brutta vicenda che ha colpito i Grillo's Family proprio quando il partito è in procinto di mutare definitivamente forma, una sorta di sigillo simbolico e di spartiacque tra il prima e il dopo, con tanto di liturgia e sacrificio.
Si da il benservito a Grillo, anzi, il BONGIORNO, perché quello che è stato messo in scena sembra proprio un perfetto contrappasso, e lui doveva capire che, prima o poi, avrebbe dovuto pagare pegno.
Pegno per non aver scontato alcuna pena rilevante dopo il grave incidente che costò la vita a 3 persone nel 1981, senza nemmeno degnarsi di fare le scuse ai familiari delle vittime.
Per carità, fu una tragedia, un'incidente non voluto, anche se è stato dimostrato che Grillo avrebbe dovuto far scendere i suoi passeggeri a piedi, nell'ultimo tratto ghiacciato, ed invece pare abbia insistito nel superare l'ostacolo a forte velocità, cadendo direttamente in un dirupo, salvandosi al volo prima del precipizio.


Un curioso contrappasso per chi, come lui, ha passato tutta la vita a recitare il ruolo del giustizialista giacobino, sempre schierato con la magistratura politicizzata, mentre ora si trova ad accusare la magistratura per aver "incastrato" suo figlio in una brutta faccenda a base di violenze sessuali, alcol e droga.
Poteva stare zitto, tacere per pudore, invece, dandosi anche la zappa sui piedi, ha voluto dire la sua a suo modo, urlando ai quattro venti che il figlio è innocente, ed io sinceramente, penso lo sia, proprio in virtù di come funzionano certi meccanismi e certe dinamiche mediatiche, ma posso ovviamente sbagliarmi, il senso dell'operazione non cambierebbe di una virgola anche se fosse colpevole.
Sono anni che Grillo si presta a dare messaggi simbolici, messaggi ambigui, strani, ermetici su ogni cosa e questa volta ha sparato la sua ultima cartuccia.
Il suo lamento di padre ferito, come un vecchio leone disperato che rantola nell'etere, è forse indirizzato a qualcuno legato a settori della magistratura e non solo a quella, ambienti oscuri che da anni lo minacciano, gli stanno con il fiato sul collo, lo indirizzano e lo ammoniscono, affinché segua la retta via, via per la quale fu scelto per rappresentare il cambiamento che il bel paese necessitava.
 
Nel 2009 fu creato il 5S, il primo CONTENITORE DEL DISSENSO dell'epoca post-umana, uno strumento ideato da Enrico Sassoon, uomo di casata Rothschild, con la collaborazione tecnica della Casaleggio Associati, un contenitore utile al padronato capitalista per traghettare la rabbia di certe fasce popolari ed il disgusto per la vecchia politica in una sorta di metapartito, movimento, partito, che forte della sua adesione popolare, potesse essere legittimato ad innovare ed a fornire i primi input per quella società transumanista che oggi si concretizza più visibilmente sotto gli occhi di tutti.
Oggi Grillo non serve più, è un vecchio arnese, e SOLO ora può essere finalmente colpito, la sua creatura lo abbandonerà definitivamente, forse si scinderà in due correnti, chissà...
Una cosa è certa, il Grillo è caduto nella tela del ragno, e doveva capirlo che sarebbe giunto il suo momento, doveva aspettarsi questo spettacolare quanto tragico contrappasso.
La sua figura è servita per arrivare proprio all'oggi, è stato un ignaro Caronte, ci ha traghettati proprio nel post-umano, nell'era dell'agognata digitalizzazione globale, del GREEN non GREEN e nel riassetto generale del capitalismo, che sarà guidato da altri ben più autorevoli epigoni.
Tra un Drago, un ArConte ed un Grillo è facile capire chi la spunterà.

L'invettiva fuori luogo e pubblica di Grillo è anche un messaggio a Conte che, volente o nolente, lo abbandona, gli sottrae la sua creatura e la trasforma per gli stessi padroni che anche Grillo ha servito.
Dall'altra parte abbiamo un altro vistoso e vergognoso conflitto di interessi, ovvero, quello della Bongiorno che dovrebbe dismettere gli abiti da avvocato mentre rappresenta un altro leader politico come Salvini e svolge la sua funzione politica come senatrice di questo governo.
Si aggiunge orrore ad orrore, proprio sulla pelle di entrambi i figli, in qualche modo strumentalizzati per altre ragioni, utilizzati come sceneggiatura di una guerra delle rose che si svolge altrove e non in camera da letto.
In conclusione, penso abbiano sbagliato tutti, ma nessuno poteva esimersi e sottrarsi da questo teatrino osceno, perché tutti da sempre attori prescelti di questo lungo e spaventoso recital.
Hanno commesso un grave crimine i ragazzi, se verrà riconosciuta la violenza sessuale, oppure scagionati, se ritenuti innocenti, ha sbagliato la magistratura ad utilizzare ad orologeria questo evento per i soliti scopi politici, ha sbagliato la Bongiorno ad incarnare il ruolo della vendicatrice di un Governo giallo-verde perduto e dimenticato negli anfratti dei ricordi pre-pandemici, ha sbagliato Salvini ad acquisire informazioni sul caso giudiziario, sempre con lo zampino della Bongiorno, facendo trapelare che LUI sa, MA NON DICE, ha sbagliato Grillo a rendere pubblico il suo sfogo in questi termini.
Cui prodest questo apparente caos?
Giova solo al Premier questa situazione, perché verranno a consolidarsi degli asset politici più saldi, plasmabili e gestibili per il futuro che ci aspetta, ritengo anche per quando riguarda la Lega che tanto scalcia.
Un futuro dove si vuole tagliare l'unica cosa buona fatta da Conte, ovvero, il Bonus Casa, e soprattutto cancellando tutto l'impianto ambientalista tanto paventato, investendo sull'idrogeno blu dell'ENI, motivo della visita in Libia di Draghi, e motivo per cui verranno massivamente ampliate le aree di trivellazione in tutto l'Adriatico, con buona pace della TRANSIZIONE ECOLOGICA.
Una serie interessante, prossimamente su NETFLIX, e scusate la spoilerata!








lunedì 19 aprile 2021

COMPLOTTISTI E ANTICOMPLOTTISTI di Stefano Sissa


COMPLOTTISTI E ANTICOMPLOTTISTI:
Per quanto ne sappiamo, l’uomo è l’unico animale in grado di proiettarsi mentalmente nel futuro. Molti animali agiscono in vista di necessità future, ma – si presume – senza immaginare sé stessi nel futuro. Anche l’animale in pericolo che si rende conto di rischiare di morire, reagisce sempre ad una sollecitazione presente e immediata, mentre fino a pochi secondi prima poteva sentirsi tranquillo e al sicuro.
Non accade così all’uomo, del quale è tipica la capacità di pensarsi oltre il suo orizzonte immediatamente percepito. Questo comporta per lui il fardello esistenziale più grande, ossia la coscienza del proprio dover morire, che di norma si realizza, però, in modo consistente e profondo solo con l’età adulta, mentre da giovani si aggira facilmente il pensiero della propria morte o addirittura si ‘flirta’ con esso proprio perché non se ne sono ancora pienamente colti gli aspetti profondamente distruttivi sul piano psicologico, cui non vi è antidoto davvero efficace se non l’adozione di una prospettiva in un qualche senso religiosa, metafisica o comunque spirituale.
A ciò si aggiunge il fatto che il progressivo venire a conoscenza della iper-complessità del sistema di relazioni in cui viviamo e dell’interdipendenza dei fattori che determinano le nostre esistenze, anziché spingerci ad affrontare la vita con maggior sicurezza, ha l’effetto di scoraggiarci e paralizzarci, sottraendoci – almeno come soggetti individuali – la convinzione di poter agire in modo incisivo e non velleitario almeno sul nostro microcosmo sociale.
Questi fattori di stress, di incertezza e di timore, in parte strutturali per la condizione umana, in parte derivati da una determinata temperie storica, comportano un vero sovraccarico di ansie da gestire, che nella misura in cui non trovano riduttori efficaci, si configurano in forma di angoscia. Il bambino, nelle primissime fasi della sua crescita, per aver poi uno sviluppo equilibrato, deve conseguire un senso di fiducia fondamentale verso il mondo. 
A questo devono contribuire in modo decisivo genitori o comunque caregivers. 
Il punto paradossale è che questa fiducia fondamentale, così necessaria, è in buona parte infondata. Infatti il mondo in cui siamo ‘gettati’ non è assolutamente lì apposta per confortarci o venire incontro alle nostre esigenze. Non per nulla il compito dell’educazione degli adolescenti, quantunque oggi molto disatteso, è anche portare il giovane – attraverso una serie di ben dosati riti di passaggio – alla consapevolezza, gravida di impegno e responsabilità, che il mondo non è lì per accontentarlo né per dargli una soddisfazione garantita, nonostante che in età infantile sia stato necessario farglielo credere, pena lo sviluppo di strutture della personalità particolarmente debilitate, inefficaci e infelici.
Una delle funzioni della trasmissione culturale, almeno nelle società in cui prevale il soggetto eterodiretto dalla tradizione, è – oltre a tutte le necessità inerenti la socializzazione e l’acquisizione delle tecniche collaudate – proprio quella di fornire un orientamento all’azione sufficientemente codificato e ‘sicuro’ da evitare che le nostre energie biopsichiche siano massicciamente coinvolte in processi di codifica e decodifica particolarmente onerosi e ansiogeni. 
Perciò facciamo fatica a superare le nostre abitudini (quantunque ciò sia possibile e a volte necessario per riadattarci): per un certo periodo ci hanno consentito un adattamento se non ottimale quantomeno accettabile. Analogamente accade per tutti i processi, non slegati dall’azione, in cui si tratta di semantizzare le nostre esperienze e dare loro un senso esistenziale, funzione che pare essere connaturata al comportamento umano e, di fatto, ineludibile (anche nella forma paradossale del vivere con lo scopo di distruggere il senso che gli altri danno alla loro vita, che è tipico del cosiddetto narcinismo). 
Tuttavia, nella contemporanea “società del rischio”, caratterizzata dall’iperconnettività e dall’imprevedibilità degli effetti a medio-lungo termine e su ampia scala (il famoso “battito d’ali della farfalla in Giappone che innesca l’uragano a New York”), questo confortante presidio dei pattern culturali tradizionali appare seriamente scompaginato e sempre più ineffettuale.

Ora, dinanzi a questo scenario problematico, si profila sin dall’infanzia, ma con maggiore urgenza nell’età adulta poiché meno vi provvedono interventi sgravanti da parte di genitori e insegnanti, una spinta al padroneggiamento di sé e della propria biosfera che ha connotati di assoluta necessità; si tratta di una spinta fondamentalmente positiva, quando non assume forme maniacali, ossessive, sadico-costrittive, ecc. Le strategie di padroneggiamento (mastery) sono varie e situate su vari livelli del complesso biopsichico. Non di rado, tuttavia, queste tecniche ricorrono, a monte, a meccanismi di difesa potenzialmente nevrotici che consentono uno sgravio psichico sull’immediato al prezzo però di una sempre minore possibilità di acquisire competenze per interpretare correttamente e congruamente il contesto vitale e le motivazioni profonde del proprio comportamento.
Noi tutti, dinanzi al rischio di sentirci insicuri, inadeguati e angosciati per le nostre reali capacità di comprensione e di intervento, effettivamente sempre assai modeste, ci allestiamo facilmente degli script cognitivo-comportamentali basati su alcune strategie di coping piuttosto elementari la cui flessibilità è in realtà relativa, per il semplice motivo che anche la loro continua ristrutturazione comporterebbe un costo elevato in termini di energie impiegate e di resistenze da vincere. Ciò ci consente comunque di dedicare le nostre attenzioni su obiettivi limitati e considerati più o meno alla nostra portata, stralciando altri ambiti di intervento in cui la nostra incidenza sarebbe quantomeno dubbia o che comporterebbe un investimento ingente e con scarse possibilità di riscontro. Possiamo concentrarci sul conseguimento della nostra laurea, della promozione in ufficio, nel corteggiamento di un’auspicabile partner perché non ci occupiamo di tutto il resto, che riguarda in realtà complessi di condizioni sociali, economiche, culturali e di validazione della conoscenza assolutamente determinanti per la nostra esistenza, ma la cui portata ci sfugge.
Mentre le persone più ‘semplici’ o comunque più disponibili a plasmarsi secondo codici di conformità molto strutturati e massivamente diffusi stentano persino a porsi il problema e replicano a più non posso comportamenti non riflessivi condivisi dalla massa con effetto rassicurante e ‘scacciapensieri’, quelli un minimo più consapevoli – o comunque per varie ragioni meno adattati – scorgono più o meno chiaramente il fatto che le condizioni sistemiche sono in effetti decisive anche per le riuscita delle loro strategie locali e del perseguimento dei loro obiettivi, incluso quello della sicurezza e della gestione dell’ansia.
Questa percezione ansiogena solleva un’istanza di riduzione dello stress che non può rimanere a lungo inevasa. La risposta funzionale a questa condizione emotivamente angustiante è di autoconvincersi di possedere invece sufficienti risorse cognitive per sbrogliare determinati problemi almeno sul piano della mappatura cognitiva. Per dirla semplicemente, dinanzi alla iper-complessità e alla percezione che esistano soggetti o entità composite in grado di esercitare una coazione anche senza riserve su noi stessi, ci piace reagire pensando “Eh, ma invece la so lunga, io; non mi faccio fregare!”; ossia con una mozione, per lo più illusoria, di padroneggiamento.
Orbene, ciò che distingue essenzialmente i complottisti dagli anticomplottisti è il modo in cui declinano questa autoconvinzione sostanzialmente fallace in relazione alla prevalenza del tipo di meccanismo di difesa che sta alla base della loro opzione. In sostanza né gli uni né gli altri sono davvero razionali; o se si vuole lo sono entrambi, perché implementano delle modalità che, se pur invalide sul piano cognitivo, rappresentano un ausilio per la sopravvivenza quotidiana, almeno fino a quando determinate dinamiche macro non diventano talmente cogenti e violente da impattare drammaticamente sulla sfera vitale dei soggetti in questione, senza che abbiano potuto fare nulla per opporvisi in tempo, non avendole inquadrate con sufficiente esattezza.

Al netto della loro relativa efficacia in tempi e situazioni standard, complottisti e anticomplottisti agiscono come dei veri menomati rispetto ad un ideale normativo di soggetto umano capace di azione razionale rispetto allo scopo, che come tipo puro è in effetti un concetto limite, ma cui è opportuno comunque tendere. Accade però che a sembrare più inadeguati siano i complottisti, apparentemente meno razionali degli anticomplottisti. 
Prima di focalizzare i rispettivi asset psicologici di fondo, si può dire – riassumendo e generalizzando – che i primi e i secondi corrispondono spesso a differenti profili sociologici. 
I complottisti sono sovente persone di estrazione sociale bassa o medio-bassa, con percorsi di istruzione modesti oppure frammentari e molto compositi, lavoratori autonomi con ridotti margini di azione oppure dipendenti molto precari o sottoccupati/sottopagati; con ridotte o comunque imprevedibili possibilità di carriera quando non addirittura discreti rischi di messa a repentaglio del loro livello sociale (declassamento); inclini a spiegazioni monocausali dei problemi, quando non anche ad auspicare risoluzioni ‘magiche’ affidandosi a spigionamenti improvvisi di autorità e di potenza (che sia dell’uomo forte oppure del popolo arrabbiato non cambia molto). 
I secondi sono di solito di estrazione sociale media; sono più istruiti o quantomeno hanno un percorso formativo più lineare e standardizzato, non di rado anche più conformistico; spesso sono impiegati, insegnanti, pensionati con discrete tutele di welfare, operai da lungo tempo sindacalizzati e fidelizzati ad appartenenze politiche tradizionali, oppure svolgono professioni intellettuali o creative in cui è importante l’immagine che il pubblico si crea di loro; hanno spesso ruoli professionali meno soggetti ad oscillazioni repentine (minori rischi di declassamento) e moderate o discrete possibilità di carriera, che richiedono di mostrarsi affidabili e allineati rispetto agli apparati di cui fanno parte; sono più inclini a spiegazioni non monocausali e confidano, spesso più del dovuto, nel fatto i problemi innescati all’interno delle relazioni sociali estese si possano risolvere già solo attraverso un’adeguata tematizzazione da parte dell’utenza o dell’opinione pubblica e attraverso il regolare funzionamento delle istituzioni (siano esse l’azienda, la scuola, la redazione di un grande giornale, gli apparati dello stato, ecc.).

Orbene, a prima vista i secondi sembrerebbero più attrezzati dei primi. 
In realtà lo sono solo in parte e al prezzo di aver implementato una serie di risposte cognitive socialmente accettate e rassicuranti che rendono poco disponibili ad effettuare dei cambi di paradigma e – a volte necessari – riorientamenti gestaltici. Sono interpreti di una coscienza ‘normale’, depurata dagli aspetti più inquietanti e confortata dalla replicazione di protocolli forniti da altri attraverso canali ufficiali. A dispetto del loro sbandierato acume, si affidano in realtà in modo piuttosto acritico alle versioni ufficiali fornite dalle autorità politiche o mediatiche oppure dal sistema dell’istruzione o della divulgazione scientifica, senza mettere seriamente in questione l’affidabilità degli stessi, senza problematizzare il fatto che le conoscenze e le informazioni che vengono loro somministrate provengono sempre da apparati sociali che si strutturano e funzionano secondo logiche non necessariamente improntate all’obiettività, ma anche – molto spesso – a interessi, privilegi, strategie non dichiarate e anche mistificazioni. Dunque entrambi i tipi si rivelano soggetti cognitivamente deboli, anche se gli anticomplottisti godono di maggiore credibilità per il solo fatto di collocarsi all’interno dei codici mainstream della cultura dominante, le cui agenzie si peritano, peraltro, di screditare a priori le tesi dietrologiche, sia quando sono infondate, sia quando non lo sono poi così tanto.
Ma ci sono anche motivi più ‘intimi’, oltre a quelli sociologici, per cui i complottisti e anticomplottisti sono diversi e i primi godono, se pure immeritatamente, di minore credibilità dei secondi? 
Sì. Dal punto di vista psicanalitico i primi hanno personalità che si sono strutturate attorno a meccanismi di difesa più primitivi. In particolare, al fine di stornare le angosce che non derivano solo dalla percezione degli effettivi rischi del mondo esterno, ma anche delle pulsioni aggressive/distruttive inconsce, tendono a indugiare in una posizione schizo-paranoide, individuando in un oggetto esterno – scisso nelle sue componenti solo malvage – la fonte della loro angoscia di persecuzione. 
L’oggetto esterno, in questa formulazione psichica primitiva, in realtà un fantasma psichico, è bersaglio di identificazioni proiettive con i propri aspetti Ombra della personalità; perciò il complottista è orientato a creare anche in modo immaginario, se pure a volte prendendo spunto da soggetti e dinamiche ben reali, la foggia del Nemico, dell’entità malvagia e potente che esercita una malìa negativa su di lui o su noi tutti, o comunque un controllo perverso. 
L’esito paradossale è che, pur presupponendo questo nemico esterno come occulto, temibile e poderoso, attraverso il gioco del presunto disvelamento di esso, il paranoico acquisisce un fittizio senso di potenza e padroneggiamento: “il nemico è potente e nascosto, ma io l’ho scovato e gli contrappongo un eguale volontà di potenza e controllo, al punto di sventare i suoi piani; anche se sempre si presenterà in nuove forme, io sarò sempre pronto e vigile per combatterlo”.

Gli anticomplottisti hanno buon gioco a ridicolizzare le tendenze paranoidi, le proiezioni inconsce e gli scivolamenti consistenti verso forme indebite di pensiero magico tipiche dei complottisti. 
Il complottista tende a forme schizotipiche di personalità e quindi potenzialmente ad isolarsi per quel che riguarda la sua vita privata in un mondo immaginifico e autoreferenziale; fino a quando, però, non trova situazioni che possano fare da collante ad altri simili a lui in modo da favorire delle proiezioni paranoidi collettive in direzione congiunta. Se questa socializzazione di istanze psichiche soggettive in altre epoche veniva realizzata attraverso sacrifici rituali di ‘capri espiatori’, oppure in tempi più moderni attraverso campagne di odio alimentate dalla propaganda di regimi politici autoritari, oggi i meccanismi di funzionamento della comunicazione in rete (che allo stesso tempo spersonalizzano ma fanno anche emergere istanze latenti della personalità che nell’interazione faccia a faccia o istituzionale verrebbero più contenute e controllate) creano facilmente catene mediatiche in cui far convergere e rialimentare in modo esponenziale le tendenze paranoidi di questi soggetti.

L’anticomplottista, tuttavia, irride il complottista senza rendersi conto di come anche lui fallisca assolutamente nella pretesa di avere una visione obiettiva della realtà. Rispetto alla prevalenza di meccanismi di difesa primitivi come nel complottista, nell’anticomplottista prevalgono forme più ‘evolute’, dal diniego, che è ancora una forma semi-primitiva, fino alla rimozione e alla razionalizzazione ad hoc. L’anticomplottista ha certamente ragione nel sostenere che non siamo tutti costantemente vittime di un mega-complotto della Spectre; tuttavia sbaglia profondamente a negare che la società sia innervata in modo strutturale e assolutamente pervasivo da strategie non dichiarate di soggetti in competizione per il potere (economico, politico, mediatico, ecc.). 
Per intenderci: non è che tutto ciò che ci circonda sia un’unica e immensa congiura ai nostri danni; pensare questo è una sciocchezza ed è un prodotto di tendenze paranoiche; ma che in tutti i settori strategici della vita sociale operino dei soggetti di potere anche e soprattutto attraverso manovre occulte, condizionamenti indebiti, forzature, imposizioni e a volte persino atti criminali spesso impuniti, è una cosa talmente ovvia a chiunque abbia uno sguardo realistico e disincantato che non ci sarebbe nemmeno bisogno di discuterne. 
Nella lotta per il potere, che si svolge a molti livelli, non solo quelli più alti della politica mondiale, ogni competitor impiega razionalmente dei piani di cui non ha nessuna intenzione di rendere partecipi tutti gli altri. Per secoli si è ritenuto non solo una ovvietà, ma persino cosa giusta che vi fossero gli arcana imperii, ossia i ‘misteri del comando’. 
L’idea di fondo era che le decisioni cruciali del potere sovrano, in cui si esprime al massimo la sua discrezionalità, fossero prese in un gabinetto riservatissimo, perché a volte persino alcuni ministri del re potevano essere, magari perché aristocratici imparentati con l’alta nobiltà di altre nazioni, delle fonti di informazioni per il nemico. È veramente ingenuo chi crede che la gestione del potere, se pur venendo a patti con il sorgere di istituzioni formalmente democratiche, oggi abbia cambiato completamente registro. Le decisioni importanti vengono prese ancora in luoghi ben appartati, come sa bene chi si occupa di politologia seriamente, anche se magari non lo dichiara in TV, per ovvie ragioni. 
Diciamo che vi è stato per qualche secolo una tendenza storica ad acquisire una maggiore trasparenza dei processi deliberativi; tendenza che ha avuto un trend complessivamente positivo se pur con alti e bassi fino al Novecento inoltrato, ma che non ha mai nemmeno lontanamente conseguito l’obiettivo della reale trasparenza del potere. Mai. Inoltre, negli ultimi decenni è chiaro come tale tendenza si sia addirittura invertita, in virtù della crisi della rappresentanza democratica e delle esigenze di gestione dell’insicurezza globale (terrorismo, immigrazioni massicce, ecc.), a volte anche strumentalizzate e alimentate dagli stessi apparati di potere proprio al fine di ridimensionare le richieste di accountability da parte della base popolare.

L’anticomplottista denuncia non senza ragioni l’ingenuità del complottista, ma non sa o finge di non sapere che in effetti ogni gioco di potere prevede sempre la messa in campo di tranelli, agenti segreti, minacce, corruzione, diffamazioni, usi politici della giustizia penale, campagne stampa orchestrate ad hoc, persino omicidi mirati, a volte fatti passare per semplici incidenti o suicidi, ecc. 
Tutto ciò è la norma dell’agire strumentale in vista del potere; in certi regimi accade in modo sistematico, in altri no, ma comunque accade in forme più accessorie e complementari alle forme pubblicizzate di competizione per il potere. E chi partecipa alla lotta per il potere a certi livelli lo sa benissimo; e infatti cerca di tutelarsi da rischi estremi. In realtà di norma anche gli anticomplottisti che abbiano un po’ di competenze storiche ammettono che sia così, ma – sorprendentemente – relegano queste pratiche sempre a momenti del passato, anche relativamente recente, oppure ad altri regimi politici che non siano quello di appartenenza. 
Quanti di loro non hanno problemi ad ammettere che dietro all’uccisione di Kennedy ci fu effettivamente un vasto complotto o che molti gruppi terroristici degli anni ’70 in Italia fossero infiltrati e manovrati dai servizi segreti italiani e statunitensi nella logica della ‘strategia della tensione’? 
Eppure escludono categoricamente che fenomeni simili avvengano anche oggi all’interno della società di cui fanno parte. Ho detto “sorprendentemente”, ma in vero tutto ciò non deve affatto sorprendere. L’anticomplottista, per come ha configurato la sua strategia di padroneggiamento, non può tollerare di pensare che effettivamente molto di ciò che accade al mondo accade sopra la sua testa senza che se ne renda conto e senza che lui abbia alcuna incidenza su tutto ciò. 
L’anticomplottista cadrebbe in una condizione di ansia angosciosa se pensasse che effettivamente la sua percezione di una società tutto sommato abbastanza ordinata, affidabile e rassicurante è, in fondo, surrettizia. Poiché ciò che va tutelato per lui è il senso di rassicurazione, gli occorre pensare che tutto sommato la società funzioni in modo per lui computabile, che le sue istanze, all’occorrenza, siano prese in considerazione, che mostrare di avere un comportamento istituzionalmente corretto sia già di per sé garanzia di non subire mai conseguenze negative: tutte convinzioni certamente utili a vivere più sereni, ma assolutamente infondate, a ben guardare. 
Questa sindrome, prodotta da meccanismi difensivi di razionalizzazione, viene definita dallo psicologo Lerner “teoria del mondo giusto”, ossia la presupposizione indebita, ma efficacemente consolatoria, che perlomeno nella società di appartenenza, tutto sia regolato da validi criteri di opportunità, perciò “chi non fa nulla di male non ha nulla da temere” (confronta il vecchio adagio: “male non fare, paura non avere”).

Dunque mentre la visione del mondo del complottista si basa su di una sospettosità estrema caratterizzata da ideazione paranoide, quella dell’anticomplottista si basa su una fiducia non problematizzata e piuttosto infondata verso il funzionamento del mondo sociale. 
Questa sensazione di fiducia diffusa, se pur poco giustificata, ha ricevuto nel corso della storia differenti fonti di legittimazione e di garanzia: la tradizione incarnata in istituzioni religiose, l’operato burocatico-legale dello stato moderno, la vigilanza da parte della stampa e dell’opinione pubblica. 
Queste istituzioni hanno, però, progressivamente perso di credibilità agli occhi della maggioranza della popolazione nei tempi odierni, per ragioni che non stiamo qui a esporre. 
Oggi quindi l’agenzia più accreditata nel conferire fiducia verso l’ordine sociale è quella che viene denominata semplicisticamente come “La Scienza”, mentre sarebbe opportuno designarla come “apparati sociali tecnico-scientifici e biopolitici”, il che già comporterebbe un ben altro inquadramento della questione. Ma ciò sarebbe chiedere troppo all’anticomplottista: egli infatti si appella alla scienza brandendola come feticcio ideologico presuntamente dotato di risultati pressoché definitivi e univoci, senza avere competenze sufficienti a valutare processi di ampio spettro di cui peraltro non può testare direttamente le risultanze, in quanto appannaggio esclusivo di team attrezzati, dedicati e opportunamente finanziati di cui non fa parte. 
Inoltre non coglie, non avendo sufficiente attrezzatura epistemologica e metodologica, che quando si parla di questioni storiche e sociali, cioè quando si tratta di valutare la presenza di strategie volutamente nascoste da parte di soggetti di potere, non si possono certamente applicare i requisiti protocollari delle hard sciences, ma si deve inevitabilmente ricorrere al cosiddetto paradigma indiziario e ai criteri probabilistici che caratterizzano le scienze storico-sociali, di cui occorre avere contezza, ma che ben pochi possiedono, suddivisi come sono tra una formazione scientifico solo naturalistica o una formazione umanistica non scientifica.

Le strategie di potere, ovviamente, non riguardano solo le istituzioni politiche, ma anche i poteri finanziari, le grandi aziende, i gruppi di pressione, il controllo della grande stampa, i consorzi di ricerca scientifico-tecnologica e le associazioni corporative più o meno segrete (e che se rimangon segrete lo faranno per qualche valido motivo, no?). Dal punto di vista dell’ideale normativo di un soggetto razionale, sarebbe logico suppore che di norma, dietro alla superficie dei fenomeni sociali in cui agiscano poteri organizzati, vi siano sempre anche strategie occulte, ma questo non perché siamo in balìa di un unico megacomplotto mondiale di incappucciati, bensì per il semplice motivo che altri soggetti che agiscono razionalmente in vista del potere hanno tutto l’interesse pratico ad agire senza che i loro piani, anche i più spregiudicati e immorali, siano messi al corrente di tutti gli altri. 
Una certa disposizione dietrologica è perciò del tutto ragionevole, anche se occorre sempre misurare i sospetti e sforzarsi di comporre dei quadri indiziari sufficientemente plausibili e motivati. 
Ogni società complessa è strutturalmente oligarchica; ossia il potere tende a concentrarsi in piccoli gruppi organizzati che operano in parte pubblicamente, ma in larga parte con segretezza, senza farsi troppi scrupoli, perché laddove qualcuno se ne fa, altri più spietati si accaparreranno maggiori quote di potere. In ogni frangente, il soggetto vigile dovrebbe valutare quali soggetti sono probabilmente in campo, quali interessi hanno, quali mezzi hanno a disposizione per conseguire i loro obiettivi, dando per scontato che – laddove non vengano controbilanciati da altre forze – quei mezzi verranno quasi certamente sempre impiegati, anche laddove questi risultino indegni o dannosi per noi. 
Ed evidenziare costantemente tutto questo dovrebbe essere il compito di ogni cittadino consapevole e responsabile.

Alla luce di tutto questo, appare chiaro che il profilo cognitivo, oltre che quello morale, dell’anticomplottista non è realmente superiore a quello del complottista, come invece molti erroneamente credono. Ma c’è di più: l’anticomplottista non è socialmente meno pericoloso del complottista, e per certi versi lo è quasi di più. È vero che la mentalità complottista può facilmente generare ‘mostri’ e procedere poi a epurazioni, pogrom, linciaggi, processi sommari, ecc. 
È anche vero, però, che questi drammatici fenomeni sociali, per quanto assai gravi, di per sé rimarrebbero molto occasionali, in virtù del loro aspetto convulsivo; diventano invece sistematici proprio quando è all’opera un’organizzazione di potere che manovra, attraverso strategie non dichiarate, per capitalizzare, intensificare e rialimentare queste spinte distruttive in modo da canalizzarle astutamente verso qualche avversario o capro espiatorio. 
Potremmo dire insomma che questa dinamica psico-sociale complottistica diventa un pericolo diffuso per l’intera società solo quando siamo effettivamente in presenza di un qualche reale complotto, se pur non individuato dai più, come infatti spesso accade. 
Perciò se si applicasse con rigore e lucidità la regola del sospetto dietrologico, ossia se si fosse moderatamente e ragionevolmente ‘complottisti’, si potrebbero arginare questi pericoli, smascherando con più facilità certe trame perverse realmente esistenti e che a volte parassitano la spontanea tendenza alle ingenuità complottistiche. Che è il contrario di quanto accade di solito, nella misura in cui la maggioranza applica invece il paradigma rassicurante del “mondo giusto”, tipico degli anticomplottisti, secondo cui non è possibile che nella propria società di appartenenza le pubbliche autorità o altri soggetti titolari di potere siano realmente all’opera per realizzare fini così mostruosi.

L’angoscia che fa capolino nella mente dell’anticomplottista appena si mette in discussione il suo atteggiamento è talmente forte che reagirà ai sospetti complottisti prima con l’indifferenza e l’irrisione, ma ben presto, qualora le voci critiche aumentino (a prescindere che siano fondate o no) con una veemenza impressionante, con l’ostracismo, con l’esclusione dalle possibilità di carriera negli apparati, con la diffamazione, con l’insulto, con accuse infondate e infamanti. 
A un certo punto, paradossalmente, si compie una sorta di rovesciamento di ruoli. 
Gli anticomplottisti si impegneranno in campagne pubbliche al fine di evidenziare la mostruosità dei complottisti, cui presto saranno addebitate le cause degli stessi problemi che questi ultimi, in modo più o meno plausibile, additavano. Si formerà insomma un fronte compatto di anticomplottisti inclini a credere che esista una sorta di complotto ordito dai complottisti, percepiti come pericolosissimi in quanto avrebbero un’influenza determinante nella società, in grado di ostacolare seriamente il progresso scientifico, lo svolgimento delle normali procedure democratiche, l’esercizio collettivo della razionalità e il mantenimento di un corretto ordine sociale. 
Anche questo esito parossistico non deve stupire chi ha adeguate nozioni di psicologia dinamica. 
Infatti, sotto il nucleo di personalità ‘ben adattato’ dell’anticomplottista, caratterizzato da difese ‘nevrotiche’, permane più nascosto un nucleo di personalità più atavico, potenzialmente ‘psicotico’, caratterizzato, come nel complottista, da meccanismi di difesa primitivi. 
Perciò quando l’anticomplottista percepisce inconsciamente che le proprie difese normali sono messe in tensione, le difenderà a tutti i costi, a prezzo di allontanarsi dall’obiettività ancora più del complottista, e – all’estremo – farà emergere le faglie critiche della sua strutturazione di personalità, entro la quale operano gli stessi meccanismi da ‘pensiero magico’ del complottista. 
Per questi motivi l’anticomplottista è tra i due il soggetto più dannoso per la società: non solo impedisce di mettere a tema alcune questioni che riguardano le forme di potere occulto che a volte sono effettivamente presenti nella società (anche se non nella forma iper-semplificata e paranoidea che avanza il complottista); ma è anche più difficile portarlo ad un livello di esercizio della razionalità adeguato. 
Infatti mentre si può sempre sperare, con un serio e faticosissimo lavoro di educazione al self-monitoring di fare evolvere gli script mentali del complottista, caratterizzati da meccanismi difensivi primitivi, verso forme più ragionevoli e empiricamente controllate della sua sospettosità, l’anticomplottista ha la presunzione di operare già al massimo possibile del functioning cognitivo umano, laddove in realtà ha soltanto sovrapposto ai meccanismi di difesa primitivi altri meccanismi di difesa più evoluti, la cui destrutturazione, per quanto in linea di massima auspicabile in vista di un migliore sviluppo cognitivo e morale, viene percepita dal soggetto con sgomento come un mero regresso al suo nucleo fondante psicotico, e perciò da evitare a tutti i costi.
di Stefano Sissa - 21/07/2017



martedì 13 aprile 2021

DRAGHI VS DRAGHI

Peggio di così il Governo Draghi non poteva iniziare, date le premesse non può che peggiorare. Però è giusto concedere il beneficio del dubbio a coloro che ripongono alte aspettative in questo losco figuro, oggi declassato dall'elite a semplice portinaio di lusso di una colonia dell'impero. Certo, potrebbe far parte di una strategia sofisticata e complessa quella di apparire una sorta di cazzaro, ed invece aver il controllo della situazione e far la mossa del giaguaro al momento giusto, proprio quando non te lo aspetti. Quando non ha un sano contradditorio, se la cava, e con il suo stile ermetico risulta fascinoso, protettivo, illudendo la popolazione ignara con la sua autorevolezza. Sembra in effetti una persona responsabile, un professionista con le palline come biglie di ferro, ma appena dismette la sua maschera di cera, appena viene incalzato, diventa più emotivo. Appena esce dai binari prestabiliti, si perde e le spara grosse. Vediamo di elencare le sue ultime gaffe, in relazione anche all'approvazione del Decreto Legge sull'obbligatorietà vaccinale dei sanitari.

1- IL PECCATO ORIGINALE:  

Diciamolo, il D.L. 44/21 è nato sotto una cattiva stella, ma nessuno avrebbe mai immaginato che venisse sconfessato dopo una settimana dalla sua approvazione. Sconfessato dalle parole di chi l’aveva appena emanato, e successivamente dall’Ordinanza del Generale Figliuolo. Nell’Ordinanza numero 6/2021 firmata venerdì 9 aprile, il generale Figliuolo richiama le Regioni indicando le nuove priorità per la vaccinazione invitandole a procedere “con la massima celerità a vaccinare coloro i quali, dalle evidenze scientifiche ad oggi disponibili, risultano più vulnerabili qualora infettati dal virus”.

Ma è possibile che tra i dipendenti e dirigenti del Ministero della Salute, tra tutti gli espertoni coinvolti dal Governo per definire la strategia nella lotta alla Pandemia, non ci sia nessuno in grado di fare un elenco, chiaro, dei sanitari e dei loro collaboratori che devono essere vaccinati? Sempre che poi il problema del non aver ancora vaccinato tutti gli anziani, sia da imputare al mitologico psicologo di 35 anni.
Si potrebbe scherzare facendo notare che il Decreto è stato pubblicato il 1° aprile, ma nel nostro ordinamento lo “scherzo di Stato” non è contemplato e una Legge, è sempre Legge. Anche se poi “screditata” nella pratica.
Nel passaggio parlamentare necessario per rendere definitivamente Legge questo Decreto, l'esecutivo ha tempo 60 giorni, e probabilmente l’articolo 4 (quello dell’obbligo di vaccino ai sanitari) verrà modificato o abrogato, ma la questione di fondo rimane.
Come è possibile che si approvi una norma che viene disconosciuta subito dopo, senza modificarla o cancellarla, quindi mantenendola “legalmente” in vigore?
Come è possibile che si scriva un’Ordinanza che dovrebbe chiarire, ed invece pone ulteriori dubbi interpretativi ed organizzativi?

2- DRAGHI VS DRAGHI, OVVERO, L'ARCHETIPO DELLO PSICOLOGO:

Non comprendo il doppio messaggio confusivo sul fatto che lo psicologo di 35 anni sarebbe da condannare perché avrebbe rubato le dosi vaccinali agli anziani, scavalcando la fila, come ai concerti rock. Per mesi e mesi hanno rotto i coglioni a tutti, e dico a tutti, con i media schierati in prima fila come cani rognosi, con la bava alla bocca, pronti ad abbaiare sull'importanza di vaccinarsi, che i novax erano il male assoluto, che ne saremmo usciti con le dosi magiche, ed oggi, dopo aver approvato un decreto al limite della costituzionalità, il premier se ne esce con ste frasi infelici ed assurde. 
Draghi ha veramente lasciato sgomenti un po' tutti, dicendo che è sostanzialmente una vergogna quello che aveva appena approvato l'ALTRO SE STESSO. Allora giù di applausi, compreso quel cameriere di Formigli che manda in onda un servizio dove punta il dito sulla Guardia Forestale, ingiustamente vaccinata a "sfregio". 
E poi quelle bottigliette d'acqua vicino al microfono, che carine, ricordano delle provette vaccinali giganti, ci avete fatto caso? Uno spasso.
Sembra un film di Bunuel, è un'apoteosi surrealista, siamo finiti dentro un'apocalisse surrealista, ma tutto scorre senza troppo clamore.
O Draghi è scisso al limite della schizofrenia, e potrebbe anche essere con quello che avrà subito per entrare nelle alte sfere, oppure, voleva mandare un chiaro messaggio a qualcuno, qualcosa... o forse solo all'altro se stesso. Chissà!!!
Della serie un giorno faccio il keynesiano (nella mia fantasia, poi mi bruciano la villa al mare e ci ripenso), e l'altro torno a fare il reazionario, quello che un tempo ha contribuito a disintegrare economie di interi Stati, impoverito salari, favorito entità sovragestionali di ogni latitudine. 
Comunque dai, lasciamolo lavorare...eh!

3- DRAGHI DUCET:

Draghi tra le tante cose afferma che "... Dovremo continuare a vaccinarci per anni a causa delle varianti."
Tradotto: "Non pensate di scavarvela con una vaccinazione, le mutazioni dureranno anni, io lo so (lo so perché appartengo alla stessa sovragestione che ha sintetizzato stocazzo di virus, mentre voi credete ancora al pipistrello infetto cinese), quindi preparatevi ad un futuro pandemico, distopico.
Però vi concedo il catcalling, così i pretini sinistrati penseranno che sono buono e saggio.
Siamo solo all'inizio della storia, alla prefazione del romanzo, questo era un semplice assaggio, un testing di massa, cari sottoposti...
Ciao LOLLONI"

4- MAMMA LI TURCHI SON TANTO CATTIVI:

È ovvio e palese che Erdogan sia una brutta persona, fossi turco scenderei in piazza contro questo despota criminale, ma le parole di Draghi rischiano di innescare un serio conflitto diplomatico. Conflitto che lo vede sulla difensiva, perché la scenetta avvenuta nel salotto turco, io la leggo come un chiaro messaggio di guerra in difesa della fazione URmassonica Ursula/Draghi per il controllo del mediterraneo ed a vantaggio della NATO. Io spero sia una strategia massonica, sottile ed intelligente per affermare una posizione geopolitica italiana, da collegare alla recente visita in Libia in difesa degli stabilimenti dell'ENI, sorvolando però sui lager dei migranti.
Al contrario saremmo veramente nella merda.
Attendiamo di capire se Draghi sia un buon giocatore di scacchi o l'ennesimo cazzaro eretto a salvatore della patria, attendiamo, ma fino ad un certo punto. Dopo, subito dopo e nel caso, al mio via scatenate l'inferno!



lunedì 5 aprile 2021

UN MONDO A NORMA DI CATCALLING

                                   

Dopo l'ambientalismo d'accatto e padronale che strumentalizza vigliaccamente disabili per pararsi il culo, dopo il delirio distopico della Cancel Culture che pretende di censurare la narrativa, i libri, i film e tutto ciò che non rientra nei propri desiderata, per riformulare un neolinguaggio tarato sul modello "Idiocracy", dopo l'oscuramento di canali editoriali indipendenti, di blogger di controinformazione, di siti anarchici e NOTAV, il nuovo miraggio fascistoide, represso e perbenista dei neo-Savonarola, ha partorito un brillante tassello del politicamente corretto, il CATCALLING, con la giustificazione pelosa ed ipocrita delle molestie sessuali.
Il tutto senza considerare che esistono già diverse sacrosante leggi contro le molestie sessuali e che questa proposta di legge nulla aggiunge alla cosiddetta civiltà occidentale.
Scrive Mattia Feltri: "Inserire ulteriori aggravanti è un modo facile per marcare la distanza fra buoni e cattivi, fra morale e immorale, e per continuare a delegare a una procura e a un giudice le storture del mondo, nell’idea disastrosa che le storture del mondo si cancellano rinchiudendole in galera. Vale per l’omofobia, vale per lo spinello, e lo si invoca per il catcalling".
Il rispetto nei confronti della donna, dell'omosessualità, delle minoranze etniche e religiose è indiscutibile, ma questi valori andrebbero insegnati ed appresi nelle scuole, nelle famiglie, non abbiamo bisogno che cali religiosamente sempre tutto dall'alto, basterebbe applicare quella vastità di leggi e norme già votate a suo tempo. Non abbiamo bisogno di normare per legge anche i fischi per strada e/o "apprezzamenti" che offendono il prossimo in una presunta graduatoria del male, gli strumenti per una sana educazione civica ci sono e sono ben altri.
 
In realtà, questa forma mentis, fa parte di una normalizzazione complementare a tanto altro ed in linea con la censura che verrà, e che sta già operando sistematicamente su vari livelli.
Il bersaglio è il linguaggio che viene colpito in tutte le sue forme ed espressioni, partendo da quello dialettale, da quello più triviale e popolare, per una logica e conseguente creazione di una forma pensiero schematica, rigida e post-umana, che nulla ha a che vedere con il rispetto del prossimo, in un mondo dove gli stessi che pretendono di normarci per il nostro bene, confliggono giorno dopo giorno i nostri diritti fondamentali. 
Personalmente, all'interno di questo ennesimo cortocircuito basato su una fallacia logica di un contenitore del dissenso delirante, non voglio entrarci.
La stessa paccottiglia politica che ha votato il colpo di Stato fascista in Ucraina, che ha votato guerre imperialiste con milioni di morti tra civili, che sfrutta il 3° mondo per le esigenze del 1°, nutre questa impellenza, questa necessità assoluta.
Costoro, non dormono la notte al solo pensiero di non riuscire a NORMALIZZARE anche il coatto di quartiere che disgraziatamente urla: "A BONAAA, fiù, fiù..."
Siamo veramente precipitati nel delirio psichiatrico più greve e ripugnante, ancor più infame, perché si trincea dietro ai diritti civili.
Questo piccolo ma importante passo, salutato stoltamente dai benpensanti come norma di civiltà a protezione dalle molestie, sarà il cavallo di troia (termine che probabilmente verrà censurato a breve, insieme a cazzo, minchia e figa con la G) per controllare sempre di più i social, le criticità, tutti i pensieri divergenti, fino alla controinformazione, e non è un caso che ciò stia avvenendo in sincrono.
Questo piccolo ma importante passo è solo il casus belli per fare ben altro, ma purtroppo, alcune persone sono abituate a vedere unicamente il singolo mattoncino, il singolo cluster e non hanno la visione d'insieme (di questo passo sarà sempre peggio), visione d'insieme che però, oggi, è talmente ovvia e palese, che potremmo beatamente affermare di essere circondati da minus habens, da non-vedenti, però politicamente correttissimi, un mondo di crocerossine e crocerossini del bon ton piccolo borghese, il trionfo dell'uomo medio che celebra se stesso.
Nessun complotto, tutto è pubblico, ufficializzato, documentato, celebrato e ritualizzato con le rispettive liturgie.
Se il RESET della globalità agisce sul terrorismo, sulla paura di un virus pensato ed agito, per aggiornare il capitalismo, il linguaggio ed il pensiero conseguente al linguaggio, dovrà seguire queste coordinate.
L'attacco principale che il Moloch neoliberista ha sferrato è al libero pensiero, alla critica, ma soprattutto al pensiero logico deduttivo, conseguentemente all'astrazione ed alla creatività che producono crash nella riprogrammazione.
Il transumano ed il digitale traghetteranno le nostre coscienze verso l'AI.
L'Intelligenza Artificiale, che è un po' un ossimoro, attraverso la rete sta "apprendendo" miliardi di parole, pensieri, linguaggi, ragionamenti, conoscenze, domande e risposte, ansie, paure, desideri ed aspettative, vomitandoci i protocolli da adottare in futuro.
Tutto sarà rielaborato, metabolizzato e riproposto come coscienza universale, come schema universale per tutti, dallo sfruttamento del lavoro e perdita del lavoro, all'obbligo vaccinale, che scavalca i diritti costituzionali dei lavoratori, creando pericolosi precedenti, fino al linguaggio corretto da utilizzare per vivere nel dogma, di un mondo sottoposto al nuovo dogma, ma sempre con educazione e rispetto dei generi. I generi, poi dimenticati quando si tratta di equiparare gli stipendi delle lavoratrici con quelli dei colleghi maschietti, generi sfruttati per imporre direttive e modelli coercitivi e non sincera parità.

La tendenza del nostro sistema ordoliberista, negli ultimi tempi, è quella di cavalcare strumentalmente diritti civili, istanze progressiste, innovazioni culturali per plasmare, passo dopo passo, un paradigma totalitario, censorio e NORMALIZZATORE.
Bisogna normare tutto, tutti devono attenersi alla norma, bisogna livellare tutto, e questo è accaduto in campo sanitario, dove un'augurabile sanità pubblica e territoriale, è stata sostituita impunemente dalla sub-cultura genico-sperimentale di testing di massa e speculazioni mafiose di Corporation.
Questo modello pervade tutti i settori, e non si limita al linguaggio, alla psicologia di massa, alla sanità, lo riscontriamo in tutti i campi, ed in tempi di globalizzazione, TUTTI si devono adeguare alle norme che qualcuno ha deciso per loro, norme che ovviamente non valgono per chi detiene lo scettro ed il controllo delle entità sovragestionali.
Quelle possono fare il bello e cattivo tempo, e ciò è direttamente proporzionale alla perdita di sovranità economica, culturale e politica dei singoli paesi e delle singole persone.
Il Moloch necessita di un mondo globalizzato, alveare, politicamente corretto, indottrinato ma senza ideologie, senza idee, dove la censura di un tempo è stata sostituita dalla saturazione del desiderio, anche attraverso il livellamento generalizzato, lo svuotamento dei significati e dei significanti, la perdita di qualsiasi identità individuale e non la sommatoria di ulteriori differenze ed unicità, fino a costituire l'uguaglianza del nuovo sottoposto normato ISO9000.
Il modello proposto è quello di un eterno presente, pervasivo, incontestabile, conforme quindi necessariamente conformista, però cavalcato da un presunto progressismo, o meglio dalla sua maschera che cela un fascismo universale che sta prendendo piede, passo dopo passo, oggi soprattutto nel mondo della sinistra diversamente declinata, mondo che io definisco beatamente ignorante, totalitario ed implosivo.
Mi viene in mente Arancia Meccanica. Nel capolavoro di Kubrick, un presunto governo di illuminati transumanisti, aveva impostato tutta la sua azione politica sulla rieducazione degli individui violenti, attraverso la famosa Cura Ludovico, nell'illusione di poter cambiare la natura profonda dell'uomo, con la presunzione prometeica di sconfiggere il MALE in natura. Purtroppo per loro, Alex il Drugo, dopo l'ennesimo incidente, torna ad essere come prima, ed adagiato sul letto d'ospedale, è preda di visioni cattivissime e scorrettissime.
Nel nostro piccolo caso, il coatto riemergerà dalle tenebre in cui è stato spedito dalle FORZE DEL BENE, tornando a fischiare: "A BONAAA, SON TORNATO...".

“Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cossiché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l'espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l'espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio."
- Marx ed Engels. 1846