martedì 31 dicembre 2019

I SATURNALIA E LA BEFANA


Con il nome di Saturnalia i Romani facevano riferimento a delle particolari celebrazioni, che andavano dal 17 al 23 dicembre, in cui l’ordine sociale veniva sovvertito.
Le feste prendevano il nome dal dio Saturno, corrispondente del greco Crono e padre di Giove/Zeus, che si riteneva imperasse durante la mitica “età dell’oro”, quando sulla terra regnavano pace e abbondanza; per questo i suoi festeggiamenti, affinché fossero di buon auspicio, avvenivano durante la parte dell’anno in cui cadeva il solstizio d’inverno e in cui si attendeva – in un momento ‘buio’ come dicembre – la ‘rinascita’ della natura. 
Non è un caso che queste celebrazioni facevano da preludio al “dies natalis Solis Invicti” (giorno di nascita del Sole Invincibile), che cadeva il 25 dicembre, e che in epoca cristiana coincideranno con l’Avvento. Tuttavia, i Saturnalia, più che ricordare il nostro Avvento, ricordano semmai il Carnevale, per il carattere di burla e di sovversione; difatti, durante le feste si allestivano grandi banchetti, con canti, danze e finanche orge, per ricordare l’opulenza dell’età dell’oro, inoltre era concesso agli schiavi di banchettare e di poter prendere in giro i padroni, secondo la logica del capovolgimento sociale. Perché tutto ciò? 
Forse perché Tolerabile est semel anno insanire, frase attribuita a Seneca, meglio nota come Semel in anno licet insanire, ovvero “una volta all’anno è lecito essere folli”; questo per una sorta di funzione catartica attribuita alla ‘follia’, all’‘uscire fuori dagli schemi’, che favoriva una sorta di liberazione corale, che l’autorità costituita era consapevole di non poter reprimere per tutto l’anno e i Saturnali, dunque, fungevano da valvola di sfogo. Non è un caso che, anche quando la Chiesa vietò queste feste, nel corso del Medioevo ne nacquero altre simili, si pensi alla Festa dei Folli in Francia; chi di noi non ricorda la celebre scena in "Notre Dame de Paris" quando il gobbo Quasimodo viene incoronato re dei folli, proprio durante questi festeggiamenti? E non è un caso – a ribadire la discendenza dalla cultura latina – che anche durante i Saturnalia si eleggesse, spesso tra le persone appartenenti allo strato sociale più basso, un “princeps Saturnalicius” (principe dei Saturnali), cui si faceva indossare una veste rossa (colore che alludeva forse ad Ade, dio degli Inferi). Sebbene il cristianesimo abbia cercato in tutti i modi di reprimere questi antichi culti pagani, alla fine in una maniera o nell’altra questi tornavano alla luce, perché il desiderio di liberarsi dalle leggi per ritornare al caos primordiale è da sempre stato insito nell’uomo; così, benché in maniera molto più edulcorata, questa antica festa è stata spostata verso febbraio e oggi costituisce il Carnevale.



La Dodicesima Notte e "Befana"
La notte fra il cinque e il sei Gennaio è da sempre una notte di grande festa, durante la quale i fuochi e gli ultimi doni chiudono il ciclo delle feste solstiziali.
Già da tempi antichissimi la festività era indicata con il termine Epifania, derivato dal greco, epifaneia, che ha il significato di manifestazione, apparizione, venuta, presenza divina, e dal verbo, epifaino, appaio. Già presso i Romani l’Epifania, intesa come manifestazione del divino, chiudeva i festeggiamenti per i Saturnalia, le festività in onore del Dio Saturno che sottolineavano il Solstizio d’inverno.
Meravigliosamente i simboli superano nella loro semplicità ed efficiente comunicabilità tutte quelle differenze che rendono l’ecumenismo un miraggio, e nella loro universalità annullano le differenze fra religioni e razze abbattendo confini e culture in un universo denso di significato ma privo di spazio e tempo. 
E’ il caso del numero "dodici", infatti proprio nella dodicesima Notte dopo il "solstizio d’inverno", apice dei Saturnalia, il popolo romano festeggiava l’Epifania, ovvero la manifestazione divina, che chiudeva un ciclo di feste caratterizzate dal capovolgimento delle regole. A partire dal II secolo l’Epifania era festeggiata con un rito molto singolare durante il quale si organizzava un banchetto per gli animali domestici i quali sarebbero stati serviti dai propri padroni per impedire loro di acquisire il dono della parola.
Altri riti legati ai Saturnali hanno dato origine, nel giorno dell’Epifania, all’elezione di "Re Burla" come accadeva nella "Festa dei Pazzi" a Parigi, sul sagrato di Notre Dame.
Mentre a Roma e nelle grandi città dell’Impero si festeggiava l’Epifania Saturnaliium, nelle zone rurali i contadini accendevano i loro fuochi in onore della Dea Madre al ritmo lunare e non solare. Nella lettura volgare il termine "Epifania" si è trasformato in "Pifania" e da lì in "Befana".
Giunta alla fine del suo ciclo, la Madre Terra è, in questo periodo vecchia e decrepita, stanca e vuota dopo aver dato tutti i suoi frutti ed energie all’umanità.
Ella vuole solo riposare, lasciarsi incenerire dal fuoco nascente dopo il massimo dell’oscurità, ma prima lascia un suo ultimo dono in ogni casa, nei pressi del focolare, simbolo dell’Asse del Mondo nella società rurale.
Presto alla Madre Terra furono date le fattezze di una Vecchia che, a cavallo di una scopa fatta di rametti secchi, girava di casa in casa lasciando frutta e altre cibarie in dono, specie per i più piccini.
Nacquero così, in quei tempi lontani, riti ancora oggi vivi durante i quali fantocci di legno e paglia rappresentanti vecchie con la scopa erano bruciati in grandi falò attorno ai quali grandi e piccini danzavano.
In genere, la vecchia rappresentava, come detto, la Madre Terra incenerita dal Sole che sarebbe rinata in primavera dalle sue stesse ceneri. Questi falò erano una sorta di esorcismo contro le privazioni passate.
Un altro rito propiziatorio delle campagne era la questua alimentare, fatta di casa in casa dai bambini della comunità. La questua era accompagnata da canti e filastrocche allo scopo di scacciare le manifestazioni terribili della natura. Per coloro che dalla Terra traggono sostentamento, infatti, la Madre, ha una doppia natura: una benefica e una malefica.
Essa è una madre che nutre i suoi figli ma che, anche, li umilia, frustra e sconfigge con le carestie, i diluvi, le grandinate, le gelate, la siccità e via discorrendo.



La Festa dei Fuochi
Le società rurali sono, per loro definizione, tradizionali e legate al passato.
Se nelle grandi città poco e nulla rimane dei riti saturnali e solstiziali in genere, i falò contadini sopravvivono ancora oggi come fulcro dei festeggiamenti invernali, specie nell’Italia Settentrionale e, in modo particolare in Veneto, Piemonte e Lombardia.
La notte del 5 Gennaio, le oscure pianure venete e friulane si accendono dei mille falò del Panevin, antico rito contadino arcaico legato, appunto, alle celebrazioni solstiziali pre-cristiane.
Il nome della festa è una parola che, scomposta, parla di pane e vino, cioè di sostentamento e, dunque, di benessere dichiarando il carattere augurante ma anche esorcizzante del rito.
Questa festa dei fuochi interessa le ’terre basse’ attraversate da fiumi storici come il Piave, il Livenza, il Tagliamento; e sulle colline venete e sui monti del vicino Friuli. Lungo questo tragitto, splendono falò costituiti da grandi, a volte gigantesche pire, fatte da sterpaglia, rimasugli delle potature, tralci di vite, fascine di rovi ecc.
In cima alla pira è sistemato un pupazzo grottesco, la Befana chiamata "Maràntega".
Tutta la festa è fortemente simbolica: il fantoccio della Maràntega rappresenta tutte le cose dalle quali liberarsi, come la miseria e le malattie, la carestia e la siccità ecc., che finiscono nel sacco del passato.
Così le faville rosse del falò e le volute del fumo caldo sono simbolo dell’avvenire gonfio di speranze e aspettative e così la tradizione vuole che questa sia una notte di presagi e di vaticini.

Un aruspice osserva e legge nelle faville danzanti nel vento o nelle gravide volute di fumo il futuro della comunità stretta intorno al falò, in attesa di sentire annunciare prosperità e benevolenza da parte della Madre Terra per l’anno che verrà e che si ridesterà in tutto il suo fulgore in primavera.
Una volta annunciato l’ultimo auspicio regina della festa sarà la ’pinsa’, un dolce casalingo, un tempo molto rustico ma evolutosi nei secoli.
A ogni falò potrete assaggiarlo in ben sette gusti come vuole la consolidata tradizione, nel solito sposalizio del dio e della dea primordiali, l’assaggio delle tonde pinse preparate dalle massaie è accompagnato dalla degustazione dei vini del contadino.
Una storia popolare vuole che a Santa Maria di Faletto, sotto una sfavillante pira, il poeta contadino Nino Mura, di origine solighese, declamasse rigorosamente in dialetto una profezia... del tutto inaspettatamente gli rispose il professor Trump, scozzese, ululando in gaelico.

Il Piemonte, la Brianza e l’Alto milanese sono anch’esse illuminate da fuochi simili, in onore di una vecchia strega: la Giubiana (il nome varia leggermente secondo il paese) durante la notte dell’ultimo giovedì di Gennaio.
Come la Maràntega, anche la Giubiana rappresenta la Madre Terra vecchia e stanca. Anche la pira della Giubbiana rappresenta il rogo di un passato carico di cose da dimenticare, bruciare e le faville che s’innalzano leggere nell’oscurità sono le speranze degli astanti portante in cielo dal fumo denso e gonfio del falò.
La Pira, in questo caso è formata da un enorme fantoccio di legno e paglia vestito di stracci. L’origine del nome Giubiana è sconosciuta poiché sono assenti fonti scritte, tuttavia, molti riconducono questa celebrazione al culto di Giove e Giunone, divinità tutelari della famiglia, rappresentanti il Cielo e la Terra.
Secondo la tradizione popolare la Giubiana è una strega, spesso magra e dalle gambe molto lunghe vestite da calze rosse. Vive nei boschi e, grazie alle sue lunghe gambe, non mette mai piede a terra, ma si sposta di albero in albero.
Così osserva tutti quelli che entrano nel bosco e li fa spaventare, soprattutto i bambini. Ogni ultimo Giovedì di Gennaio va alla ricerca di qualche bambino da mangiare.
Ma una mamma, che voleva molto bene al suo bambino, le tese una trappola. Preparò una gran pentola piena di risotto giallo allo zafferano con la luganega (salsiccia), e lo mise sulla finestra. Il profumo era delizioso, da far venire l’acquolina in bocca. La Giubiana sentì il buon odore e corse con la sua scopa verso la pentola e cominciò a mangiare il risotto. Il risotto era tanto ma era così buono, che la Giubiana non si accorse che stava per arrivare il Sole. Il Sole nascente incenerì la strega che era una creatura dell’oscurità e così il bambino fu salvo.
Esiste anche un’altra versione, secondo la quale una mamma prese una bambola e la riempì di coltelli e forbici, poi la mise nel letto, al posto della figlia.
A mezzanotte la bimba spaventatissima, si strinse vicino alla mamma, mentre si sentiva la Giubiana salire i gradini ed entrare nella stanza dove giaceva la bambola che la madre aveva riempito di forbici e coltelli.
Nella sua ferocia, la Giubiana ingoiò in un sol boccone la bambola credendo che fosse la bambina, ma subito fu costretta a emettere un urlo raccapricciante. La mamma andò nella stanza della bimba e trovò il corpo della Giubiana in brandelli, per via dei coltelli e delle forbici. Con il sorgere del sole il corpo dell’orchessa fu bruciato.
In memoria di questa leggenda dopo il rogo viene servito il risotto della Giubiana con zafferano e salsiccia. Questo mito ricorda molto quello di Saturno, anche lui divoratore di fanciuli, ovvero dell'avvenire.
Infine, nel Mondo Cristiano, la festa dell’Epifania fu canonizzata nel III Secolo e commemora l’adorazione dei Magi presso il Bambinello.

Tale Adorazione simboleggia la Manifestazione della natura divina di Gesù Bambino, tuttavia, per la Chiesa Ortodossa, tredici giorni dopo Natale (secondo il calendario Giuliano) si commemora il battesimo di Gesù, altro importantissimo momento della manifestazione divina del Bambinello. Anche in questo caso l’Epifania sottolinea la morte del vecchio e la nascita del nuovo, là dove Gesù rappresenta non solo il Sole Invicto o la nascita della nuova religione cristiana ma, in un’ottica più universale e certo più evangelica (nell’accezione di Buona Novella) del nuovo Regno d’Amore che si sostituisce alle Tenebre del Regno della Paura e dell’Assenza di Dio. 
Infatti, l’Epifania, a tutte le latitudini e in tutte le epoche è il simbolo della conoscenza da parte dell’Uomo di Dio e dunque dell’inizio, per l’Umanità, di un momento di speranza e splendore; l’inizio di un viaggio verso l’origine o età dell’Oro che dir si voglia sotto la guida amorevole della divinità.
Chiunque sia la vostra Befana, da qualunque paese vengano i vostri Magi, in qualunque modo vorrete salutare la Madre Terra, possa manifestarsi nei vostri cuori quella certezza del divino che, nella notte dei tempi, portó i nostri sconosciuti antenati a festeggiare tanto allegramente.

http://www.cronacheesoteriche.com/festeEpifania.jsp
https://www.ilmattinodifoggia.it/blog/alba-subrizio/34677/i-saturnalia-l-avvento-dei-romani.html?refresh_ce

domenica 29 dicembre 2019

CONTRO IL PRIMATO ARTISTICO DELLA MACCHINA SULL'UOMO

Questo sgorbio realizzato con un FX tipo "trasparenza porta a vetro" è un’opera d’arte realizzata dall’intelligenza artificiale. L’ha appena battuta all’asta Christie’s, che l’aveva stimata fra i 7 e i 10mila dollari ma l’ha piazzata alla cifra record di 432.500 dollari, nel corso di una sessione di vendita a New York. Il dipinto, tratto da un gruppo di undici ritratti raffiguranti i componenti dell’immaginaria famiglia Bellamy, è in realtà il frutto di un progetto di un collettivo francese di artisti 25enni, Obvious.

L'opera d'arte non deve necessariamente essere "bella o brutta", può essere quello che vuole, ma per essere tale deve prevedere e contemplare una certa dose di originalità, un'estetica personale ed una forte volontà creativa della persona o delle persone che la realizzano, deve rappresentare qualcosa di unico e raro.
L'opera d'arte deve far pensare, sognare, far provare emozioni, anche provocare, ma si porta dietro la sua grammatica, il suo linguaggio, i suoi simboli, i suoi significati, non deve avere utilità come un bagno pubblico, deve nutrire le menti, lasciare dei segni, seminare elementi che poi verranno elaborati nel tempo. Quando non lascia traccia, significa che l'autore non è riuscito a comunicare nulla o che l'opera valeva poco.
Nella nostra epoca attribuiamo valenze artistiche ad ogni forma di creazione industriale, come il design di un palazzo, di una macchina, di un cellulare, di un salotto, la stessa moda, fino l'oggettistica d'arredamento, ed è forse per questo motivo che il concetto di Arte, inteso in senso tradizionale, è morto. La differenza però è molto semplice, un quadro, una scultura, un brano musicale, conservano l'impronta dell'artista e la loro unicità è in qualche modo eterna, una sorta di impronta digitale che si distingue da tutte le altre e, per quanto possa ricordarci qualcosa di già visto o sentito, sarà sempre differente da tutto il resto, al contrario, tutto ciò che viene prodotto in serie, ripetuto, clonato, per quanto degno di interesse estetico, perderà quel primato originale.
Oggi, nella psicologia di massa della nostra veloce e vorace società, per far emergere un'opera, non si tende più ad andare in profondità, trasmettendo visioni e significati archetipici, nell'era della ripetizione, si tenderà a scioccare lo spettatore, ad urlare di più, ad alzare il volume.
L'originalità e la lenta semina vengono sostituiti dalla provocazione, dal plagio emozionale, vince l'istinto primordiale di cogliere quell'attimo per suggestionare, come succede nella pubblicità, il linguaggio è concettualmente simile.
Duchamp, oggi, esporrebbe nei cimiteri delle biennali un quadro potente e denso, e non certo un orinatoio come nel 1917, perché la sua provocazione aveva senso all'epoca, oggi, dopo più di un secolo, si replica all'infinito quella stessa provocazione, decontestualizzandola e ripresentandola spudoratamente come novità. Ecco che per 60 anni ci siamo subiti "merde d'artista" all'infinito, merde tutte uguali che non dissacravano nulla, tranne appunto la prima, realizzata in quel dato momento storico, dove poteva avere un senso preciso, dopo, paradossalmente, assumeva il significato opposto, ovvero, di conservazione, di chiusura mentale, in qualche modo di morte.
Equivoco su equivoco, voluto ed alimentato per un discorso solo speculativo e di potere, legittimo per chi ne trae vantaggio, oggi decisamente da destrutturare, spezzando l'incantesimo, in nome proprio del gesto simbolico di rottura dello stesso Duchamp.
Oggi artisti transumanisti, ovvero, ingegneri con "velleità creative", sponsorizzano intelligenze artificiali che, debitamente programmate, deformano attraverso un innumerevole serie di pattern e frattali matematici, quadri d'epoca, affermando che le macchine possono creare Arte in serie, limitandosi ovviamente a storpiare.
Non ha alcun senso far replicare ad una macchina, con l'equivoco che sarebbe la macchina a crearle, e così non è, opere d'arte. Semmai ha senso usare la tecnologia per creare opere possibilmente originali, interessanti e che portino qualcosa di nuovo nel triste panorama odierno.
La macchina in questione non crea nulla, fa quello che fa una stampante, esegue ed illude gli stolti,
Sarebbe meglio dire, più onestamente, arte manipolata tramite le macchine, ma NON arte fatta dalle macchine, perché così non è.
Si crea un equivoco culturale, fingendo di aver creato qualcosa di nuovo. Oltretutto, certe manipolazioni si possono fare con qualsiasi buon programma dedicato, senza invocare moloch senzienti, che poi tali non sono, perché sono programmati per essere operativi, l'intelligenza è altra cosa.
Stiamo confondendo strumento con volontà creatrice, confondiamo contenitore con contenuto e nell'epoca del post-umano, dove abbiamo giustamente abdicato i vecchi oracoli, orfani, ne creiamo altri più artificiali, quindi la volontà di potenza dell'uomo rinuncia ad esprimersi ed affermarsi, delega al nuovo oracolo digitale la creatività che un tempo coltivava, rassegnadosi al random di un pattern cibernetico. E' l'uomo che crea l'opera d'arte, quindi se si usa la tecnologia per realizzare copie e manipolazioni di quadri esistenti fatti in serie, ed io sono laicamente pronto ad accettare qualsiasi sperimentazione (ma che sia tale), la dovremmo chiamare "programmazione di arte cibernetica per produzione seriale", non confonderla come volontà di potenza di una macchina che, realisticamente, fa solo quello che noi vogliamo. 
"Metropolis" e "2001-Odissea nello spazio" hanno già splendidamente mostrato il superamento ed il fallimento del dominio della macchina sull'uomo, oggi stiamo tornando indietro, siamo affascinati dal nuovo totem come novelli uomini delle caverne, tribali e tecnologici.


La macchina ESEGUE operazioni di programmazione, l'artista DECIDE cosa realizzare. 
Gli scenari determinati dalla tecnologia potrebbero essere infiniti e stupefacenti, magari usare le potenzialità per espandere il nostro di ingegno, ma senza farsi dominare dalla macchina, perché in quel caso non ci sarà mai una rivoluzione, una vera evoluzione, una nuova creazione, ma solo ripetizione e noia, l'esatto contrario di Arte.
E' un pensiero squisitamente reazionario, per quanto legittimo, quello di far "implodere" i gesti artistici nel replicare schemi sempre uguali, è pura masturbazione fine a se stessa, ancor peggio illudersi che sia un robot a crearli. 
E' tipico delle dittature un'Arte che replica se stessa, basta guardare la cosiddetta Arte di Stato nei fascismi e nei comunismi, un'arte paradossalmente molto simile alle nuove avanguardie, che oggi abbracciano anche la tecnologia usata come rotativa, un'arte che si basa sulla ripetizione, sullo snaturamento dell'individuo, sulla soppressione del pensiero creativo, premiando appunto l'estetica da propaganda (gli esempi del faccione del duce, ripetuti e clonati sui palazzi, anticipano di quasi mezzo secolo la pop-art e la pubblicità). 
Non può esserci novità nella replica ad oltranza, è la morte dello spirito questa "simmetria industriale". Non c'è nessuna sinapsi che lavora per intuire e cogliere nuovi modelli estetici, che non siano quelli di programmare una macchina e glorificarla, annichilendo l'uomo a subalterno, è una volontà che sottende un'ideologia transumanista pervasiva e mortifera. 
E' la celebrazione del congegno e non di cosa serva codesto congegno. 
E' il COME che si è sostituito al PERCHE' delle cose, è pensiero magico scambiato per libertà, quindi fotocopie scambiate per Arte. Dispiace ribadirlo, ma questo paradigma vigente è il vero "fascismo culturale". Paradossalmente, anche sotto il ventennio c'erano artisti meravigliosi come Sironi, a mio avviso, uno dei più grandi artisti del secolo passato, che compensavano tanta brutta Arte di stato, in parte anche della sua, quando doveva fare marchette, ma la sua produzione vera ed importante, ci ha donato opere e visioni eccezionali di una sensibilità e di una poesia difficilmente replicabili; perfino sotto quella brutale dittatura c'erano lavori degni di interesse che potevano avere voce in capitolo e non essere sepolti dal conformismo dilagante.

Questo paradigma del "NUOVO" a tutti i costi, è in realtà una visione passatista, per questo motivo le nuove avanguardie, che da oggi dovrebbero chiamarsi "retroguardie", vanno verso un discorso di pensiero unico. Non c'è nessuna complessità, arricchimento e varietà in questo, c'è la negazione della differenza, sostituita dallo scimmiottamento della macchina eretta a totem e non utilizzata solo come mero strumento, ma come mente. La pigrizia culturale fa si che l'autore goda nel delegare al novello HAL 9000, la voglia di pensare, di creare, in un certo senso, anche di vivere. Da oggetto, la macchina diventa soggetto, a differenza di Pinocchio, però, il nuovo golem non cerca l'anima.
Ciò non è colpa della tecnologia in quanto tale, ma delle mode del momento e della passività intrinseca di chi vorrebbe essere sostituito nella sua funzione primaria, un "nuovo" ideologico che auspica la fine del libero pensiero, oscurando e censurando tutti gli esempi di artisti fuori dal coro, di tutti i generi considerati "cattivi esempi" per il conformismo imperante, che metterebbero in discussione l'attuale governance dell'Arte Moderna. L'accettazione acritica dello status quo rappresenta il tipico atteggiamento fideistico religioso di un tempo.

La tecnologia è sicuramente meravigliosa, la usiamo quotidianamente e svolge funzioni importanti nella vita quotidiana, ma per dominarla ed utilizzarla al meglio, per soddisfare le nostre comodità e renderci più "liberi e felici", dobbiamo comprenderne le derive e capire che deve essere considerata sempre e solo uno strumento per migliorare la qualità della nostra vita. Se deve diventare un ostacolo, un impedimento, una perdita di tempo od un pericolo, bisogna utilizzarla in altro modo.
Se l'arte è relegata solo alla replica di se stessa ed alla finta provocazione che non scomoda nessuno (e sono 60 anni che viene ripresentata come nuova, come in un loop all'infinito), diventa noia, non emoziona, ci abbruttisce dentro, significa che l'Arte ha abdicato al suo ruolo, diventando effimera, superficiale, triviale, consumistica e fine a se stessa.
Sarebbe allora auspicabile una rivoluzione, un nuovo rinascimento culturale, un risveglio dal sonno della ragione, più poesia e meno cibernetica, più originalità e meno ripetizione. 
Al contrario, l'ignavia e la supponente passiva accettazione di questo schema (chiamasi alibi ed omertà), cela una volontà di delega creatrice al nuovo moloch, una svelata volontà di umana IMPOTENZA.


mercoledì 25 dicembre 2019

L'ALBERO DI NATALE E SANTA CLAUS. LE RADICI MITOLOGICHE DI DUE ANTICHI SIMBOLI


Bentornati, cari bambini di ogni latitudine, e buone feste...
Vi presento un articolo molto interessante, tratto dal blog JUNGITALIA, che parla delle origini lontane dei simboli dell'albero di natale e di babbo natale, che trovano riscontri in diverse religioni e culti antichi. Personalmente, la figura di babbo natale ha sempre inquietato. Da bambino avevo paura che entrasse di notte da qualche parte remota della casa e, non avendo il camino, mi chiedevo cosa escogitasse per posare i regali sotto l'albero senza farsi vedere, e fin dall'ora, la mia anima dietrologica si poneva diverse domande.
Perché usa le renne e la slitta?
Come fa nella stessa notte ad arrivare nelle case di tutti i bambini? 
Quanti sono i babbi natale?
Babbo natale è buono o cattivo?
Fino a... "Che cazzo vuole babbo natale? Tanto so che me li comprano i miei genitori i regali"
In quel momento, verso i 7 anni, iniziava a svanire la magia del natale, ma rimase sempre la voglia di ricevere tanti giocattoli.
L'albero di natale, invece, l'ho vissuto come una gran rottura di scatole, tutte quelle decorazioni che ti rimanevano sui vestiti, quei maledetti fili delle luci che si aggrovigliavano, ed il gatto che puntalmente vomitava dopo aver ingerito i pilucchi delle stelle filanti.
La magia del natale può tornare anche per noi adulti rimasti un po' bambini, scoprendo le radici antiche di questi simboli lontani ed ancora attuali.
MDD

L’albero di Natale e Santa Claus: le radici mitologiche di due antichi simboli
Emanuele casale

L’Albero di Natale: tra mitologia e antropologia:
Ci dice Jung riguardo l’albero di Natale:
L’albero di Natale è una di quelle antiche usanze che nutrono l’anima, che nutrono l’uomo interiore.
L’albero decorato e illuminato, si ritrova anche indipendentemente dalla natività di Cristo e anzi in contesti non cristiani.
Per esempio nell’alchimia, quell’inesauribile inesauribile riserva dei simboli dell’antichità, il significato dei globi lucenti che appendiamo all’albero di Natale: non sono altro che i corpi celesti, il sole, la luna, le stelle; l’albero di Natale è l’albero cosmico.
Ma, come mostra chiaramente il simbolismo alchemico, è anche un simbolo della trasformazione, un simbolo del processo di autorealizzazione.
Secondo talune fonti alchemiche, l’adepto si arrampica sull’albero: un motivo sciamanico antichissimo. Lo sciamano, in stato estatico, sale sull’albero magico per raggiungere il mondo superiore, dove troverà il suo vero essere. Arrampicandosi sull’albero magico, che è al tempo stesso l’albero della conoscenza, egli si impossessa della propria personalità spirituale.

Albero Cosmico o Albero della vita, preso dal Libro Rosso di Jung

Allo sguardo dello psicologo, il simbolismo sciamanico e alchemico è la rappresentazione in forma proiettiva del processo di individuazione. Come questo poggi su base archetipica è dimostrato dal fatto che i pazienti del tutto privi di nozioni di mitologia e di folklore producono spontaneamente immagini incredibilmente simili al simbolismo dell’albero storicamente attestato.
L’esperienza mi ha insegnato che gli autori di quelle rappresentazioni cercavano in tal modo di esprimere un processo di evoluzione interiore indipendente dalla loro volontà cosciente.»
(Tratto da Jung Parla. Interviste e Incontri)

Alla base dell’albero natalizio ci sono gli antichissimi usi, tipici di varie culture, di decorare i vari Alberi del Paradiso con nastri e oggetti colorati, fiaccole, piccole campane, animaletti votivi, e la credenza che le luci, che li illuminavano, corrispondessero ad altrettante anime.
Allo stesso modo venivano ornati anche i vari Alberi cosmici con simboli del Sole, della Luna, dei Pianeti e delle stelle. In particolare l’abete era sacro a Odino, potente dio dei Germani.
L’abitudine di decorare alcuni alberi sempreverdi era diffusa già tra i Celti durante le celebrazioni relative al solstizio d’inverno.
I Vichinghi dell’estremo Nord dell’Europa, per esempio, dove il sole “spariva” per settimane nel pieno dell’inverno, nella settimana precedente e successiva al giorno con la notte più lunga, si officiavano le solennità per auspicare il ritorno del sole e credevano che l’abete rosso fosse in grado di esprimere poteri magici, poiché non perdeva le foglie nemmeno nei geli dell’inverno: alberi di abete venivano tagliati e portati a casa, decorati con frutti, ricordando la fertilità che la primavera avrebbe ridato agli alberi.
I Romani usavano decorare le loro case con rami di pino durante le Calende di gennaio.

Albero sciamanico/cosmico
L’albero come simbolo del Cristo


Con l’avvento del Cristianesimo l’uso dell’albero di Natale si affermò anche nelle tradizioni cristiane, anche se la Chiesa delle origini ne vietò l’uso sostituendolo con l’agrifoglio, per simboleggiare con le spine la corona di Cristo e con le bacche le gocce di sangue che escono dal capo.



Nel Medioevo i culti pagani vennero generalmente intesi come una prefigurazione della rivelazione cristiana. Oltre a significare la potenza offerta alla natura da Dio, l’albero divenne quindi simbolo di Cristo, inteso come linfa vitale, e della Chiesa, rappresentata come un giardino voluto da Dio sulla terra.
Nella Bibbia il simbolo dell’albero è peraltro presente più volte e con più significati, a cominciare dall’Albero della vita posto al centro del paradiso terrestre (Genesi, 2.9) per arrivare all’albero della Croce, passando per l’Albero di Jesse.
L’albero natalizio ha una valenza cosmica che lo collega alla rinascita della vita dopo l’inverno e al ritorno della fertilità della natura.
L’albero cosmico o albero della vita è stato anche associato alla figura salvifica di Cristo e alla croce della Redenzione, fatta appunto di legno.
L’abete, sin dall’epoca egizia è stato posto in relazione con la nascita del dio di Biblo, dai Greci fu consacrato ad Artemide, protettrice delle nascite e sempre dai Greci era ritenuto simbolo della rinascita rappresentata dal nuovo anno.
Sarà poi venerato dai popoli dell’Asia settentrionale e, in particolare, dai Celti e dai Germani che lo associavano alla nascita del fanciullo divino e a sua volta alla festività del solstizio invernale.
Per il Cristianesimo l’abete diventò simbolo di Cristo e della sua immortalità.
Inoltre si noti la similitudine dell’albero con il pilastro cosmico chiamato Yggdrasill dalla mitologia nordica, fonte della vita, delle acque eterne, cui è vincolato il destino degli uomini: similitudini queste sincreticamente assorbite nel culto cristiano che celebra l’albero di Natale e la Croce stessa.

Il puntale:
In genere esso è utilizzato a forma di stella, che sta come rimando alla Stella Cometa che i Re Magi seguirono per raggiungere la grotta della Natività.
L’uso moderno dell’albero nasce secondo alcuni a Tallinn, in Estonia nel 1441, quando fu eretto un grande abete nella piazza del Municipio, Raekoja Plats, attorno al quale giovani scapoli, uomini e donne, ballavano insieme alla ricerca dell’anima gemella. Tradizione poi ripresa dalla Germania del XVI secolo.
Ingeborg Weber-Kellermann (professoressa di etnologia a Marburgo) ha identificato, fra i primi riferimenti storici alla tradizione, una cronaca di Brema del 1570, secondo cui un albero veniva decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta. La città di Riga è fra quelle che si proclamano sedi del primo albero di Natale della storia (vi si trova una targa scritta in otto lingue, secondo cui il “primo albero di capodanno” fu addobbato nella città nel 1510). Moderno albero di Natale nella città di Riga
Precedentemente a questa prima apparizione “ufficiale” dell’albero di Natale si può però trovare anche un gioco religioso medioevale celebrato proprio in Germania il 24 dicembre, il “gioco di Adamo e di Eva” (Adam und Eva Spiele), in cui venivano riempite le piazze e le chiese di alberi di frutta e simboli dell’abbondanza per ricreare l’immagine del Paradiso.
Successivamente gli alberi da frutto vennero sostituiti da abeti poiché questi ultimi avevano una profonda valenza “magica” per il popolo. Avevano specialmente il dono di essere sempreverdi, dono che secondo la tradizione gli venne dato proprio dallo stesso Gesù come ringraziamento per averlo protetto mentre era inseguito da nemici.
Secondo altre fonti l’albero di natale come è conosciuto oggi sarebbe originario della regione di Basilea in Svizzera dove se ne trovano tracce risalenti al XIII secolo.

Babbo Natale- Le origini nelle varie culture:
C’è un’origine molto “recente” di questa figura nell’immaginario delle persone più curiose e colte, ovvero quell’origine che farebbe risalire la figura di Babbo Natale a Santa Claus (nei paesi anglofoni), che a sua volta deriva principalmente dallo stesso personaggio storico:
San Nicola, vescovo di Myra (Turchia), di cui per esempio si racconta che ritrovò e riportò in vita cinque fanciulli, rapiti ed uccisi da un oste, e che per questo era considerato il Protettore dei bimbi.
L’appellativo Santa Claus deriva da Sinterklaas, nome olandese di San Nicola.

Origine Romana pre-cristiana:
Alcuni studiosi tendono ad identificare nella figura del dio Saturno (una delle più importanti divinità italiche, patrono dell’agricoltura e dei defunti) una di quelle che ha ispirato il mito di Babbo Natale.
Anticamente presso i romani dal 17 al 23 dicembre, in concomitanza con il Solstizio d’Inverno, si svolgeva la festività dei Saturnali, una festività religiosa (a volte anche dai tratti orgiastici) durante la quale era consuetudine scambiarsi dei doni e intrattenersi in grandi banchetti e feste per celebrare l’abbondanza ricevuta durante l’anno.
Successivamente con l’avvento del Cristianesimo la figura del dio Saturno fu sostituita con quella di San Nicola, mentre le usanze eccentriche di questa festività (come il travestirsi e fare scherzi rompendo il comune ordinamento sociale) vennero assorbite dal Carnevale, la cui celebrazione avviene poco prima dell’inizio del periodo della Quaresima che precede le celebrazioni pasquali.

Origini nel folklore germanico:
Prima della conversione al cristianesimo, il folclore dei popoli germanici, incluso quello inglese narrava che il dio Odino (Wodan o Wotan) ogni anno tenesse una grande battuta di caccia nel periodo del solstizio invernale (Yule), accompagnato dagli altri dei e dai guerrieri caduti.Odino l’errante, dio germanico
La tradizione voleva che i bambini lasciassero i propri stivali nei pressi del caminetto, riempendoli di carote, paglia o zucchero per sfamare il cavallo volante del dio, Sleipnir. In cambio, Odino avrebbe sostituito il cibo con regali o dolciumi. Questa pratica è sopravvissuta in Belgio e Paesi Bassi anche in epoca cristiana, associata alla figura di san Nicola.
I bambini, ancor oggi, appendono al caminetto le loro scarpe piene di paglia in una notte d’inverno, perché vengano riempite di dolci e regali da san Nicola – a differenza di Babbo Natale, in quei luoghi il santo arriva ancora a cavallo. Anche nell’aspetto, quello di vecchio barbuto dall’aria misteriosa, Odino era simile a san Nicola (anche se il dio era privo di un occhio).
Un’altra tradizione folklorica delle tribù germaniche racconta le vicende di un sant’uomo (in alcuni casi identificato con san Nicola) alle prese con un demone (che può essere, di volta in volta, un diavolo, un troll o la figura di Krampus) o un oscuro uomo che uccideva nei sogni (Blackman o pitchman). La leggenda narra di un mostro che terrorizzava il popolo insinuandosi nelle case attraverso la canna fumaria durante la notte, aggredendo e uccidendo i bambini in modo orribile.

Antica illustrazione datata 1881. L’autore è Thomas Nast che, insieme a Clement Clarke Moore, ha contribuito a creare la moderna immagine di Babbo Natale

Il sant’uomo si pone alla ricerca del demone e lo cattura imprigionandolo con dei ferri magici o benedetti (in alcune versioni gli stessi che imprigionarono Gesù prima della crocifissione, in altri casi quelli di san Pietro o san Paolo). Obbligato ad obbedire agli ordini del santo, il demone viene costretto a passare di casa in casa per fare ammenda portando dei doni ai bambini. In alcuni casi la buona azione viene ripetuta ogni anno, in altri il demone ne rimane talmente disgustato da preferire il ritorno all’inferno.
Altre forme del racconto presentano il demone convertito agli ordini del santo, che raccoglie con sé gli altri elfi e folletti, diventando quindi Babbo Natale.

Origini nel folklore islandese:
Gli islandesi amano dire che da loro ci sono ben 13 Babbo Natale perché la loro tradizione di doni a Natale è basata su 13 folletti, chiamati Jólasveinar, i cui nomi derivano dal tipo di attività o di cibo che preferiscono.
Una volta all’anno, due settimane prima di Natale, questi folletti fanno prima il bagno nelle acque calde delle sorgenti del lago di Niva, quindi lasciano le grotte dove abitano per portare ai bambini islandesi buoni dei doni.
Questi vengono messi nelle scarpe che i bambini hanno lasciato sotto le finestre. In pratica, i bambini islandesi, se sono stati buoni, ricevono tredici regali, uno per ogni giorno delle due settimane che precedono il Natale.
Questi folletti, tuttavia, possono essere dispettosi e a volte si divertono a fare scherzi o a spiare gli umani. Inoltre, se il bambino ha fatto il cattivo, riceve al posto dei doni delle patate

Curiosità:
La renna appare con Santa Claus poiché la tradizione lo ha fatto un personaggio proveniente dal Nord Europa.
La renna era sacra a Isa o Disa la dea Grande Madre degli Scandinavi.
Nel nord Europa la renna assume spesso il significato di simbolo lunare, come tutti gli altri cervidi, perciò ha ruoli funerari e di guida delle anime dei defunti nell’oltretomba, ma soprattutto ha ruoli notturni per cui è collegata a Santa Claus che giunge di notte portando doni.

Babbo Natale come sciamano:
Una sapiente, curiosa, divertente inchiesta durata dieci anni sulle antiche origini europee di questo personaggio che scopriamo collegato al mito dell’Albero di Fuoco (poi diventato l’Albero di Natale) e a quello del saggio sciamano, che oggi è rappresentato sulla slitta trainata dalle renne.
Come mai i Padri Pellegrini odiavano Babbo Natale? Perché il Vaticano ha fatto il possibile per discreditare Herne Pan, ossia l’antenato di Babbo Natale?
“Una fonte di profonda conoscenza su come, nel tempo, sia avvenuta la trasformazione mitica di un credo e di una pratica pagana di quell”immagine adorabile di robusta benevolenza tanto cara ai bimbi di ogni età.” – Rabbino Dr. Benjamin Herson – Malibu Jewish Center & Synagogue.
Il libro risponde a queste domande: chi era veramente Babbo Natale? Quali sono le sue origini? E l’albero di Natale? Qual è la sua origine? Perché facciamo l’albero di Natale?
Babbo Natale e l’albero di Natale hanno origini che risalgono a migliaia di anni fa, quando l’uomo era nello stesso tempo affascinato e impaurito dalla natura che lo circondava.
La tradizione dell’albero di Natale è un ricordo ancestrale del mito dell’albero di fuoco e potrebbe risalire anche a centomila anni fa…
Il culto dell’albero di fuoco è sopravvissuto nonostante i tentativi della chiesa, soprattutto nei paesi germanici dove era diffuso, di abbattere gli alberi sacri.
Una volta l’albero sacro era la quercia, ma fu poi sostituito dall’abete, perché più economico ed abbondante…
Perché tali miti sono riapparsi, nonostante il tempo e l’ostilità delle religioni?

domenica 8 dicembre 2019

ALICI NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE


Il fenomeno Sardine è molto interessante, descrive alla perfezione il sentimento popolare di una parte delle nuove generazioni, compresi i loro parenti, che talvolta fanno da garanti come con i minori ai concerti rock.
E' la fotografia dei tempi moderni, rappresenta il paradigma della volontà alveare per eccellenza, come succede nei flashmobe. E' quella irrestibile voglia di esserci, di immortalare l'evento in quanto EVENTO, magari suggellato da un inno che unisce e legittima la massa che aderisce all'adunata, da un selfie collettivo a denti stretti, tutti abbracciati in un girotondo che dura un attimo. Mi ricorda tanto lo spot natalizio Coca Cola anni 80, oppure, andando a ritroso nel tempo, la vecchia canzone "Aggiungi un posto a tavola".
In chiave social, oggi potremmo intitolarla "Aggiungi un POST a tavola", dove la tavola è rappresentata dalla piazza, tutti stretti stretti come sardine in una rete prima virtuale, poi reale.
Una folla indistinta, di vago orientamento liberal, dove le persone ci ricordano tante piccole ed anonime api di un alveare post-ideologico, dove la lotta di classe non esiste più, anzi, è vista come un virus letale che mette in discussione l'assenza stessa di ideologia, ora assunta a "nuova ideologia".
Un contenitore che celebra se stesso, negandosi il contenuto.
Se da un lato è sempre buona cosa scendere in piazza e controbilanciare la piazza virtuale, partecipare alla res publica, vivere la propria città da cittadini attenti e curiosi, dall'altro lato non possiamo negare che la tipologia di manifestazione proposta rappresenta il nulla quantico.
Per carità, tanti bravi ragazzi, facce pulite, impegnati nel sociale, onesti e volenterosi, vigili ed attenti guardiani della nostra democrazia contro i populismi mediatici, contro il razzismo, contro la Lega, pronti a dare ottimi consigli a quel fantasma che si chiama PD, ma assolutamente innocui.
Una sorta di Papa Boys in salsa laica che non nutrono troppa simpatia per la vetusta bandiera rossa, considerata un cimelio del passato, troppo simbolica e belligerante, meglio se relegata ai meme.
Infatti, pare siano state allontanate bandiere incriminate in alcune città al grido di "Non vogliamo essere strumentalizzati", basta simboli.


Le Sardine sono il nuovo che avanza, un nuovo modello gentile ed ecosolidale, buonista e benaltrista, una melassa pronta ad intonare "Come è profondo il mare" di Dalla ed una nuova hit di Calcultta.
Non sporcano, bevono solo succhi di frutta alla pera e forse manco fumano le canne, non dicono parolacce e, quando eccedono contro Salvini, vengono subito redarguiti, manco si fosse in una direzione di partito.
Dei simpatici boy scout usciti da Black Mirror, dove il manifestante buono è cullato dai media e sponsorizzato dalla meglio intellighenzia, la piazza innocua che ogni sistema auspica ci sia, magari munita di scopetta e paletta per pulire le cartacce dopo ogni evento.
L'avanguardia che in futuro potrebbe oscurare qualsiasi sciopero e qualsiasi vera lotta, un esempio da insegnare ai cattivi antagonisti sempre incazzati, agli operai licenziati, anche loro sempre incazzati, agli studenti troppo facinorosi, ai guerrieri metropolitani ed ai ribelli di ogni genere.
Se pensiamo quante migliaia di persone, a comando pavloviano interniano, hanno aderito alle Sardine e quanti pochi aderiscono alle vere contestazioni popolari, c'è da preoccuparsi.
Pensiamo per un attimo a quanto potrebbero essere utili le Sardine se non fossero "sardine", se tutta la massa di persone che con un click scattano sull'attenti, fosse indirizzata verso tematiche importanti, verso obiettivi concreti, come il lavoro, l'economia, il salario minimo garantito, le pensioni, se mostrassero una vera criticità verso lo status quo.
Invece no, l'unica volta che in un nano secondo e dal nulla, la gente aderisce spontaneamente ed in quantità esorbitante, come mai i partiti ed i sindacati sono riusciti a realizzare simultaneamente in diverse città, lo si fa solo contro un bersaglio politico, in nome dell'antisalvinismo.
Per carità, per quanto sia sacrosanta la critica al Capitone, ci può stare, ma non può bastare solo questo aspetto, ed è triste constatare come le persone non abbiano affatto coscienza di classe.
Tanta energia vanificata, o forse no, a seconda di quello che in futuro accadrà, ma la piazza distopica e al tempo stesso buonista ci mancava. I numeri parlano chiaro, per ora hanno ragione loro, tanti applausi e congratulazioni.
L'unica cosa, forse la più importante, che ha legami con la tradizione, risiede nel fatto che anche le Sardine necessitano di un nemico comune, quello è il vero collante sempreverde, la garanzia del meritato successo.
Successo che ha sorpreso anche gli organizzatori, perchè nessuno si aspettava questo flusso di gente, almeno non nei numeri, ed anche questo fa pensare...
Perché tutta questa massa di gente non è mai scesa in piazza a favore dei lavoratori dell'Ilva, della Whirlpool o di qualsiasi altra azienda, in sincrono in tutta Italia, perchè non esiste un equivalente più impegnato politicamente delle Sardine, che possa vantare questo ampio movimentismo così immediato a comando?
Misteri della psiche umana, direbbe qualcuno, o forse, un'instillata mentalità orwelliana, dopo anni e anni di social tanto pervasivi, dove si preferisce aderire a qualcosa di non troppo impegnativo, anche se ammantato di buoni sentimenti, un Black Friday del vogliamoci bene, l'importante è la moderazione, la pacatezza ed il qualunquismo scambiato per impegno sociale.


L'idea semplice e geniale dei 4 organizzatori funziona talmente bene che non ha bisogno di nessun mediatore e "grande vecchio" che faccia le loro veci, almeno per quanto riguarda la chiamata alle armi, quella scaturisce banalmente dall'effetto domino di Facebook, come abbiamo constatato a Bologna e poi, a macchia d'olio in tutta Italia. Ora tutti vogliono partecipare, guai a mancare, sarebbe peccato non celebrare questa liturgia riportata dai media con così tanta perizia, si va in piazza per testimoniare se stessi annullandosi in sardine, tutti stretti, stretti, come a Capodanno o in una messa, dove le candele sono state sostituite dai cellulari ed il 5G che verrà. Ed anche ci fosse qualche mente occulta sopra ai 4 organizzatori, non cambierebbe nulla la questione, perché l'adesione, per la grossa maggioranza, è terribilmente spontanea e gratuita.
Ecco, allora, che arrivano i primi corteggiamenti dai partiti del centro-sinistra, le prime avvisaglie di strumentalizzazioni, le tirate per la giacchetta, commissari del Parlamento Europeo, non si capisce se per scherzo o per follia, che intonano una stonata "Bella Ciao", strizzando l'occhio al movimento. Gli osservatori ed i loro arconti stanno studiando le mosse per capire come capitalizzare e/o eteropilotare queste piazze, magari in futuro da convogliare elettoralmente tra le proprie fila, oppure, perchè no, per creare un nuovo format politico populista/antipopulista, da sostituire all'oramai disintegrato M5S, un nuovo M5SARDINE più spostato a sinistra, ma privo di contenuti forti.
E' proprio l'assenza programmatica ed il vuoto ideologico ad interessare i futuri utilizzatori del fenomeno Sardine, guai se avessero espresso istanze di lotta, visioni economiche alternative, una forte critica al sistema neoliberista e via dicendo. L'unico tema sbandierato è un innocuo anti-razzismo di buon senso, che mette d'accordo tutti e nessuno, ma che non porta a nulla di concreto.

E' di oggi la notizia che il buon Mario Monti ha espresso la possibilità di partecipare ad una sardinata, mostrando affinità e solidarietà al movimento. Si è prenotato un posto in prima fila, ma ne seguiranno altri di vip, se spopoleranno ancora in tutto il bel paese. Hanno espresso simpatia al movimento anche diversi attori come De Niro, cantanti come Patty Smith dal palco ne hanno esibito il simbolo, perfino la nuova compagna di Berlusconi ha detto di non disdegnare le Sardine.
A quando la prima pagina della rivista Rolling Stone? Le Sardine sono veramente un fenomeno rock?
Se continueranno positivamente la loro avventura, consolidandosi sempre più, e non svanendo come i vecchi girotondini anni 90 od il Popolo Viola, dovranno ad un certo punto capitalizzare tutto il loro consenso in qualcosa di più concreto e sostanziale.
Due strade si presentano all'orizzonte. Rimanere il megafono della maggioranza silenziosa di centro-sinistra, magari attivandosi di volta in volta, quando le destre avanzano in prossimità di elezioni, oppure, trasformarsi da Sardine in squaletti, puntando alla forma partito, magari con l'aiuto di qualche marinaio con la griglia fumante.
Attenzione però, il fermo pesca non è ancora arrivato e le reti sono ancora in mare aperto, pronte a raccogliere tutto il pesce azzurro, quello rosso non interessa più a nessuno...



sabato 30 novembre 2019

ARDITI DEL POPOLO





Gli Arditi del Popolo furono un'organizzazione antifascista nata nell'estate del 1921 da una scissione della sezione romana degli Arditi d'Italia per iniziativa di un gruppo di iscritti guidati dal simpatizzante anarchico Argo Secondari ed appoggiati da Mario Carli: l'obiettivo della scissione fu quello di opporsi alla violenza delle Camicie Nere.
Questo movimento si opponeva alle spedizioni punitive fasciste e creò vere e proprie milizie per la protezione dei quartieri e dei centri oggetto di attacchi armati da parte dalle "squadracce" fasciste.
«Fino a quando i fascisti continueranno a bruciare le case del popolo, case sacre ai lavoratori, fino a quando i fascisti assassineranno i fratelli operai, fino a quando continueranno la guerra fratricida gli Arditi d'Italia non potranno con loro aver nulla di comune. Un solco profondo di sangue e di macerie fumanti divide fascisti e Arditi.
«... Ben lontani dal patriottardo pescicanismo, fieri del nostro orgoglio di razza, consci che la nostra Patria è ovunque siano popoli oppressi: Operai, Masse Lavoratrici, Arditi d'Italia, A NOI!»

Un gran numero di Arditi confluirono nel movimento fascista, anche se l'adesione non fu unanime né maggioritaria. Il rapporto con il fascismo non fu sempre lineare e negli anni successivi si arrivò, nella fasi più convulse e controverse, anche all'espulsione di iscritti al PNF dalle associazioni degli Arditi d'Italia.
Dopo la prima guerra mondiale gli Arditi affluirono nell'Associazione Arditi d'Italia, fondata dal capitano Mario Carli, lo stesso che, dopo l'assalto di un gruppo di Arditi assieme a Marinetti alla casa del Lavoro di Milano, scrisse il noto articolo "Arditi non gendarmi" e distrusse il connubio instaurato nel primo dopoguerra fra Arditi e fascismo.
Gli Arditi parteciparono attivamente all'impresa fiumana guidati da Gabriele d'Annunzio, che proclamarono loro comandante. Durante l'impresa di Fiume furono sperimentate dai Legionari forme di democrazia libertaria. Vista anche la presenza di frange della sinistra rivoluzionaria, la stessa impresa di Fiume fu appoggiata anche da Lenin, che vedeva in D'Annunzio un possibile capo rivoluzionario. In quella fase, d'altra parte, D'Annunzio avrebbe, secondo alcune fonti, tenuto in considerazione le indicazioni di Alceste De Ambris, sindacalista rivoluzionario.
Altre fonti, spesso in contrasto con quanto ancora sostenuto dalla storiografia prevalente, mettono in rilievo come, di fatto, lo Stato libero di Fiume sarebbe stato distrutto dall'Esercito italiano, coadiuvato da un nucleo di squadristi fascisti (episodio passato alla storia come Natale di Sangue).

Gli Arditi del Popolo nacquero nell'estate del 1921 dalla sezione romana degli Arditi d'Italia. 
Loro fondatore è considerato Argo Secondari, pluridecorato tenente delle fiamme nere (Arditi che provenivano dalla fanteria). Secondari era un simpatizzante anarchico, compagno dell'ardito Gino Lucetti, responsabile di un attentato contro Benito Mussolini (cui fu poi intitolato il battaglione Lucetti che agì durante la resistenza sui monti dell'alta Toscana).
La nascita degli Arditi del Popolo viene anche annunciata da Lenin sulla Pravda, l'Internazionale Comunista era favorevole a questa organizzazione come si legge sul resoconto nell'incontro fra Nikolai Bucharin e Ruggero Grieco, quest'ultimo rappresentava l'ala bordighista del partito comunista d'Italia, durante l'incrontro (frazione in quel momento maggioritaria e quindi vincolante per tutti i militanti per disciplina di partito), fu ripreso per tali posizioni con durezza, Bucharin, ricordò che il partito rivoluzionario di classe sta dove è la classe,in tutte le sue epressioni, e non a discuterne in salotto (vedi Eros Francescangeli). La posizione di Antonio Gramsci era ben diversa e partiva dai presupposti già in nuce di quando lui tentò tramite il tenente comunista Marco Giordano, della Legione di Fiume, di entrare in contatto con Gabriele D'annunzio, ovvero, sinteticamente, era una posizione di attenzione e possibile appoggio: i legami fra Repubblica di Fiume e potere Sovietico erano forti in quel periodo ed all'interno della Legione di Fiume vi era una consistente ala filosovietica (vedi: "alla festa della rivoluzione" di Claudia Salaris).
Altro personaggio di rilievo nelle formazioni antifasciste degli Arditi del Popolo nel Ravennate fu Alberto Acquacalda, massacrato da un gruppo di fascisti.
La consistenza di queste formazioni viene - secondo alcuni studi - fatta ammontare a circa 20.000 uomini. Altre stime fanno salire a 50.000 uomini la loro consistenza considerando insieme iscritti, simpatizzanti e partecipanti alle azioni. Tra gli Arditi del Popolo poi divenuti celebri si ricordano: Riccardo Lombardi (non iscritto ma partecipante alle azioni), Giuseppe Di Vittorio, Vincenzo Baldazzi (detto Cencio); numerosi Arditi caddero durante la guerra di Spagna militando nelle Brigate internazionali).

L'evento forse di maggior risonanza che coinvolse gli Arditi del Popolo fu la difesa di Parma dallo squadrismo fascista nel 1922: secondo alcune versioni, oltre 20.000 squadristi fascisti, prima al comando di Roberto Farinacci e poi di Italo Balbo, avrebbero attaccato e sarebbero stati respinti e messi in fuga da appena 350 Arditi del Popolo, comandati dai pluridecorati reduci della prima guerra mondiale Antonio Cieri e Guido Picelli, (che moriranno poi in Spagna). Fondamentale per la resistenza e la vittoria fu l'appoggio di massa dato dalla popolazione e il supporto di retrovia fornito soprattutto dalle donne parmensi (ne parlò lo stesso Balbo con malcelato elogio), che comunque in molti casi parteciparono anche ai combattimenti.
Anche a Roma gli Arditi del Popolo combatterono fino all'ultimo contro gli squadristi fascisti:«Gli Arditi del Popolo conducono un'impari lotta contro le milizie fasciste, ottenendo importanti vittorie e costituendo, persino dei giorni della Marcia su Roma, una trincea che i seguaci di Mussolini non riuscirono a superare neppure con l'aiuto dell'esercito e della polizia.»




Una certa continuità può essere ravvisata fra Arditi del Popolo e Resistenza anche se gli scopi erano ben diversi: gli Arditi, anche se in modo politicamente confuso, erano per la formazione di una Repubblica con basi progressiste estreme, almeno rispetto a quelle su cui poi si fonderà la Repubblica italiana. L'ira dei fascisti si scatenò soprattutto contro i capi degli Arditi del Popolo, che furono incarcerati o massacrati dagli squadristi, spesso con la connivenza degli organi di polizia dello Stato.
Secondo talune tesi della storiografia contemporanea, gli Arditi avrebbero potuto battere il fascismo se non fossero stati abbandonati dai partiti democratici e dal neonato partito comunista (ad eccezione di Antonio Gramsci, la cui fazione era però allora minoritaria), che contravvenne alle indicazioni dell'Internazionale comunista che aveva esplicitamente invitato ad appoggiare gli Arditi.
Alcune formazioni partigiane nella Resistenza assunsero il nome di Arditi del Popolo: tra le più note e sulle quali si hanno maggiori e più documentate notizie, quella nella quale fu attivo Antonello Trombadori, poi esponente del PCI.
Tom Bhean, storico del fascismo, fa un eplicito parallelo e richiamo storico fra la situazione di allora ed i movimenti attuali anti globalizzazione sostenendo la tesi dell'importanza della partecipazione a tali movimenti anche da parte dei militanti che ne criticano la mancanza di obbiettivi strutturati strategicamente, in quanto attualmente sono il solo metodo per la costruzione di un'alternativa allo sviluppo capitalistico come si sta prefigurando.

Anarchici e Arditi del Popolo

Gli anarchici decisero di appoggiare gli Arditi del popolo sia a livello teorico sia prendendovi parte attiva, pur mantenendo la propria specificità. Non si riscontrarono pretese di monopolizzare tale movimento, come invece, in alcuni casi, erano emerse tra i comunisti. Al contrario, fu la reciproca autonomia, pur nella lotta contingente comune, a rimanere un punto fermo.
Decisioni che un anno prima erano state prese al congresso di Bologna, nel luglio 1920, che affidavano ai suoi militanti all'interno degli organismi unitari delle precise indicazioni:«I gruppi anarchici, che sono rivoluzionari, devono fiancheggiare, facilitare, sussidiare con i propri mezzi l'opera degli specialisti gruppi d'azione, svolgere una propaganda che crei intorno a questi l'atmosfera più favorevole possibile, criticarne qualche errore eventuale in modo da non screditarne o ostacolarne l'attività in generale, svolgere la propria attività di partito, di critica e di polemica, in modo da evitare risentimenti, collere fra le varie fazioni operaie, ma orientarle tutte contro la borghesia e lo stato; essere a disposizione dei gruppi d'azione per aiutarli ogni volta che ve ne fosse necessità. A lotta iniziata, i gruppi anarchici parteciperanno all'azione perché questa azione si svolga quanto più rivoluzionariamente e liberamente è possibile, in modo da espropriare al più presto i capitalisti ed esautorare ogni governo vecchio o nuovo che sia.»


Manifesto che ricorda il ruolo avuto dagli anarchici, a partire dal sostegno agli Arditi del Popolo, prima, durante e dopo la resistenza antifascista

Secondo gli anarchici, le condizioni materiali e morali dell'esistente vanno rovesciate tramite l'azione rivoluzionaria delle minoranze coscienti; compito degli anarchici è prendere parte a questa azione e in un secondo momento, cercare di impedire che si ricostituiscano forme di autorità e nuovi governi, per lasciare corso alla libera evoluzione della società, senza imposizioni di volontà particolari.
Malatesta scrive:«Se è ammesso il principio che l'anarchia non si fa per forza, senza la volontà cosciente delle masse, la rivoluzione non può essere fatta per attuare direttamente ed immediatamente l'anarchia, ma piuttosto per creare le condizioni che rendano possibile una rapida evoluzione verso l'anarchia.»
Dato che la rivoluzione non può essere immediatamente anarchica, perché le grandi masse non sono state ancora conquistate a questi ideali, il compito degli anarchici sarà dunque: «Cercare quello che di meglio si potrebbe fare in favore della causa anarchica in un rivolgimento sociale quale può avvenire nella realtà presente.»
Con gli arditi del popolo gli anarchici avrebbero potuto iniziare il cammino che, partendo dalla sconfitta del fascismo, sarebbe poi potuto andare oltre, intraprendendo la strada della rivoluzione sociale.
Il partito comunista, al contrario, sicuro dei suoi scopi e sostenuto da una fiduciosa visione dell'evolversi della storia, non concepì la rivoluzione se non come comunista e come instaurazione della dittatura del proletariato. Boicottò quindi l'azione degli Arditi del Popolo, deciso a non scendere a compromessi con le forze non perfettamente allineate al suo pensiero e alle sue direttive. Per gli anarchici battersi contro il fascismo comporta inevitabilmente la lotta contro il primo responsabile delle sue violenze: il sistema politico ed economico capitalista.
Dopo l'allineamento di Gramsci e de «L'Ordine Nuovo» alle direttive del partito, il quotidiano anarchico «Umanità Nova» rimase l'unica voce proletaria a perorare la causa degli Arditi del Popolo, seguendo passo passo le vicende del nuovo movimento, pubblicando i loro manifesti ed appelli, dalla loro nascita fino alla morte dell'organizzazione antifascista nel 1922.
È da rimarcare la singolarità di Piombino e zona limitrofa: «Presto però i comunisti usciranno da queste formazioni operaie di difesa ed anzi una circolare dell'esecutivo del P.C. diffida tutti i militanti dall'entrare negli Arditi o anche solo di avere contatti con loro. Dopo questa defezione, gli Arditi del Popolo a Piombino saranno costituiti quasi esclusivamente da elementi anarchici e anarco-sindacalisti e saranno loro a sostenere le lotte dure e spesso sanguinose che impediranno fino alla metà del '22 ai fascisti di entrare a Piombino.» 

Gli Arditi del Popolo nel cinema e nella letteratura
A parte la letteratura specifica di indirizzo storico sull'argomento, che ormai è rilevante dopo anni di disinteresse o quasi,anche il mondo dell'espressione artistica, benché in modo piuttosto episodico, si occupò degli Arditi del Popolo; tra le opere più note ispirate alle loro gesta va ricordato Maciste, il valoroso fabbro antifascista di Cronache di poveri amanti, film tratto dal libro di Vasco Pratolini; Maciste è un ex Ardito del Popolo che viene assassinato dagli squadristi, interpretato da un magistrale Adolfo_Consolini, tenuto conto che non era attore professionista,ed affiacato dall'amico, comunista irriducibile, (dopo un tentennamento ma riportato all'"ordine" da Maciste), interpretato da Marcello Mastroianni, in una parte da "duro" perfettamente retta anche se al di fuori dei suoi ruoli classici. Anche Alberto_Bevilacqua parla degli Arditi del Popolo, anche se non è centrale per la trama il discorso, nel suo libro "il viaggio misterioso". 
Più recentemente, Pino Cacucci ha dedicato il suo Oltretorrente alle vicende degli Arditi del Popolo nella Parma degli anni venti, e delle loro lotte contro le agressioni fasciste nei mesi precedenti la marcia di Roma dell'ottobre 1922. Gli Arditi del Popolo, come pure Gino Lucetti, hanno ispirato anche alcune canzoni popolari e partigiane come il quella del "Battaglione_Lucetti" ricordata da Maurizio_Maggiani nel "coraggio del pettirosso".

Storia degli Arditi in sintesi

Stralcio articolo di Antonio Gramsci relativo agli Arditi del Popolo (L'Ordine Nuovo del 1921)

Nato nel 1921, da una scissione della sezione romana degli Arditi d'Italia e per iniziativa di un gruppo di iscritti guidati dell'anarchico Argo Secondari, si sviluppò rapidamente in un'ottica marcatamente antifascista ed antiborghese, e caratterizzandosi per un decentramento autonomo delle organizzazioni locali.
Gli Arditi crearono vere e proprie milizie per la protezione dei quartieri e dei centri oggetto di attacchi armati da parte dalle squadracce fasciste, assumendo connotazioni politiche talvolta differenti da un posto all'altro, ma sempre accomunati dalla coscienza della necessità di organizzare la resistenza popolare contro la violenza delle camicie nere.
Gli anarchici aderirono entusiasticamente alle formazioni degli Arditi e spesso ne furono i promotori individualmente o collettivamente, basti pensare che in maggioranza gli anarchici furono i difensori di Sarzana e di altre città. A Parma, per esempio, fra le famose barricate erette per resistere agli assalti delle squadracce di Balbo e Farinacci, ve n'era una tenuta dagli anarchici.
Completamente diverso fu l'atteggiamento sia dei socialisti sia dei comunisti (questi ultimi costituitisi in partito nel gennaio 1921). Nonostante la vasta e spontanea adesione di molti loro militanti agli Arditi del Popolo, entrambe le burocrazie partitiche presero le distanze e cercarono di sabotare lo sviluppo di quel movimento.
Gli organi centrali del neonato PCd'I (in particolar modo Amedeo Bordiga), nonostante le indicazioni contrarie di Lenin giunsero al punto di imporre ai propri iscritti di evitare qualsiasi contatto con gli Arditi, contro i quali fu imbastita anche una campagna di stampa a base di falsità e di calunnie. Non a caso, il comunista Umberto Terracini intervistato negli anni settanta dalla televisione cercava ancora di giustificare quella scellerata scelta politica.
Secondo il PCd'I e socialisti la difesa proletaria sarebbe dovuta realizzarsi esclusivamente all'interno di strutture controllate direttamente dal partito (evidentemente temevano di perdere l'egemonia e il controllo del proletariato), e gli Arditi del popolo, definiti spregiatamente "avventurieri", vennero quasi considerati alla stessa stregua di potenziali avversari.

Mentre Ivanoe Bonomi scatenanava poliziotti e carabinieri, servilmente obbedienti agli ordini delle autorità che ordinava loro di proteggere gli squadristi fascisti, occorre ricordare alcuni militari e funzionari che si rifiutarono di eseguire gli ordini repressivi contro gli Arditi del Popolo e le formazioni di difesa proletaria: Guido Jurgens, capitano dei carabinieri, difese Sarzana fianco a fianco degli Arditi del Popolo; Vincenzo Trani, alto funzionario di polizia, dalle sue indagini sui fatti di Sarzana (scontri tra fascisti e antifascisti) scagionò completamente gli Arditi del Popolo e gli antifascisti, sostenendo che si trattò di legittima difesa dagli attacchi squadristici di un manipolo di delinquenti; Federico Fusco, prefetto al tempo della leggendaria Difesa di Parma del 1922, guidata dagli Arditi del Popolo, sotto il comando di Guido Picelli ed Antonio Cieri, non condannò la reazione antifascista contro la prepotenza fascista.
È superfluo ricordare che tutti questi personaggi, avendo esposto pubblicamente il proprio astio nei confronti del fascismo, furono esautorati da ogni posto di comando degli "organi di repressione dello Stato", così come furono eliminati i (pochi) semplici poliziotti e carabinieri avversi al regime mussoliniano.
Da un articolo di Antonio Gramsci sugli Arditi del Popolo e si trovano dei riscontri in queste parole nell'attuale periodo: «Bisogna far comprendere, insistere per far comprendere al proletariato che oggi non si trova contro soltanto ad un'associazione corporativa, bensì si trova contro tutto l'apparato statale, con i suoi tribunali ed i suoi giornali che manipolano l'opinione pubblica secondo il buon piacere del governo e dei capitalisti [...]. E si sono salvati quei popoli che hanno avuto fede in se stessi e nei propri destini,ed hanno quindi affrontato la lotta audacemente...» (Tratto da «L'Ordine Nuovo» del 15 giugno 1921)


https://www.anarcopedia.org/index.php/Arditi_del_Popolo


sabato 23 novembre 2019

L'OMICIDIO CUCCHI E I CATTIVI PENSIERI DELLA MAGGIORANZA SILENZIOSA



Si, alla fine quello di Stefano era proprio un omicidio 
di Alessio Ramaccioni
CONTROPIANO:

Omicidio preterintenzionale. 
Dodici anni di carcere. Soltanto due in più del tempo che è servito affinchè un giudice abbia deciso che quello di Stefano Cucchi è stato un omicidio, e che i due autori materiali del pestaggio che causò la sua morte, i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, sono due assassini. 
Dieci anni lunghissimi, durante i quali è successo di tutto: depistaggi, falsificazioni, menzogne, offese (alla famiglia ed alla memoria di Stefano). 
E’ capitato addirittura che un ministro dell’Interno – Angelo Alfano – mentisse durante un intervento in Senato sulla base di una serie di atti falsi che erano arrivati a lui dopo un delirante percorso di mistificazione della realtà partito nella caserma dove avvenne materialmente il pestaggio e proseguito attraversando le gerarchie dell’Arma dei Carabinieri.
Un susseguirsi di falsità volte non solo a nascondere quello che era realmente avvenuto, ma anche a screditare quei pochi che provavano a dirla, la verità; come ad esempio il carabiniere Riccardo Casamassima, tra i primi a raccontare quello che era successo e per questo oggetto di accuse (quasi tutte inventate) ed allusioni.
Ce ne sono tante di storie così, all’interno della grande e tragica storia della morte di Stefano.
Una storia che ieri ha avuto una sua prima conclusione, finalmente vera.

La sentenza emessa ieri dalla Corte d’Assise di Roma ha fatto giustizia, anche se ha parzialmente alleggerito le pene che eraso state richieste dal pm Giovanni Musarò: aveva chiesto 18 anni per D’Alessandro e Di Bernardo, che sono stati invece condannati, appunto, a dodici anni di carcere. Condannato a due anni e sei mesi per falso il carabiniere Francesco Tedesco, uno dei testimoni chiave del processo (assistette al pestaggio da parte dei suoi due colleghi) e, sempre per falso, a tre anni e otto mesi Roberto Mandolini, al tempo comandante interinale della Stazione Appia (che è stato assolto invece dal reato di calunnia). 
Tedesco è stato assolto dalla condanna di omicidio.
Una assoluzione e quattro prescrizioni, invece, per i cinque medici imputati (inizialmente per abbandono d’incapace, poi per omicidio colposo): assolta Stefania Corbi, prescritti il primario del reparto di Medicina Protetta del Pertini (dove era stato portato Stefano) Aldo Fierro ed i medici Flaminia Bruno, Luigi de Marchis Preite, Silvia Di Carlo.
Ancora aperto invece il processo che riguarda i depistaggi sulla morte di Stefano, che ha comunque avuto il suo colpo di scena: in apertura di udienza uno dei giudici, Federico Bonagalvagno, si è dovuto astenere dal processo in quanto ex carabiniere in congedo.
La decisione è arrivata solo dopo una richiesta esplicita dei legali della famiglia Cucchi (il giudice aveva organizzato convegni invitando alti ufficiali dell’Arma, e dai report era venuta fuori la sua precedente carriera in quel corpo). 
E’ da sottolineare come a questo giudice non fosse nemmeno venuto in mente di astenersi spontaneamente dalla causa (come se non si fosse reso conto del clamoroso “conflitto di interessi”). E va altrettanto sottolineato che continuerà la sua carriera da magistrato giudicante: ossia ad emettere sentenze sulla base di rapporti delle “forze dell’ordine” (carabinieri e polizia giudiziaria), che presumibilmente avranno per lui un’attendibilità maggiore rispetto a qualsiasi altro “giudice terzo”.
Processo altrettanto importante, quello sui depistaggi: la macchina della disinformazione che fu allestita per coprire le azioni dei due carabinieri poi condannati è così ampia, articolata ed inesorabile da rappresentare una ferita enorme per una democrazia come dovrebbe essere la nostra. 
Lo Stato che, pur di difendere se stesso, mente a danno di chi dovrebbe massimamente tutelare: i cittadini. Un’altra storia nella storia, quella di Stefano, che quindi fu assassinato: picchiato, piegato, massacrato e lasciato morire.
E’ naturale che tornino alla mente le parole di Matteo Salvini, di Gianni Tonelli, di Carlo Giovanardi, di Ignazio La Russa e di tutti coloro scelsero – per ideologia, per convinzioni personali, per incapacità di avere pensieri diversi e più grandi di quelli che hanno – di difendere ciecamente i carabinieri soltanto perchè tali.
Parole spazzate via dalla verità processuale, che naturalmente ha tutti i gradi di giudizio previsti per poter essere confermata. Parole che però in qualche modo meritano di essere spazzate via, come tutte le cose brutte o alla fine irrilevanti della storia.




Per concludere, voglio pubblicare un post dell'amico Fulvio Venanzini, dedicato a coloro che hanno condiviso e commentato benevolmente sui social la bufala della lettera offensiva e diffamatoria di tal "carabiniere qualunque" contro Stefano Cucchi e sua sorella, lettera scritta da qualche troll che, paradossalmente, ridicolizza anche l'Arma, oltre a seminare odio, divisione e fare distrazione di massa tra la gente.
Fulvio Venanzini è un giovane attore comico-satirico, un bravo stand-up comedian del viterbese, arguto e senza peli sulla lingua, molto attento alla psicologia di massa in rete e, soprattutto, sui social.

LETTERA APERTA AI CONDIVISORI DI BUFALE DI "CARABINIERE QUALUNQUE":
"Cari connazionali, fatemi, fateci e fatevi un favore:
gettate una volta per tutte quell'orrenda maschera piccolo-borghese, e smettete di nascondervi dietro i vari "mi dispiace per Cucchi MA" e i "sì però anche la sorella e la famiglia SE" - che ricordano così tanto i classici "non sono razzista MA" e gli "ho tanti amici gay PERO'" -, smettete di inventarvi storie fantasiose da usare come alibi, di accusare famiglie distrutte di opportunismo, di cercare il "complotto" mediatico-politico e di parlare ironicamente di "eroi" e "martiri" davanti a cadaveri che neanche in 10 anni sono riusciti a ottenere il pieno status di mere "vittime", solo per sentirvi a posto con la coscienza e non compromettere la vostra immagine pubblica.
Lasciate stare tutto questo e dite ad alta voce ciò che realmemente pensate, abbracciate il vostro vero istinto e buttate fuori la vostra vera "natura" ammettendo chiaro e tondo:

"Di Cucchi non me ne frega un cazzo, hanno fatto bene."
Tanto è questo che vi si legge ogni volta fra le righe sgrammaticate, mentre tentate pateticamente di arrampicarvi sugli specchi, cercando di difendere l'indifendibile e sminuire l'orrore puro di ispirazione nazista.
Ci risparmierete così un ulteriore spettacolo indecoroso e, magari, ripetendo più e più volte a mo' di mantra quella confessione, dopo un po' inizierete a porvi delle domande, forse a riflettere e a capire che non ha alcun senso, che il vostro odio è solo frutto di un luogo comune e della propaganda, di pigrizia mentale, di noia e frustrazione.
E forse capirete infine che, per darsi una "libertà di pensiero" ci deve essere alla base un pensiero, altrimenti è solo aria puzzolente che vi esce dalla bocca e rimane impressa su un social, magari facendovi addirittura passare dei guai o perdere il lavoro, quell'unico lavoro di merda che avete. 
Tutto questo mentre il cartello della droga continua a fare soldi, le mafie locali a comandare, i politici sciacalli a salire nei sondaggi e i poveracci a crepare.

http://contropiano.org/news/politica-news/2019/11/15/si-alla-fine-quello-di-stefano-era-proprio-un-omicidio-0120798


lunedì 18 novembre 2019

CHRISTUS VERUS LUCIFER



L'antico motto "Christus verus Lucifer", significa "Cristo è il Vero-Lucifero (Portatore della Luce Vera)", mentre il detto "Lucifer verus Christus" ha un'accezione ribaltata e negativa, nata successivamente, e significa "Lucifero è il vero Cristo".

di Rudolf Steiner

E' noto che secondo la Bibbia, nel libro Genesi, gli uomini furono creati in un modo piuttosto singolare. Tra l'altro ci viene narrato che Lucifero si accostò ad Eva e le disse che se avesse fatto quello che Lucifero voleva, le si sarebbero aperti gli occhi. Quando in quel passo della Bibbia si parla del bene e del male, non si intende il bene o il male morale: questo appartiene a un tutt'altro strato dell'evoluzione della civiltà. Lì viene menzionato come bene e male qualcosa che si vede esteriormente, non in modo animico-spirituale, bensì con gli occhi fisici.
"I vostri occhi saranno aperti!"
Prima non erano aperti: la cosa va presa proprio alla lettera. 
Prima che Lucifero gli si accostasse, l'uomo guardava intorno a sé e vedeva le stelle fisse mediante la chiaroveggenza di cui era dotato: le vedeva come esse sono nella loro sostanza, nella sostanza degli Spiriti della saggezza, le vedeva cioè spiritualmente. 
L'uomo cominciò a scorgerle fisicamente (cioè una luce percepibile ai suoi occhi fisici cominciò a splendergli intorno) solo quando egli stesso fu soggiaciuto alla tentazione luciferica. 
Questo significa che le stelle fisse non sono percepibili fisicamente, non irradiano luce fisica fintanto che si trovano nella condizione in cui vengono dirette dagli Spiriti della saggezza. 
Una luce fisica può diffondersi solo sulla base di qualcosa che soggiaccia alla luce come un elemento portante, solo se la luce viene per così dire legata a un mezzo portante. 
Perché una stella fissa possa diventare visibile è necessario ancora qualcosa d'altro, oltre al fatto che gli Spiriti della saggezza operino in essa. E' necessario cioè che in quella stella fissa agiscano spiriti luciferici ribelli contro la mera sostanza della saggezza, spiriti che infondano il proprio principio nella mera sostanza della saggezza. Ecco dunque che all'interno della stella fissa ciò che è visibile solo spiritualmente si trova commisto all'elemento luciferico che (nella stella fissa stessa) insorge contro quella visibilità esclusivamente spirituale, qualcosa che porta la luce fino ad essere visibile fisicamente.
Quindi possiamo comprendere rettamente l'antico motto: "Christus verus Lucifer". 
Oggi queste parole non suonano più bene. Esse suonavano ancora bene quando si sapeva dagli antichi insegnamenti occulti che nella luce fisica esteriore si manifesta Lucifero, il portatore di luce: e si sapeva pure che, penetrando oltre la luce fisica fino agli Spiriti della saggezza, penetrando cioè fino alla luce spirituale, si perviene al portatore della luce spirituale: al Cristo, Christus verus Lucifer.
Il vero insegnamento del Cristo
"Il Cristo, che è il secondo aspetto di Dio stesso, non ha mai preso sembianze fisiche: Egli entra semplicemente nelle anime e negli spiriti che sono pronti a riceverlo e a fondersi in Lui. 
Gesù, come tutti gli altri grandi Maestri dell'umanità e i fondatori di religioni, dovette percorrere un lungo cammino prima che quello Spirito discendesse in lui. Se è stato chiamato "Gesù Cristo" non è perché egli "era il Cristo" ma perché "ha ricevuto il Cristo".
Maestro Omraam Mikhaël Aïvanhov


Il Baphomet, la realizzazione del Diavolo Ermetico:
di Riccardo Ammendola
Il processo inquisitorio contro i Templari verteva, tra le varie accuse, sull'adorazione di un idolo dalle parvenze demoniache chiamato Baphomet.
Va specificato che i Templari (almeno quelli di alto grado) erano a contatto con l'élite spirituale del loro tempo senza alcun pregiudizio legato a differenti correnti di pensiero e spirituali, avendo compreso che il Logos parla una gran quantità di lingue (interiori) e che eventuali differenze, se mai ce ne sono, sono legate unicamente alla varietà espressiva, non certo alla Sostanza.
Questo non poteva essere chiaro e nemmeno accettato dal ramo più intransigente e dogmatico della Chiesa legato ad un'interpretazione puramente letterale ben lontana da quella segreta, patrimonio di ogni Tradizione Spirituale degna di questo nome.
Così fu usato come eresia un simbolo tutt'altro che satanico, nella cui immagine viene sintetizzato il Corpus di quegli Insegnamento operativi che permettono la trasmutazione dell'uomo.
La parola Baphomet deriverebbe infatti dal greco "Bapto", battezzare, e "Metu" vino, sangue o fuoco. Ed il "Battesimo del Fuoco" è un dono che solo l'Arte Regale può dispensare, in quanto ci rende degni di ricevere la Grazia Divina nel nostro stesso Tempio Corpo.
Il vino del resto, viene spesso usato come metafora della via alchemica, in ebraico curiosamente, le parole "iain", «vino», e "sod", «mistero», posseggono lo stesso valore ghematrico (peso numerico delle lettere che lo compongono);

Fulcanelli non aveva alcun dubbio circa la natura alchemica di cui era rivestita la simbologia del Baphomet:
"...l'emblema compiuto delle tradizioni dell'Ordine Templare, usato come paradigma esoterico, sigillo della cavalleria e segno di riconoscimento; geroglifico completo della Scienza (Alchemica) rappresentato dal resto della personalità dell'antico Pan, immagine mitica della natura in piena attività".

Ecco cosa scrive l'occultista francese Eliphas Levi ne "Il Libro degli Splendori", circa questa emblematica figura:
Fu proibito agli Israeliti di dare alle concezioni divine figura d'uomo o d'animale, e perciò essi non osarono scolpire sull'Arca e nel santuario se non Cherubini, ossia sfingi con corpo di toro e testa d'uomo, d'aquila o di leone. Tale ibrido d'animali impossibili faceva comprendere che il segno non era un idolo o immagine di cosa vivente, ma carattere o rappresentazione di cosa pensata. 
Non si adora dunque Bafometto, si adora il Dio senza figura dinnanzi a questa forma informe, e a questa immagine senza rassomiglianza tra gli esseri creati. 
Il Bafometto dei templari non è un dio. È il segno dell'Iniziazione, la figura geroglifico del grande Tetragramma Divino, il guardiano della chiave del Tempio, la chiave stessa.

Eliphas Levi, offre anche un'altra interessante codifica cabalistica sul significato della parola Baphomet, secondo lui infatti:
"Il nome del Baphomet dei Templari, che dovrebbe essere pronunciato cabalisticamente al contrario, è composto di tre abbreviazioni: Tem. - OHP. - AB. cioè Templi Omnium Hominum Patti Abbas, "il Padre del Tempio della pace di tutti gli uomini".

Non da meno Giuliano Kremmerz, ne "La Scienza dei Magi", scrive:
"Era per i Templari un simbolo della Magia pratica. Questo mostro rappresentava la grande pratica della Realizzazione e aveva, oltre ad una demoniaca testa di caprone bavoso, anche una verga a scaglie metalliche e delle mammelle tutt'altro che paradisiache e che dalla cintola in giù è come un satiro. La Sfinge egizia manca di verga ma ha le mammelle e certi artigli di belva che non piaccion neanche a vederli dipinti. Dunque verrebbe chiara la domanda: la magia trova il suo magistero nella zona altissima di purificazione o nella bassa dei sensi e della realtà plastica?"

Sono state fatte molte altre ipotesi sul caso Baphomet, a mio avviso tutte giuste se viste ognuna come un pezzettino dello stesso Mosaico. Se si convertono ad esempio le lettere del Baphomet in lettere ebraiche e si anagrammano, otteniamo la seguente locuzione ebraica "Tem-oph-ab" che significa, parola per parola, «doppio-uccello-generazione». Il "doppio uccello della generazione" alluderebbe agli organi sessuali, al Lingam-fallo ed alla Yoni-vagina secondo la simbologia della Tradizione Indù, facendo del Baphomet un simbolo di Androginia Spirituale.
Secondo un docente di tradizione e magia sufi, Arkon Daraul, Baphomet deriverebbe invece dalla parola araba Abufihamat, che significa "Il Padre della Comprensione". 
Interpretazione non tanto azzardata se si pensa che il Baphomet porta accesa, sulla propria testa, una fiaccola, trattasi del fuoco dell'Ariete analogo al Padre della Triade cristiana (Padre - Figlio e Spirito Santo).
Il Dr. Hugh Schonfield, il cui lavoro sui Rotoli del Mar Morto è ben noto, solleva uno dei veli misterici più importanti su questa affascinante figura. Schonfield, decise di applicare alla parola Baphomet il codice ebraico chiamato cifrario Atbash, che veniva utilizzato nella traduzione di alcuni dei Rotoli del Mar Morto.
Il codice Atbash consiste nel ripiegare in due l'alfabeto ebraico di ventidue lettere in modo che la prima venga sostituita dalla ventiduesima, la seconda dalla ventunesima e così via fino all'undicesima. Poggiando questo cifrario sulla base inferiore, le prime due corrispondenze sono Aleph-Taw e Beth-Shin, e queste quattro lettere, lette di seguito, danno il nome al cifrario, A-T-B-Sh. Secondo questo codice il nome Baphomet andrebbe scomposto nelle sue cinque lettere del corrispondente termine ebraico, a cui vanno applicate in sostituzione le corrispondenze nel cifrario Atbash.Il Dr. Schonfield poté osservare che traslitterando la parola Baphomet con l'Atbash si ottieneva la parola greca "Sophia", termine esoterico che indica la "Sapienza" e la cui simbologia gnostica ne fa il simbolo della nostra "Anima".

beth peh wav mem taw
B Ph O M T

shin wav pe yod aleph
S O Ph I A


Ora è bene fare attenzione a quanto esporrò, il Fulcanelli ci dice che ci troviamo davanti al "geroglifico completo della Scienza", ma non al "Risultato Finale". Il Levi dal canto suo parla del "segno dell'Iniziazione", e non dell'Iniziazione. Ed il Kremmerz afferma che il Baphomet rappresenta "la grande pratica della Realizzazione", NON la Realizzazione! Tutto questo è perfettamente corretto ed adesso spiego perché: ci troviamo davanti ad una capra, e la parola sanscrita che traduce quella italiana "capra", cioè "aja", significa anche "non ancora nato". 
Il Baphomet infatti "non simboleggia il nato" quanto il "come far nascere", si tratta del processo per realizzare la Grande Opera ma non è la "Grande Opera".
Chi compie il processo di trasmutazione diviene pertanto come il Baphomet, un Diavolo Ermetico, con pieno potere sulla Materia, Dissolvendola e Coagulandola a suo piacimento. Le Corna del Baphomet hanno lo stesso identico significato delle Ali sulla testa di Mercurio, poiché gli emisferi cerebrali hanno elevato in alto la propria percezione su "ottave vibratorie superiori".
Possiamo attribuire al Diavolo Ermetico il titolo di Satana, ma attenzione a gridare allo scandalo perché "Shatan" significa semplicemente "Avversario", anche il Krystos è uno Shatan di shatan, cioè "Avversario dell'avversario". 
L'errore dei profani più comune è quello di etichettare come negativi, tutti i nomi che la Chiesa Cattolica ha legato "all'impero del male" per fuorviare gli sciocchi e i superstiziosi.
Il candidato che ricerca l'Iniziazione deve porsi anch'egli come uno Shatan nei confronti del mondo, e prima ancora del proprio mentale e di tutte le idee precostituite, ed in generale, in uno Shatan di chi pietrifica la "Forza di Vita" in una setta, una istituzione, in una religione esteriore o in un partito politico, rendendo morto ciò che è Vivo.

Interessante notare che UOMO-DIAVOLO in inglese si dice DEVILMAN, anagrammandolo viene fuori VEDI L'AMN, e l'AMeN è il Verbo Primordiale!
La Stella a Cinque punte sulla fronte del "nostro" non lascia adito a dubbi, i quattro elementi della mater-materia del candidato si sono finalmente spiritualizzati, trasmutandosi nella Quintessenza, quindi nel Quinto Elemento-Luce, imprimendo in lui l'Iniziazione che è la Realizzazione dello Stato d'Origine!
Potrei scrivere pagine intere sui simboli che compongono il Geroglifico della Scienza Sacra, ma a che servirebbe? A far accumulare nelle menti già troppo ingombranti dei lettori altre conoscenze morte? Ad ognuno scoprire da sé il significato di ogni simbolo, giacché quando si penetra il vivo significato di un simbolo, il suo Archetipo comincia a lavorare in noi affinché le tenebre del dubbio siano convertite nella Luce che istruisce...
Ecco che pure noi siamo ritornati al Principio dopo aver ricevuto il Battesimo del Fuoco Ermetico: il nostro V.I.T.R.I.O.L. personale ha compiuto il miracolo della Cosa Unica. 
Tutto questo era il Baphomet dei Templari a cui loro giustamente rendevano sacro onore. 
Come potevano capirlo degli ottusi inquisitori?

Fonte:

http://www.fratellanzabiancauniversale.it/www/sottopagina.php?Id=54