martedì 25 giugno 2019

I DUE SAN GIOVANNI SOLSTIZIALI di RENE' GUENON


Per quanto l'estate sia in genere considerata una stagione gioio­sa e l'inverno una stagione triste, per il fatto stesso che la prima rappresenta in certo modo il trionfo della luce e il secondo quello dell'oscurità, i due solstizi corrispondenti hanno nondi­meno, in realtà, un carattere esattamente opposto; può sembrare un paradosso abbastanza strano, ma è facile capire perché sia così purché si abbia una qualche conoscenza dei dati tradizionali riguardo al cammino del ciclo annuale. Infatti, ciò che ha rag­giunto il suo massimo può ormai solo decrescere, e ciò che è giun­to al suo minimo può invece solo cominciare a crescere (Quest'idea si trova in particolare ripresa varie volte, sotto forme diverse, nel Tao‑te‑King; essa è riferita più specificamente, nella tradizione estremo‑orientale, alle alternanze dello yin e dello yang); per questo il solstizio d'estate segna l'inizio della metà discendente dell'anno, mentre il solstizio d'inverno, all'opposto, segna quello della sua metà ascendente; e ciò spiega pure, dal punto di vista del significato cosmico, l'espressione di san Giovanni Battista, la cui nascita coincide con il solstizio d'estate: «Bisogna che egli cresca (Cristo nato al solstizio d'inverno) e che io diminuisca» [Giovanni, III, 30]. 
È noto che, nella tradizione indù, la fase ascendente è messa in rapporto con il deva‑yana, e la fase discendente con il pitri‑yana, di conseguenza, nello Zodiaco, il segno del Cancro, corrispon­dente al solstizio d'estate, è la «porta degli uomini», che dà accesso al pitri‑yana, e il segno del Capricorno, corrispondente al solstizio d'inverno, è la «porta degli dèi», che dà accesso al deva‑yana. 
In realtà, la metà ascendente del ciclo annuale è il periodo «allegro», cioè benefico o favorevole, e la sua metà discendente il periodo «triste», cioè malefico o sfavorevole; e lo stesso carattere appartiene naturalmente alla porta solstiziale che apre ciascuno dei due periodi nei quali l'anno risulta diviso dal senso del cammino del sole.
È noto d'altra parte che, nel cristianesimo, sono le feste dei due san Giovanni a essere in rapporto diretto con i due solstizi (Esse si situano in realtà un po’ dopo la data precisa dei due solstizi, il che ne fa apparire ancor più chiaramente il carattere, poiché la discesa e la salita sono allora già cominciate effettivamente; a ciò corrisponde, nel simbolismo vedico, il fatto che le porte del pitri‑loka e del deva‑loka vengono situate rispettivamente, non esattamente a sud e a nord, ma verso sud‑ovest e verso nord‑est); ed è abbastanza notevole, anche se non l'abbiamo visto segnalato da nessuna parte, che quel che abbiamo appena ricordato sia in certo modo espresso dal doppio senso racchiuso nel nome stesso di Giovanni (Vogliamo parlare qui del significato etimologico di questo nome in ebraico; in quanto all'accostamento fra Giovanni e Giano, è chiaro che si tratta di un'assi­milazione fonetica priva di qualsiasi rapporto con l'etimologia, ma non per questo tuttavia meno importante dal punto di vista simbolico, poiché, di fatto, le feste dei due san Giovanni hanno realmente preso il posto di quelle di Giano ai due solstizi d'estate e d'inverno). 
Infatti, la parola “hanan”, in ebraico, ha sia il senso di «benevolenza» e di «misericordia» sia quello di «lo­de» (ed è almeno strano constatare che, in francese, parole come “grace” e “merci” hanno anch'esse lo stesso doppio significato); di conseguenza, il nome “Jahanan” può significare «misericordia di Dio» e anche «lode a Dio». Ora, è facile rendersi conto che il primo senso pare convenire in modo del tutto particolare a san Giovanni Battista e il secondo a san Giovanni Evangelista; si può dire del resto che la misericordia è evidentemente «discen­dente» e la lode «ascendente», il che ci riconduce ancora al loro rapporto con le due metà del ciclo annuale (Ricorderemo ancora, collegandola più specificamente alle idee di «tristezza» e di «allegria» che indicavamo sopra, la figura «folklorica» ben nota, ma certo in genere poco compresa, di «Giovanni che piange e Giovanni che ride», la quale è in fondo una rappresentazione equivalente a quella dei due volti di Gia­no; «Giovanni che piange» è quello che implora la misericordia di Dio, cioè san Giovanni Battista, e «Giovanni che ride» è quello che gli rivolge delle lodi, cioè san Giovanni Evangelista).


In relazione ai due san Giovanni e al loro simbolismo solstizia­le, è anche interessante considerare un simbolo che sembra essere proprio della massoneria anglosassone, o almeno che si è conser­vato solo in essa: è un cerchio con un punto al centro compreso fra due tangenti parallele; e si dice che queste tangenti rappre­sentino i due san Giovanni. 
Il cerchio è qui infatti la figura del ciclo annuale, e il suo significato solare è reso del resto più evidente dalla presenza del punto centrale, poiché la medesima figura è nello stesso tempo anche il segno astrologico del sole; le due rette parallele sono le tangenti a questo cerchio nei due punti solstiziali, e segnano così il loro carattere di «punti‑limite», poi­ché tali punti sono infatti i limiti che il sole non può mai supe­rare nel corso del suo cammino; proprio per il fatto che queste linee corrispondono in tal modo ai due solstizi si può dire anche che esse rappresentano i due san Giovanni. Vi è comunque in questa raffigurazione un'anomalia almeno apparente: il diame­tro solstiziale del ciclo annuale dev'essere considerato, come ab­biamo spiegato in altre occasioni, relativamente verticale in rap­porto al diametro equinoziale, e del resto solo in questa maniera le due metà del ciclo, che vanno da un solstizio all'altro, possono realmente apparire rispettivamente quella ascendente e quella discendente, essendo allora i punti solstiziali il punto più alto e il punto più basso del cerchio; in tali condizioni, le tangenti alle estremità del diametro solstiziale, essendo a questo perpendico­lari, saranno necessariamente orizzontali. 
Ora, nel simbolo che abbiamo preso in considerazione, le due tangenti sono invece verticali; in questo caso particolare è stata apportata una certa modificazione al simbolismo generale del ciclo annuale, che si può peraltro spiegare abbastanza facilmente, poiché è ovvio che è stata dettata da un'assimilazione stabilitasi fra queste due linee parallele e le due colonne; queste ultime, che naturalmente pos­sono essere solo verticali, hanno del resto, per la loro rispettiva posizione a nord e a sud, e almeno da un certo punto di vista, un effettivo rapporto con il simbolismo solstiziale.
Quest'aspetto del simbolismo delle due colonne si vede chiara­mente soprattutto nel caso delle «colonne d'Ercole» (Nella rappresentazione geografica che colloca queste due colonne da una parte e dall'altra dell'attuale stretto di Gibilterra, è evidente che quella situata in Europa è la colonna del nord, mentre quella situata in Africa è la colonna del sud); il carattere di «eroe solare” di Ercole e la corrispondenza zodiacale delle sue dodici fatiche sono troppo noti perché occorra insistervi; ed è ovvio che proprio questo carattere solare giustifica il significato solstiziale delle due colonne cui è legato il suo nome. 
Stando così le cose, il motto “non plus ultra” riferito a queste colonne pare avere un duplice significato: indica non solo, secondo l'inter­pretazione comune che si riferisce al punto di vista terrestre ed è valida d'altronde nel suo ordine, che esse segnano i limiti del mondo «conosciuto», cioè in realtà i limiti che, per ragioni che potrebbe essere interessante indagare, non era permesso ai viag­giatori superare; ma indica nello stesso tempo, e forse bisogne­rebbe dire prima di tutto, che, dal punto di vista celeste, esse sono i limiti che il sole non può varcare ed entro i quali, come fra le due tangenti di prima, si compie internamente il suo cammino annuale (Su antiche monete spagnole, si vede una raffigurazione delle colonne d'Ercole, legate da una specie di banderuola sulla quale è scritto il motto “non plus ultra”; ora, fatto che sembra abbastanza poco noto e che segnaliamo qui a titolo di cu­riosità, da questa raffigurazione è derivato il contrassegno usuale del dollaro ame­ricano; ma in tale immagine tutta l'importanza è stata data alla banderuola, che in origine era solo un accessorio ed è stata mutata nella lettera S, di cui aveva pres­sappoco la forma, mentre le due colonne, che costituivano l'elemento essenziale, si trovavano ridotte a due trattini paralleli, verticali come le due tangenti al cer­chio nel simbolismo massonico appena spiegato; e la cosa non è priva di una certa ironia, visto che proprio la «scoperta» dell'America ha annullato di fatto l'antica applicazione geografica del “non plus ultra”)
Queste ultime considerazioni possono sem­brare abbastanza lontane dal nostro punto di partenza, ma a dire il vero non è così, poiché esse contribuiscono alla spiegazione di un simbolo espressamente riferito ai due san Giovanni; e del resto si può dire che, nella forma cristiana della tradizione, tutto quel che concerne il simbolismo solstiziale è per questo stesso fatto più o meno direttamente in rapporto anche con i due san Giovanni.
http://www.fuocosacro.com/pagine/reneguenon/A%20Proposito%20dei%20due%20S.Giovanni.htm


giovedì 20 giugno 2019

CLIMAX E LE PORTE DELL'INFERNO




Climax è il nuovo film del regista franco-argentino Gaspar Noè.
Opera originale e disturbante, Climax è la metafora della nostra società che si presenta modernista, giusta ed arcobaleno, danzereccia ed apparentemente libera sessualmente, ma che si scopre, via via, sempre più tribale, feroce ed autodistruttiva.
Climax è una visione nichilista, ma ponderata, dell'impossibilità di rinunciare alla nostra natura maligna e animale che, nonostante le sovrastrutture accettate come dogma, riemerge violentemente quando si confronta con la paura della morte, con i nostri demoni interiori ed il nostro profondo più recondito.
E' al tempo stesso un'estetica della morte vista come unica via di fuga, un po' sulla scia del nuovo paradigma esistenzialista luciferino e, talvolta, pure arimanico, del cinema d'avanguardia europeo degli ultimi anni, ma anche una visione critica dello stesso mondo magico che ha partorito questo bravo ed eccentrico regista.
Nella stessa direzione della nouvelle vague del cinema danese alla Refn, anche se con un'estetica molto personale e nuova, per certi versi mutuando anche il linguaggio di Von Trier, Noè rappresenta un'ade che ci ricorda la nostra realtà da incubo, attraverso lo stereotipo del Grande Fratello, declinato questa volta in chiave "scuola di danza".


L'esterno non è mai rappresentato, se non per pochi attimi, mostrando una vallata nei pressi di una foresta seppelita dalla neve, mentre tutta la pellicola ci mostra l'interno di questa scuola fatiscente e labirintica, isolata da tutto e da tutti, dipinta con colori caldi e sensuali, come fosse una sorta di caverna, di lager alternativo o di una biennale dell'orrore. 
Noè, con le dovute differenze, cita quella scuola di danza che Argento metteva in scena in Suspiria, film culto dello stesso regista, e che Guadagnino ha ripreso proprio in chiave magico-sessuale nel suo recente remake.
Il film inizia con una selezione di un casting, tramite interviste individuali ad ogni giovane ballerino in cerca di fama e gloria, mostrato attraverso un televisore vintage, circondato da una libreria di DVD cari al regista, ed una voce fuori campo che fa domande precise per conoscere ogni singola psicologia. Notiamo tra i film volutamente esposti quelli dell'espressionismo tedesco di Lang, di Murnau, appunto Suspiria, Zombi ed altri titoli che sono i riferimenti che il regista ha metabolizzato per questa sua nuova produzione.
Montaggio frenetico, soggettive e mezze-soggettive, sonoro spettacolare e molto realista (sembra di stare dentro un locale berlinese con diverse gamme di dinamiche tra ambienti diversi), forse in certi momenti alcune scene ed alcune inquadrature sono troppo prolisse, anche se la scelta stilistica generale ritengo sia azzeccata.
La prima parte mostra in maniera ossessiva e volutamente manieristica le performance di questo gruppo, che appare inizialmente molto affiatato ed unito, sembrano tutti grandi amici, felici di essere stati scelti dall'entità e di avere questa occasione per emergere, ma che si trasformerà nella seconda parte del film in una sorta di inferno senza via di uscita, un incubo senza risveglio, a causa della pozione magica di LSD, bevuta ad insaputa delle giovani promesse, in una sangria consumata a fiumi durante tutta la nottata dopo le prove coreografiche.
E' quello il momento di passaggio dalla società "felice" e scanzonata, alla vera natura distruttrice dell'uomo.
Dopo il rito orgiastico dei commensali a suon di Giorgio Moroder, Marss, Lil Louis e Daft Punk, ecco che viene evocato, loro malgrado, un malvagio demiurgo che si imposseserà delle loro anime, facendoli scontrare l'uno con l'altro, fino a decimarli quasi tutti sotto l'egida della bandiera francese, mostrata ironicamente come simbolo di unità/disgregazione. 
Una delle ballerine in dolce attesa "perderà" il suo bambino, un po' come succede in certe storie macabre che prevedono un sacrificio rituale, ma non sarà l'unica tragedia, da quel momento in avanti l'incubo avrà inizio.
Una metafora sul destino del nostro mondo, incapace di stabilire relazioni vere e non solo consumistiche, proiettato sul cieco individualismo, anche se mascherato dalle convenzioni di una sempre più pervasiva struttura, nel film sempre sottintesa e mai palesata, che domina lo spirito dei nostri tempi, ma anche una rappresentazione di come sia già morta questa nostra società del futuro, che per "natura" nasce divisa e prevaricatrice sul più debole e rivela violenti tribalismi mai realmente sopiti.




lunedì 10 giugno 2019

IL SUICIDIO DI NOA E LA PAURA DELLA MORTE


Noa Pothoven è una ragazza olandese di 17 anni di Arnhem, Paesi Bassi. Da bambina è stata vittima di ripetute violenze sessuali e nella sua breve vita ha sofferto di depressione, disturbo da stress post-traumatico e anoressia.
Domenica scorsa, è morta dopo aver smesso di alimentarsi e di bere, come aveva annunciato sui suoi profili social: «Voglio arrivare dritta al punto: entro un massimo di 10 giorni morirò. 
Dopo anni di continue lotte, sono svuotata. Ho smesso di mangiare e bere da un po' di tempo, e dopo molte discussioni e valutazioni, ho deciso di lasciarmi andare perché la mia sofferenza è insopportabile. Respiro, ma non vivo più», aveva scritto nell'ultimo post su Instagram, ora rimosso.

I media italiani ed internazionali, ai quali la maggioranza crede (tipico retaggio fideistico, purtroppo, duro a morire), dicevano fosse morta per eutanasia, perché in Olanda è una pratica legale, invece lei e la famiglia hanno scelto il gesto estremo, con una scelta forse discutibile, ma che non auguro a nessuno e non mi permetterei mai di giudicare, sostituendomi a loro.
Noa ha deciso questo "lutto anticipato, volontario" per porre fine a terribili sofferenze esistenziali.
Così, tanto per creare l'ennesima polarizzazione tra chi pretende che l'uomo viva per forza, anche tra mille sofferenze, e chi nel dubbio rispetta la sua scelta radicale, nell'ottica dei media ufficiali, i primi rappresenteranno la fazione pro-life, più tradizionalista, ed i secondi  saranno percepiti come quelli della fazione liberal, i modernisti che mettono i cosiddetti diritti civili davanti ad ogni cosa.
In realtà la vita e la società sono infinitamente più complesse e variegate di questo schema rigido e divisorio, in parte artificiale ed eterodiretto.
Personalmente, farei di tutto per impedire che una persona a me cara si suicidi, a costo anche della mia esistenza, e pretendo una società che faccia il possibile per mediare a qualsiasi problematica di carattere sanitario, ma sono ben consapevole che nessuno di noi, purtroppo o per fortuna, potrà mai sostituirsi, nel bene o nel male, al libero arbitrio di chiunque e, nonostante tutto ciò che saremmo in grado di operare, non sarà mai totalmente risolutivo.
Ogni persona è un mondo a se'.

Andando a creare questa polarizzazione indotta e sottesa tra le righe, in modo che possano artificialmente crearsi due fazioni, si evita di parlare in profondità rispetto a certe patologie, si evita di trattare seriamente l'argomento eutanasia e di quali possano essere i limiti o le possibilità di una decisione così radicale e dolorosa. Ovvero, fino a dove lo Stato può permettersi di tollerare il gesto estremo dei propri cittadini, essi appartengono allo Stato o a se stessi, o entrambe le cose?
Qual è il limite, se c'è un limite, è giusto ci sia un limite  o le "scelte" individuali vengono prima di tutto?
Tutti noi istintivamente siamo a favore della vita, soprattutto se si tratta di un minore, ma tutti coloro che sentenziano emotivamente e con sicumera, sono poi così sicuri che reggerebbero tali sofferenze?
Siamo tutti così certi che, facendo a cambio, non saremmo i primi a chiedere di morire, piuttosto che continuare un doloroso calvario esistenziale senza vie di uscita, senza potere trovare pace nelle cure mediche, psichiatriche, sociali?
Io non ho alcuna certezza, ho solo dubbi, anche se, istintivamente proverei a superare qualsiasi ostacolo, ma poi, giunti ad un livello di non ritorno, cosa farei, cosa non farei?
Non lo so, so che farei di tutto per aiutare il prossimo, ma senza sostituirmi in toto alla persona che si trovasse in simili condizioni, l'ultima scelta la deve fare lei, per quanto ciò ci possa ossessionare e terrorizzare, perché nessuno di noi è onnipotente.

Nel frattempo facciamo un exursus storico, senza darne un giudizio aprioristico e di merito, sui rapporti tra suicidio e società, per scoprire che in realtà, un tempo il suicidio era, non solo tollerato, ma faceva parte della cultura antropologica di quel dato popolo, di quella zona geografica, ed era lo specchio fedele di quella data società.
Nell'Egitto faraonico veniva "concesso" di suicidarsi al colpevole di alto rango che così sfuggiva ad una morte poco degna, la Regina Cleopatra si sottrae alla prigionia presso Ottaviano compiendo un suicidio rituale: facendosi mordere dall'aspide=ureo sacro, tramite divino, divinizza la sua persona ascendendo al Pantheon egiziano.
Agli schiavi non era concesso, perché erano utili al potere, piuttosto sarebbero dovuti morire di stenti.
Nella mitologia nordica Wotan accoglie nel Walhalla soltanto coloro che sono morti violentemente: i guerrieri ed i suicidi, lui stesso suicida: Signore degli Impiccati viene chiamato dalla tradizione dell ' Havannah (pare essersi ucciso in questo modo). Altra tradizione lo vuole suicida (con la sua spada).
Presso i Maya Ixtab, "La Signora della corda" - veniva rappresentata appesa ad un capestro-, era la dea dei suicidi e questi andavano in un paradiso proprio in quanto erano considerati sacri.
I Romani introdussero un contenuto emozionale al gesto suicida: uccidersi non è più male, non esiste alcun tabù relativo alla morte volontaria e questa diviene banco di prova del coraggio e della ''virtus" latina: lo seppuku giapponese nasce da una identica matrice ideologica.
La Bibbia nel Vecchio Testamento non da alcuna condanna del suicidio mentre condanna l'omicidio in Caino ed il sacrificio umano (seppur involontario). Jefte e ben quattro suicidi vengono riportati: Saul ed il suo scudiero, Sansone, Abimeloch e Achitofel.
Il Nuovo Testamento riporta il suicidio di Giuda Iscariota, ma l'ottica è ambigua o quanto meno si presta ad una interpretazione opposta a quella data dai commentatori posteriori: il Gesto di Giuda viene visto come una catarsi che si esplica nel gesto definitivo alla ricerca di un riscatto al vero gesto, omicida: il tradimento di Cristo; sarà soltanto dopo il IV secolo d.C. che la Chiesa condannerà il suicidio.
Abbiamo ancora tanto da imparare, sulla vita e sulla morte, sulle nostre paure e spesso le proiettiamo inconsapevolmente, ogni volta che ci troviamo davanti a storie terribili come questa, perché queste vicende ci rendono impotenti e vulnerabili. Questo ci terrorizza perché non abbiamo più il controllo di noi stessi e delle nostre emozioni, ci sentiamo improvvisamente soli davanti all'ignoto, in piccolo come accade per tutti coloro che si trovano e si sono trovati a decidere della propria vita, della propria morte.
A volte il silenzio è meglio di qualsiasi parola.


lunedì 3 giugno 2019

L'INNOCENT(E) SISTEMA DI MACERATA


Torno a parlare della tragedia di Pamela Mastropietro, perché è arrivata la sentenza di primo grado nel processo, ed Innocent Oseghale è stato condannato all'ergastolo e 18 mesi di isolamento.
Capisco la gioia dei genitori, parenti ed amici a cui va il massimo rispetto e cordoglio, capisco il desiderio di chiudere una terrificante vicenda ed il dolore infinito per la perdita di una figlia, che rappresenta la cosa più orribile possa capitare ad una famiglia, che giustamente non si accontenta della condanna, intuendo ci siano anche altri colpevoli, ma troppe cose non quadrano nella storia.
Prima però voglio nuovamente parlare di un fatto inquietante e parallelo, successo a Porto Recanati, distante poco più di una ventina di km da Macerata.
E' stata Angela Caponnetto, giornalista di Rai News 24, a raccogliere la testimonianza di una ragazza che ha raccontato del "Sistema Macerata". Un sistema fatto di "droga e prostituzione minorile per alimentare un giro di festini a luci rosse, nel quale sono coinvolti personaggi bene della città". 
I resti di ossa e corpi di giovani donne, trovati a Porto Recanati, sono legati tragicamente a quei festini a luci rosse a base di droghe?
Selvaggia (nome di fantasia) ha fatto queste rivelazioni poco dopo l'omicidio di Pamela Mastropietro. Ha raccontato come fu drogata dal suo ragazzo e portata in una villa nella frazione Sant'Egidio di Montecassiano, nei dintorni di Macerata, dove sostiene che ad aspettarla c'erano "personaggi facoltosi". Selvaggia nel suo racconto dice: "ho riconosciuto anche tre poliziotti, un avvocato, tanti dell' alta borghesia di Macerata. Davanti alla villa erano parcheggiate Bmw, Mercedes, Maserati". 
La ragazza allora era minorenne, racconta che i genitori fecero un esposto alla Procura della Repubblica, e che fu insabbiato perché sarebbe andato a toccare personaggi "della massoneria, della mafia"
La Procura archiviò tutto.


Ed ora torniamo al caso Pamela Mastropietro.
Già dalla cronoca dell'epoca si comprendono le vistose incongruenze di questa tragedia assurda.
A mio modesto avviso sono tanti gli elementi che non tornano, le dinamiche del delitto e della mutilazione, l'occultamento del sangue, l'aver lasciato le 2 valigie sul ciglio della strada, vicino all'entrata di una abitazione, l'utilizzo di quali strumenti per sezionare chirurgicamente il corpo?
Il medico legale, professor Mariano Cingolani, disse a riguardo: “I tagli sono precisi, alla schiena ad esempio all’altezza dei dischi, che sono più elastici. Un’opera molto raffinata: io faccio autopsie da 40 anni e lo avrei fatto in modo analogo». Il professore ha aggiunto che “in Italia non ci sono casi di disarticolazione prima di questo".
“Se per assurdo avesse dovuto fare quest’operazione un medico legale, in un laboratorio e con tutti gli strumenti del caso a sua disposizione, ci sarebbero volute almeno otto ore”.

Ecco, nonostante queste precise dichiarazioni di un medico legale, nessun inquirente ha mosso dubbi sulla possibile vera natura dell'omicidio, nessun giornalista, nessuno che si sia posto dubbi su come sia stato tecnicamente possibile compiere questo orrore con strumenti casalinghi, in un appartamento, da solo, senza competenze chirurgiche, usando la varechina per pulire le membra straziate dopo averle mutilate, senza alcuna logica ai fini dell'occultamento del cadavere, corpo che è poi stato fatto ritrovare in bella vista. Perché queste dinamiche assurde?
Forse perché il nigeriano ha avuto complici, magari è stato utilizzato come corriere e poi incastrato, oppure, nulla c'entra con questo surreale modus operandi, da un lato maniacale e scientifico, come e meglio di qualsiasi serial killer, e dall'altro demenziale, avendo fatto volutamente ritrovare il corpo senza alcuna ragione logica.

Ricapitoliamo: 
Il nigeriano avrebbe sezionato la vittima senza alcun problema tecnico, fregandosene dei litri di sangue che, immagino, avranno imbrattato tutto l'appartamento, mobili compresi, oltre al suo corpo ed i suoi vestiti. L'arma delitto sarebbe stato un coltellaccio da cucina? Dove sono finite le vere armi del delitto?
Dopo questa opera rituale improvvisata, ma perfetta dal punto di vista chirurgico, avrebbe lasciato i due trolley, uno blu ed uno rosso, sul ciglio della strada davanti ad una villetta fuori Macerata (si voleva fare beccare a tutti i costi?), e non in un bidone della spazzatura, nei meandri della boscaglia, dentro ad uno dei tanti cantieri abbandonati. NO!!! 
La sua maggiore premura sarebbe stata quella di cancellare le prove dello stupro, come se questo cambiasse qualcosa all'orrore inflitto a Pamela.
Sarebbe un po' come se un ladro, dopo una rapina compiuta in un bar, chiedesse lo scontrino per il caffe', per evitare la multa, non sia mai fosse scambiato per un volgare evasore. E' tutto molto dissonante.
Veramente possiamo credere ad una tale idiozia, sostenuta dalla corte mediatica dei miracoli, subito pronta a puntare il dito contro lo straniero, il cannibale con anni di esperienza criminale (si è scritto chissà quante altre Pamela avranno fatto la stessa fine, si sa come fanno LORO), che non può integrarsi con la nostra civiltà, la stessa civiltà ben narrata da Pasolini in Salo', la stessa civiltà che ha partorito ndrangheta, mafia, camorra, omicidi seriali e rituali, dove l'amputazione è prassi documentata e fa parte di certe precise modalità criminali nostrane e di certi reparti segreti di mercenari dei servizi, cosiddetti, deviati. 
La stessa civiltà che utilizza delitti mediatici per strategie politiche e propagande elettorali che pagano in termini di consenso, che plasma forme pensiero per dare in pasto all'opinione pubblica un colpevole certo. Nessun cittadino avrebbe obiettato, sicuro di poter additare la colpa di tali efferatezze proprio ad un criminale come Innocent, un delinquente straniero alieno alla nostra amata civiltà.
Non stiamo parlando di una volgare mattanza compiuta all'improvviso da un disperato, ma di un'opera sofisticata e "pulita", degna di un navigato professionista legale e di un collega di lunga pratica anatomopatologica.

Ad incastrare definitivamente INNOCENT (nomen omen), sarebbero state le confessioni che in carcere avrebbe fatto ad un noto ndranghetista pentito, che lo avrebbe poi definitivamente sputtanato in sede processuale. Quindi anche in questo caso, dopo aver compiuto un lavoro da certosino, sarebbe scivolato in un'ammissione di colpevolezza, fidandosi proprio di un collaboratore di giustizia compagno di sventure in carcere. Quale migliore persona per confessare i propri incubi, ben sapendo di essere spiato 24 ore al giorno e di essere sotto i riflettori mediatici pronti ad accanirsi come squali.
Il problema evidentemente non sono stati i tanti litri di sangue magicamente evaporati o che avranno sporcato tutto l'appartamento, prontamente imbiancato e ripulito perfettamente in poche ore meglio e più di un "Dexter" qualsiasi, il problema, secondo i giornali, SAREBBE stato quello di assicurarsi non trapelasse nessun contatto sessuale con la vittima.
Questo sembra quasi un depistaggio per non occuparsi delle reali dinamiche dell'omicidio.
Altro che due piccoli trolley, con tutto quello che ha utilizzato per ripulirsi, buttare i vestiti lordi di sangue, disinfettarsi e pulire casa (panni, stracci, ammoniaca, varechina, lenzuola, teloni, moci, secchi, vernice e armi del delitto), avrebbe dovuto usarne almeno 13 di trolley...
No, e non solo, dopo la crudele violenza si sarebbe tenuto curiosamente la giacca di Pamela come cimelio, sporco di sangue (curioso, perchè la giacca riposta e "nascosta" in un armadio di casa, doveva essere l'unico indumento rimasto intonso).
Avete presente come funziona un macello di bestiame?
Provate un attimo a realizzare la dinamica e capirete la difficoltà dell'operazione nell'occultare tutte le prove, senza considerare l'asportazione chirurgica di organi precisi che, come giustamente afferma il medico legale, richiede tempo, competenze, strumentazione, una sala operatoria attrezzata, complici e tutto il resto.
Senza considerare che l'asportazione del pube l'abbiamo già ritrovata diverse volte in tanti omicidi rituali, vedi il MDF.
E come per il MDF anche questo omicidio è stato fatto in una giornata di luna piena, ma questo è solo un particolare, un caso, ci mancherebbe.
Ecco, anche solo dopo tutti questi macabri particolari, molto pesanti ed inquietanti, uno dovrebbe porsi qualche domanda, qualche dubbio, perché, oltretutto, le tracce ematiche che sarebbero state ritrovate nella casa degli orrori, sono inferiori a quelle che si ottengono schiacciandosi un brufolo, se paragonate a tutto quello che si è descritto sia successo.
Non è possibile non sorgano dubbi sulle dinamiche di questo terribile omicidio. 
Pamela chiede giustizia, quella vera, e non il solito capro espiatorio che ben conosciamo.
Innocent meglio di un medico legale, meglio anche dell'HERA.
Io in carcere lo utilizzerei come uomo delle pulizie, sicuro non lascerebbe alcuna traccia in tutto l'istituto penitenziario.
Nome in codice MASTROLINDO...