mercoledì 18 ottobre 2017

SANKARA L'ULTIMO SOCIALISTA


Così parlo’ Thomas Sankara:
“Parlo in nome delle madri che i nostri Paesi impoveriti vedono i propri figli morire di malaria o diarrea, senza sapere che dei semplici mezzi che la scienza delle multinazionali non offre loro, preferendo investire nei laboratori cosmetici o nella chirurgia plastica a beneficio e capricco di pochi uomini e donne, il cui fascino è minacciato dagli eccessi di assunzione calorica, abbondanti e regolari da dare le vertigini a noi del Sahel”.
Thomas Sankara

“Dopo essere stati schiavi, ora siamo schiavi finanziari. Dobbiamo avere il coraggio di dire ai creditori: siete voi ad avere ancora debiti, tutto il sangue dell’Africa”.

” Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare. Non possiamo rimborsare il debito perché non siamo responsabili del debito”.

Non possiamo pagare il debito, perché gli altri ci devono cio’ che le più grandi ricchezze non potranno mai pagare: il debito del sangue”.

“Quelli che ci hanno prestato denaro, sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri stati e le nostre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali che erano i loro fratelli e cugini. Noi non c’entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo”. 
Thomas Sankara, parte del discorso pronunciato all’ONU

CAPITAN FUTURO
di Marinella Correggia (Il Manifesto)


Il 15 ottobre 1987 veniva assassinato Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso.
Ecologia, femminismo, fame e povertà zero, cultura, alter-mondialismo, il credito e non il debito dell’Africa.
A 25 anni dall’assassinio di Thomas Sankara, la rivoluzione del giovane presidente del Burkina Faso è ancora più che attuale
Sankara fu ucciso a soli 38 anni in un colpo di stato cruento. Interessi interni di risicati ceti privilegiati saldati a quelli di poteri regionali e internazionali ebbero la meglio su un’esperienza scomoda e potenzialmente contagiosa, ma al tempo stesso ancora solitaria, perciò debole.
Era il 15 ottobre 1987: venti anni e una settimana dopo l’assassinio del Che.

Sovranità alimentare nel Sahel
L’obiettivo era immenso e immane in quel contesto. La prova del nove fu superata: risultati materiali inauditi in poco tempo e quasi senza mezzi. Tutto all’insegna del motto di Sankara: «Contare sulle proprie forze». Coltivare e irrigare con poche risorse per garantire due pasti e dieci litri d’acqua al giorno a ognuno.
La sovranità alimentare: «Produrre e consumare burkinabè».
«Operazioni commando di alfabetizzazione» degli adulti.
I progetti «un villaggio un bosco, un villaggio un ambulatorio, un villaggio una scuola».
Le «tre lotte contro il deserto» per un commovente Burkina verde.
Il faso dan fani , abito di cotone locale lavorato artigianalmente.
La «battaglia per la ferrovia».
L’informazione partecipata con la «radio entrate e parlate».
I lavori comunitari anche per i funzionari (un tentativo di redistribuzione della fatica).
La cultura, inventare il Festival del cinema africano, le proiezioni nei villaggi, lo sport di massa per la salute…
Al centro di tutto, i contadini e le donne, anche contro i capi villaggio e gli sfruttatori della tradizione. Un Presidente femminista che un otto marzo dichiarò: «Se perdiamo la lotta per la liberazione della donna avremo perso il diritto di sperare in una trasformazione positiva.
Una società come la nostra deve lottare contro l’escissione e ridurre anche i lunghi tragitti che la donna percorre per andare a cercare l’acqua, la legna.
Non possiamo parlare di liberazione della donna senza parlare del mulino per macinare il grano, dell’orto, del potere economico» ( tratto da Thomas Sankara. I discorsi e le idee , edizioni Sankara).

Un presidente senza privilegi
Per investire tutto nei bisogni di base Sankara impose una spending review all’osso: «Non possiamo essere i dirigenti ricchi di un paese povero». Senza accettare imposizioni dal Fondo Monetario internazionale (che «va oltre il controllo di bilancio e persegue un controllo politico»), l’austerità fu autogestita: stipendi modestissimi a presidente e ministri, niente sprechi di rappresentanza, vendute le auto blu, aboliti gli eventi di lusso, rimpicciolita ogni spesa amministrativa.
Ma non riuscì a Thomas Sankara la lotta contro la corruzione, e contro gli abusi di potere nei Comitati rivoluzionari. L’impegno antimperialista fra i non allineati e a fianco delle esperienze rivoluzionarie.

La lotta contro il debito estero e per il disarmo.
Nel suo discorso di fronte ai capi di stato africani, alla Conferenza dell’allora Organizzazione per l’Unità Africana (Oua) ad Addis Abeba, 29 luglio 1987, Sankara ripeteva l’invito fatto al Movimento dei paesi non allineati tre anni prima a New Delhi: «Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare. Non possiamo rimborsare il debito perché non ne siamo responsabili.
Abbiamo il dovere di creare il Fronte unito contro il debito».
Ma al tempo stesso tutta l’Africa doveva farla finita con la corruzione, i privilegi e le spese per le armi. Le risorse liberate erano necessarie alla fuoriuscita dalla miseria e all’integrazione regionale (sul modello dell’attuale Alleanza bolivariana Alba in America Latina): «Facciamo sì che il mercato africano sia davvero il mercato degli africani. Produrre in Africa, trasformare in Africa e consumare in Africa.
È per noi il solo modo di vivere liberamente e degnamente».


-Noi pensiamo che il debito si analizzi prima di tutto dalla sua origine. Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato denaro sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri Stati e le nostre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali, che erano i loro fratelli e cugini. 
Noi non c’entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo. Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici – anzi, dovremmo invece dire “assassini tecnici”. Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei “finanziatori”. Un termine che si usa ogni giorno, come se ci fossero degli uomini che solo “sbadigliando” possono creare lo sviluppo degli altri. Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. 
Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per cinquant’anni, sessant’anni e più. 
Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per cinquant’anni e più.
Il debito nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a
 delle norme che ci sono completamente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso. 
Ci dicono di rimborsare il debito. Non è un problema morale. 
Rimborsare o non rimborsare non è un problema di onore. Abbiamo prima ascoltato e applaudito il primo ministro della Norvegia, intervenuta qui. Ha detto, lei che è un’europea, che il debito non può essere rimborsato tutto. 

Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché se noi non paghiamo, i nostri finanziatori non moriranno, siamone sicuri. Invece se paghiamo, saremo noi a morire, ne siamo ugualmente sicuri. Quelli che ci hanno condotti all’indebitamento hanno giocato come al casinò. Finché guadagnavano non c’era nessun problema; ora che perdono al gioco esigono il rimborso. E si parla di crisi. No, signor presidente. Hanno giocato, hanno perduto, è la regola del gioco. E la vita continua.
Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare. Non possiamo rimborsare il debito perché non siamo responsabili del debito. Non possiamo pagare il debito perché, al contrario, gli altri ci devono ciò che le più grandi ricchezze non potranno mai ripagare: il debito del sangue. E’ il nostro sangue che è stato versato. Si parla del Piano Marshall che ha rifatto l’Europa economica. Ma non si parla mai del Piano africano che ha permesso all’Europa di far fronte alle orde hitleriane quando la sua economia e la sua stabilità erano minacciate. 
Chi ha salvato l’Europa? E’ stata l’Africa. Se ne parla molto poco. Così poco che noi non possiamo essere complici di questo silenzio ingrato. Se gli altri non possono cantare le nostre lodi, noi abbiamo almeno il dovere di dire che i nostri padri furono coraggiosi e che i nostri combattenti hanno salvato l’Europa e alla fine hanno permesso al mondo di sbarazzarsi del nazismo.

Il debito è anche conseguenza degli scontri. Quando ci parlano di crisi economica, dimenticano di dirci che la crisi non è venuta all’improvviso. La crisi è sempre esistita e si aggraverà ogni volta che le masse popolari diventeranno più coscienti dei loro diritti di fronte allo sfruttatore. Oggi c’è crisi perché le masse rifiutano che le ricchezze siano concentrate nelle mani di pochi individui. C’è crisi perché pochi individui depositano nelle banche estere delle somme colossali che basterebbero a sviluppare l’Africa intera. C’è crisi perché di fronte a queste ricchezze individuali, che hanno nomi e cognomi, le masse popolari si rifiutano di vivere nei ghetti e nei bassifondi. C’è crisi perché i popoli rifiutano dappertutto di essere dentro una Soweto di fronte a Johannesburg. C’è quindi lotta, e l’esacerbazione di questa lotta preoccupa chi ha il potere finanziario.

Ci si chiede oggi di essere complici della ricerca di un equilibrio. Equilibrio a favore di chi ha il potere finanziario. Equilibrio a scapito delle nostre masse popolari. 
No! Non possiamo essere complici. Non possiamo accompagnare quelli che succhiano il sangue dei nostri popoli e vivono del sudore dei nostri popoli nelle loro azioni assassine. Signor presidente, sentiamo parlare di club – Club di Roma, Club di Parigi, Club di dappertutto. Sentiamo parlare del Gruppo dei Cinque, dei Sette, del Gruppo dei Dieci, forse del Gruppo dei Cento o che so io. E’ normale allora che anche noi creiamo il nostro club e il nostro gruppo. Facciamo in modo che a partire da oggi anche Addis Abeba diventi la sede, il centro da cui partirà il vento nuovo del Club di Addis Abeba. Abbiamo il dovere di creare oggi il fronte unito di Addis Abeba contro il debito. E’ solo così che potremo dire, oggi, che rifiutando di pagare non abbiamo intenzioni bellicose ma, al contrario, intenzioni fraterne.
Del resto, le masse popolari in Europa non sono contro le masse popolari in Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo un nemico comune. Quindi il club di Addis Abeba dovrà dire agli uni e agli altri che il debito non sarà pagato. Quando diciamo che il debito non sarà pagato non vuol dire che siamo contro la morale, la dignità, il rispetto della parola. Noi pensiamo di non avere la stessa morale degli altri. Tra il ricco e il povero non c’è la stessa morale. La Bibbia, il Corano, non possono servire nello stesso modo chi sfrutta il popolo e chi è sfruttato. C’è bisogno che ci siano due edizioni della Bibbia e due edizioni del Corano. Non possiamo accettare che ci parlino di dignità. Non possiamo accettare che ci parlino di merito per quelli che pagano, e perdita di fiducia per quelli che non dovessero pagare. Noi dobbiamo dire, al contrario, che oggi è normale si preferisca riconoscere come i più grandi ladri siano i più ricchi.

Un povero, quando ruba, non commette che un peccatucolo per sopravvivere e per necessità. 
I ricchi sono quelli che rubano al fisco, alle dogane. Sono quelli che sfruttano il popolo. Signor presidente, non è quindi provocazione o spettacolo. Dico solo ciò che ognuno di noi pensa e vorrebbe. Chi non vorrebbe, qui, che il debito fosse semplicemente cancellato? Quelli che non lo vogliono possono subito uscire, prendere il loro aereo e andare dritti alla Banca Mondiale a pagare! 
Non vorrei poi che si prendesse la proposta del Burkina Faso come fatta da “giovani”, senza maturità ed esperienza. Non vorrei neanche che si pensasse che solo i rivoluzionari parlano in questo modo. Vorrei semplicemente che si ammettesse che è una cosa oggettiva, un fatto dovuto. 
E posso citare, tra quelli che dicono di non pagare il debito, dei rivoluzionari e non, dei giovani e degli anziani. Per esempio Fidel Castro ha già detto di non pagare. Non ha la mia età, anche se è un rivoluzionario. Ma posso citare anche François Mitterrand, che ha detto che i paesi africani non possono pagare, i paesi poveri non possono pagare. Posso citare la signora primo ministro di Norvegia. Non conosco la sua età e mi dispiacerebbe chiederglielo, è solo un esempio.

Vorrei anche citare il presidente Félix Houphouët Boigny. Non ha la mia età, eppure ha dichiarato pubblicamente che, quanto al suo paese, la Costa d’Avorio, non può pagare. Ma la Costa d’Avorio è tra i paesi che stanno meglio in Africa, almeno nell’Africa francofona. E per questo, d’altronde, è normale che paghi un contributo maggiore, qui. Signor presidente, la mia non è quindi una provocazione. Vorrei che molto saggiamente lei ci offrisse delle soluzioni. Vorrei che la nostra conferenza adottasse la risoluzione di dire chiaramente che noi non possiamo pagare il debito. Non in uno spirito bellicoso, bellico. Questo per evitare di farci assassinare individualmente. Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il debito, io non sarò qui alla prossima conferenza! Invece, col sostegno di tutti, di cui ho molto bisogno, col sostegno di tutti potremo evitare di pagare. Ed evitando di pagare potremo consacrare le nostre magre risorse al nostro sviluppo.

E vorrei terminare dicendo che ogni volta che un paese africano compra un’arma, è contro un africano. Non contro un europeo, non contro un asiatico. E’ contro un africano. Perciò dobbiamo, anche sulla scia della risoluzione sul problema del debito, trovare una soluzione al problema delle armi. Sono militare e porto un’arma. Ma, signor presidente, vorrei che ci disarmassimo. Perché io porto l’unica arma che possiedo. Altri hanno nascosto le armi che pure portano. Allora, cari fratelli, col sostegno di tutti, potremo fare la pace a casa nostra. Potremo anche usare le sue immense potenzialità per sviluppare l’Africa, perché il nostro suolo e il nostro sottosuolo sono ricchi. Abbiamo  abbastanza braccia e un mercato immenso, da Nord a Sud, da Est a Ovest. 
Abbiamo abbastanza capacità intellettuali per creare, o almeno prendere la tecnologia e la scienza in ogni luogo dove si trovano.

Signor presidente, facciamo in modo di realizzare questo fronte unito di Addis Abeba contro il debito. Facciamo in modo che, a partire da Addis Abeba, decidiamo di limitare la corsa agli armamenti tra paesi deboli e poveri. I manganelli e i machete che compriamo sono inutili. Facciamo in modo che il mercato africano sia il mercato degli africani. Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa. Produciamo quello di cui abbiamo bisogno e consumiamo quello che produciamo, invece di importarlo. Il Burkina Faso è venuto a mostrare qui la cotonella, prodotta in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso, cucita in Burkina Faso per vestire i burkinabé. La mia delegazione e io stesso siamo vestiti dai nostri tessitori, dai nostri contadini. Non c’è un solo filo che venga d’Europa o d’America. Non faccio una sfilata di moda, ma vorrei semplicemente dire che dobbiamo accettare di vivere africano. E’ il solo modo di vivere liberi e degni.

(Thomas Sankara, estratto dal “discorso sul debito” pronunciato al vertice panafricano di Addis Abeba, Etiopia, il 29 luglio 1987. Un anno dopo, il 28 ottobre, Sankara verrà assassinato a Ouagadougu, capitale del Burkina Faso, che quattro anni prima aveva liberato, con la sua rivoluzione, dal colonialismo francese. Il presidente dell’Organizzazione per l’Unità Africana, cui Sankara si rivolge nel discorso, è il congolese Denis Sassou-Nguesso, mentre la citata premier norvegese è Gro Harlem Brundtland, progressista e ambientalista. Riletto oggi, il celebre discorso di Sankara – martire socialista della sovranità democratica dell’Africa – è particolarmente illuminante, di fronte alla tragedia quotidiana dell’esodo dei migranti africani).

1987-2012
Un viaggio in Renault 5
Dalle parole ai fatti e alla macroeconomia
Eugenio Lorenzano


Uomo e politico di grandi parole e fatti concreti, Thomas Sankara è stato forse il leader africano più carismatico del XX secolo. Stupisce l’efficacia politica e la concretezza con la quale riuscì a realizzare incredibili obiettivi in soli quattro anni e mezzo al potere (1983-87) in Burkina Faso. Il giovane capitano-presidente licenziò circa 10 mila dirigenti, funzionari, quadri e impiegati statali, retaggio clientelare del vecchio impero coloniale francese; con i soldi risparmiati fu capace in soli 8 mesi di costruire una ferrovia di comunicazione tra le due principali città del paese.
Rilanciò alla grande l’artigianato tessile locale obbligando i nuovi impiegati statali assunti ad indossare esclusivamente abiti in cotone naturale di produzione nazionale, proibendo l’utilizzo e l’importazione di quello acrilico. Emancipò le donne ed i bambini burkinabè con la realizzazione di progetti di alfabetizzazione rurale e costruzione di scuole rispettose dello stile, degli usi e tradizioni del Sahel. Inorgoglì i suoi connazionali istituendo il più bel festival folklorico, musicale, artistico e cinematografico del continente.
Con l’aiuto di pochi tecnici e medici cubani riuscì a portare ausilio medico, infermieristico sinanche nei villaggi più sperduti del paese e soprattutto riuscì ad incrementare la superfice arativa del paese del 40 %, di quel territorio semidesertico chiamato Sahel. Irrise senza cattiveria, ma anzi con ironia ed autoironia gli osservatori europei ai vertici dei paesi dell’Oua, l’organizzazione dei paesi africani, dove si discuteva sul debito dei paesi del terzo mondo verso quelli più ricchi.
Conseguì la sua più grande vittoria proprio dove nessuno se l’aspettava: in macroeconomia…
Infatti dimezzò letteralmente la povertà del suo paese in meno di un lustro, portandolo dal 143˚ al 78˚ posto. Lui cristiano, richiamò le alte sfere delle religioni monoteistiche a un maggior rispetto delle religioni ancestrali burkinabè ed africane in generale.
Con integerrima onestà intellettuale, da marxista eterodosso e gramsciano convinto si distaccò dallo sterile carro dello statalismo sovietico e dei paesi dell’est. Pochi giorni prima di essere assassinato ricordò in un memorabile discorso all’Onu il suo idolo e punto di riferimento: Ernesto Che Guevara. Riuscì in quel famoso discorso addirittura ad essere profeta del suo imminente destino e del suo incombente assassinio da parte del suo migliore (si fa per dire) amico Blaise Camporè, attuale presidente del Burkina Faso. Viveva in una semplice casa di Ougadougou di tre vani ed accessori con moglie e figli. Dopo aver venduto tutte le auto blu dello stato per invece costruire due ospedali, si vide obbligato ad utilizzare una Renault 5 presidenziale, ovvero una delle sole 4 utilitarie gemelle del parco macchine nazionale. Si decurtò lo stipendio del 500% abbasandolo sino a 200 dollari mensili, imponendo col suo esempio il tetto massimo per qualsiasi salario statale. Suonava la chitarra nelle sue frequenti visite nei villaggi rurali più remoti. Riuscì anche qualche volta a rimanere senza soldi in tasca, tanto da farseli prestare dalle sue guardie del corpo. Ma più di ogni cosa Thomas Sankara riuscì a trasmettere a tutti i suoi connazionali l’entusiasmo per un cambiamento, per una rivoluzione pacifica, filantropica ed umanista. Insomma l’esperimento di Thomas Sankara e dei burkinabè divenne un “cattivo esempio” per i paesi limitrofi, tanto da riuscire a far alleare i servizi segreti statunitensi, francesi e libici al fine di assassinarlo.

CRONOLOGIA DELL’UOMO INTEGRO

Thomas Sankara nasce il 21 dicembre 1949 a Yako nell’Alto Volta, allora colonia francese che diventerà indipendente il 5 agosto 1960. Non avendo i mezzi per studiare medicina come vorrebbe, intraprende la carriera militare. Inizia a formarsi alla politica anche nel corso di soggiorni in Marocco e Madagascar. Fra il 1981 e il 1983 viene chiamato a far parte di governi dei quali presto denuncia malefatte e corruzione, fino a essere imprigionato.
Con un’alleanza fra militari e forze popolari arriva al potere il 4 agosto 1983. Il 4 agosto 1984 l’Alto Volta diventa Burkina Faso. Intanto governo e comitati popolari lavorano alla «rivoluzione degli integri» a ritmi accelerati. Nel 1987 iniziano a serpeggiare i dissidi e i malcontenti fra i capi storici della rivoluzione. Il 15 ottobre 1987 Sankara con dodici collaboratori viene assassinato in un colpo di stato ordito dal suo vice Blaisé Compaoré, il quale assume la presidenza e reprime le proteste con diversi morti. La rivoluzione è finita. Elezioni successive alle quali partecipa una minoranza della popolazione hanno continuato a rieleggere Compaoré il quale anche grazie alle divisioni e debolezze dei “sankaristi” è tuttora capo di stato, ben introdotto in Occidente e oscuramente coinvolto in diversi conflitti africani. Mai chiarite le circostanze e le responsabilità di quel 15 ottobre. La petizione «Giustizia per Sankara» (www.thomassankara.net) ha raccolto 10mila firme.


6 commenti:

  1. Articolo commovente.

    Che discorsi GRANDI, così VERI, LOGICI e SEMPLICI, faceva il GIUSTO e CORAGGIOSO Sankara. Altro che le CIARLE forbite, ostentate di quegli sciocchi e cattivelli egocentrici, che FURBESCAMENTE nascondono le più IMPORTANTI VERITA' dietro a delle piccole: - queste CAROGNETTE, SICURAMENTE non le ammazzano...

    ZOE

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  2. Oggi un bambino ( e NON un ragazzino ! )di 13 anni si è gettato nel vuoto ed è MORTO ! Ha lasciato un biglietto in cui, dicono VAGAMENTE, ha scritto che "aveva problemi in famiglia"...cosa ha scritto ESATTAMENTE, però non l' hanno detto.
    E figuriamoci: GUAI a SCALFIRE minimamente ( quel covo di PATOLOGIE ) la "bella" famigliola patriarcale del cazzo, che fa AMMATTIRE, chi più chi meno, TUTTI...
    Oggi, dunque, un' altra vittima ( sono già MILIARDI ) è stata SACRIFICATA sull' altare del "buon" dio ! ! !
    Ma che "BRAVA GENTE" 'sti padri.

    QUAND' è che se ne andranno, insieme alle loro illogiche, velleitarie e demenziali religioni, - AFFANCULO ?!?

    Tiamat

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    1. In questi casi, la famiglia o uno dei componenti, o chi ne fa le veci, dovrebbe essere imputata, per lo meno, di omicidio colposo. Anche se "omicidio colposo", in verità non vuol dire un emerito cazzo, poiché si tratta invece - UNICAMENTE di ciò che in psicologia si definisce: "UN ATTO MANCATO", dietro il quale si OCCULTA la VIGLIACCA psicopatologia di un borderline, che, nella sua DEVASTAZIONE mentale, tende COSTANTEMENTE a vendicarsi delle proprie frustrazioni e infelicità, con la distruzione di chiunque abbia a portata di mano.
      Insomma, si tratta di persone PERICOLOSE, perché la loro vendetta non ricade sui diretti responsabili delle loro miserie ( come invece fanno gli schizofrenici ), ma su chiunque capiti loro a tiro.

      AMEN

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  3. Nel suo ultimo viaggio in sud America (credo in Venezuela ma non ne sono sicuro), in uno dei suoi discorsi, quel furbacchione del signor papa INCITAVA il popolo a RIBELLARSI; ed io ho avuto un SUSSULTO! Ci sarebbe da vergognarsi, lo ammetto, ma un dubbio, un' incertezza, sulla sua "opera" che da sempre reputo FALSA, VISCIDA e INFAME, mi ha sfiorato. Naturalmente mi sono ripreso quasi subito dalla CADUTA, facendo leva sulle migliaia e migliaia di PROVE dell' operato CRIMINALE della chiesa attraverso i secoli, e quindi sull'IMPOSSIBILITA' della sua buona fede; oltre tutto non aveva mai incitato né il popolo europeo né tanto meno quello mondiale alla RIBELLIONE. Ragion per cui, ("gatta ci cova")questo azzardo da parte sua doveva avere una losca mira, ossia: smantellare i tentativi, gli sforzi che alcuni governi sudamericani stanno facendo per realizzare un po' di VERA democrazia senza la intromissione degli USA.
    Ora, "la morale della favola" è: se questo STREGONE è riuscito ad abbindolare me (cosa per niente facile), anche solo per due minuti, che cosa avviene nelle povere teste di chi è meno SVEGLIO?

    Chi conosce la verità la manifesti, per controbilanciare la menzogna.
    Questo è tutto ciò che un rivoluzionario può e deve fare oggi.
    Luis

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  4. "I TEMPI SONO MATURI"

    Sono il primo a rattristarmene perché amo comunicare le mie idee e opinioni con tutti i mezzi; ma tutte queste leggi repressive, tra cui quelle sul web, telefono, etc. mi forzerà a desistere.

    "C' E' UN TEMPO PER LA CAUTELA E UNO PER IL CORAGGIO."

    Però, dice la saggezza popolare: "non tutti i mali vengono per nuocere", e i cinesi utilizzano un unico termine per "problema" e "opportunità". E poiché questi MOSTRI vanno combattuti SEMPRE e COMUNQUE, si dovrà fare in modo di invertire "LA POLARITA" a nostro favore.
    Queste MERDACCE vogliono TUTTO ciò che abbiamo, ci vogliono PRIVARE di TUTTO. Sono così STRONZI, che vogliono addirittura che noi si paghi fior di quattrini per pc e telefoni, attraverso i quali poi ci SPIANO GRATIS.

    "OGNI PROBLEMA TRAE CON SE' LA SOLUZIONE"

    La soluzione si chiama BOICOTTAGGIO!!!
    VIA pc, VIA telefoni,(imparare almeno linguaggi criptati) ma NON COMPRARNE PIU' NEMMENO MEZZO. NON COMPRARE PIU' UN CAZZO SE NON "LO STRETTO NECESSARIO".

    "QUESTE BESTIE HANNO PAURA DEL NOSTRO RISVEGLIO"

    Battiamo il ferro finché è caldo, se rimandiamo, se li lasciamo fare...NON POTREMO PIU' REAGIRE...LA STORIA CI INSEGNA (inquisizione nazismo, guerre, terrorismi fittizi e via dicendo).

    SVEGLIATEVI ORA... O MAI PIU'!!!

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    1. se non tutto il male viene per nuocere, allora ben venga il boicotaggio degli smartphone, tablet, telefoni e quant'altro, un'ottima occasione per rispolverare altre forme di comunicazione, paragonali a quelle che usano i Boscimani, gli Aborigeni, ecc.. Imparare o meglio Re-imparare a usare il potere della visualizzazione può essere di grande aiuto, ma prima di boicottare occorre farsi delle domande senza agire impulsivamente: posso rinunciare alla tecnologia che il mondo odierno mi offre e che senza di essa rischio di essere isolato dal mondo? con cosa sostituisco ciò che decideo di boicottare? riuscirò a trovare un valido sostituto che mi permetta di sopperire a questa mancanza?

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