lunedì 16 luglio 2018

MASSONERIA E RIVOLUZIONE FRANCESE di M. Volpe



Sulle relazioni fra Massoneria e Rivoluzione Francese si è discusso a lungo. 
Peraltro, come per analoghe circostanze, bisogna distinguere tra Massoneria intesa come movimento di idee e Massoneria intesa come organizzazione, cioè attrice di azione sociale e politica, ed inoltre tra singoli Massoni e Istituzione Massonica. 
Va ancora tenuta presente la variegata articolazione del movimento massonico, nello stesso ambito dello Scozzesismo. 
Infatti, in quegli anni, troviamo una Massoneria Scozzese di tipo tradizionale, dedita a studi filosofici a ricerche “esoteriche” a esperienze mistiche, a fianco di una Massoneria Scozzese che, sul filone della Massoneria templare e più ancora dell’Illuminatismo di Weishaupt, si dedica prevalentemente alla propagazione delle idee libertarie e egualitarie con intenti di attiva operatività nella costruzione di una nuova società civile. 
Ben diversa, dunque, la situazione rispetto alla cosiddetta “Rivoluzione” americana che fece il suo corso interamente sotto l'egida della Massoneria: basterebbe in proposito ricordare i due massimi esponenti dell’indipendenza americana, George Washington e Beniamino Franklin. 
In realtà, proprio in Beniamino Franklin (1706- 1790) può individuarsi un trait d’unione tra la Massoneria americana e quella Francese negli anni precedenti la Rivoluzione. 
Nel 1778, mentre in America si aveva la dichiarazione d'indipendenza di Thomas Jefferson con la costituzione degli Stati dell'Unione, Beniamino Franklin, inviato in Francia da tredici Stati del Nord America, fu scelto per succedere a Lalande nella direzione della Loggia Parigina "Les Neuf Soeurs". 
Questa Loggia, fra le molte allora operanti a Parigi, si era particolarmente distinta per la sua azione “politica” intesa alla democratizzazione della società con la limitazione del potere assoluto del Sovrano, azione che si sarebbe poi concretizzata con la Convocazione degli Stati Generali. 
Affiliato alla Loggia de "Les Neuf Soeurs" era anche il marchese di Condorcet che, nel 1786, pubblica il saggio “De l’influence de la Révolution d’Amérique sur l’Europe”. 

Di certo, la Rivoluzione francese, come prima quella americana, furono figlie di quella particolare temperie culturale, alimentata dalle idee proprie dell’Illuminismo e della Massoneria, che prometteva di cambiare il mondo per conseguire la “felicità” del genere umano. 
Gli eventi del 1789 segnarono un momento esaltante per i Liberi Muratori “dei due emisferi”, momento fatidico della civiltà occidentale, tanto che da quella data si fa emblematicamente iniziare l'età contemporanea. Mentre in America, il 30 aprile, il “Fratello” George Washington, quale primo Presidente degli Stati Uniti d'America, prestava giuramento sulla Bibbia della Loggia.
Fin dall’inizio è fondamentale la presenza della Massoneria, basti pensare che la rivolta del tè del 16 dicembre 1773 (“Boston Tea Party”), guidata da Sam Adams, considerata l’avvio di quel processo che avrebbe portato che avrebbe portato alla Dichiarazione d'indipendenza del 4 luglio 1776, partì dalla Loggia S.Andrea di Boston. Marie-Jean-Antoine-Nicolas Caritat marchese di Condorcet (1743-1794) il famoso filosofo e matematico, amico di Voltaire e di d’Alembert. "St. John n° 1" di New York; in Francia, il 14 luglio, il popolo di Parigi assaliva e radeva al suolo la Bastiglia, emblema dell'assolutismo sovrano. 
La presa della Pastiglia («loco è in Parigi, che Inferno avria / Pregio più assai; detto è Bastiglia; e dirsi / Ben dovria Malebolge» così Vittorio Alfieri in "Parigi sbastigliata"), profetizzata quattro anni prima da Cagliostro, suscitava in Europa entusiasmi di libertà e democrazia a lungo agognati. Un mese dopo, il 26 agosto, vedeva la luce la "Déclaration des droits de l'homme et du citoyen". 
Durante i primi 2 anni della rivoluzione i capi rivoluzionari provenivano dalla nobiltà e dalla Massoneria, come ad esempio il generale La Fayette che aveva preso parte alla Rivoluzione americana, per la maggior parte elementi “moderati” con l’aspirazione ad una monarchia costituzionale, alla realizzazione di una società libera e democratica intrisa delle idealità massoniche. Stesse idealità che riecheggiano in eventi emblematici di quegli anni, come la rappresentazione a Vienna, nel 1791, del "Flauto magico" del “Fratello” Mozart, su libretto del “Fratello” Schikaneder, il cui profondo simbolismo massonico rappresenta il trionfo della Verità sulle tenebre dell'oscurantismo. 
Nello stesso anno, mentre a Parigi l'Assemblea Nazionale trasferiva solennemente nel Pantheon le ceneri di Voltaire, in America, il Congresso degli Stati Uniti approvava i primi emendamenti della Costituzione ("Bill of Rights") che stabilivano l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla Legge, la separazione fra Stato e Chiesa, la libertà di stampa. 

Va detto che esponenti della Massoneria operarono attivamente nei due schieramenti, quello rivoluzionario e quello antirivoluzionario. 
Così, ad esempio, nella battaglia di Valmy (20 settembre 1792) vediamo contrapposti due “Fratelli”: da una lato, a capo dell’esercito francese il generale Dumouriez, dall’altro, a capo dell’esercito alleato austro-prussiano, il duca di Brunswick, di cui è noto il minaccioso proclama di distruggere Parigi. 
Massone era Chaumette, tra i capi della Comune di Parigi, ateo e repubblicano, acerrimo nemico del re, ma massone era anche François Charette capo degli insorti Vandeani. 
Massoni erano Danton e Desmoulins, massone l’abate Sieyès ecc. Ma ben presto gli sviluppi rivoluzionari avrebbero travolto il mondo latomistico. 
Proibita in Francia al tempo della Convenzione, a partire dal 92-93 le Logge chiudono una dopo l’altra. Nel 1793 il Gran Maestro del Grande Oriente, il duca Filippo d’Orléans (Philippe Egalité) conferma la sua viltà, già mostrata con il voto decisivo nella condanna di Luigi XVI4 , sconfessando pubblicamente la Massoneria e rinnegandola, senza peraltro riuscire ad aver salva la testa (venne ghigliottinato sei mesi dopo, il 6 novembre 1793). 


Gran parte dei massimi esponenti della Massoneria furono ghigliottinati; oltre a quelli prima indicati, non si possono non ricordare lo scrittore Jacques Cazotte (1719-1792) ed il poeta lirico André-Marie Chénier (1762- 1794), della Loggia “Les Neuf Soeurs”, che salirono sul patibolo per la loro fedeltà all’ideale monarchico costituzionale, o il loro confratello di Loggia il già citato.
Subito sarebbe arrivata dal pontefice Pio VI (Giovanni Angelo Braschi) la condanna della Dichiarazione dei diritti dell'uomo che «ammetteva tutta sorta di Religione, sostenendo che, credute l'esistenza di Dio, e l'immortalità dell'Anima, era ugualmente buono il Cattolico, il Luterano, il Calvinista, l'Ebreo». 
Sembra che Luigi XVI sia stato iniziato in Massoneria, assieme ai fratelli, il conte di Provenza ed il conte d’Artois, nella Loggia appositamente fondata a Versailles “La Militare des Trois Frères Unis” a l’Orient de la Cour, nel 1775. marchese di Condorcet che si avvelenò in carcere. 
Fra i numerosi ecclesiastici giustiziati dai Giacobini, va ricordato il massone Jean-Marie Gallot, che sarebbe stato proclamato beato da Pio XII (nonostante la sua appartenenza alla Libera Muratoria). Delle oltre 600 Logge operanti in Francia alla vigilia della Rivoluzione, solo poco più di una decina restarono operanti tra il 1795 e il 1796. 
Nonostante ciò, da molte parti degli ambienti reazionari venne, fin dall’inizio, diffusa la voce che la Rivoluzione Francese era stato un complotto ordito dalla Massoneria e da essa preparata da tempo nelle “Retro-Logge”, voce che non mutò, anzi si rafforzò, con gli eccessi del Terrore nonostante siano risultato evidente che proprio i Massoni e l’Istituzione Massonica ne furono le prime vittime. Molto seguito ebbero, in questa assurda tesi, i 5 volumi delle “Memorie per servire alla storia del giacobinismo” dell’abate Barruel comparsi tra il 1797 e il 1798, ma numerosi altri libelli erano stati pubblicati con tale intento. 
Ad esempio ne “I progetti degl’increduli a danno della religione disgelati nelle opere di Federico il Grande re di Prussica” di don Luigi Mozzi, pubblicato ad Assisi l’anno seguente della Rivoluzione, si legge: «Tre sono le Sette, le quali o nate o rinvigorite in questo secolo hanno primieramente prodotto la memoranda rivoluzione, in cui ci troviamo involti, facendo servire alla medesima una serie di persone, e di autorità da esse stranamente e in diversi modi illuse e sedotte. Una è la setta de’ Liberi Muratori, e quelle che da essa emanano; l’altra la Setta de’ Giansenisti; la terza quella de’ Filosofi». 
E di seguito rimprovera ai “Franchi Muratori” la «fratellanza, che dovendo stabilirsi tra persone di diverso grado, è incompatibile con le varie Gerarchie, che Iddio ha voluto per buon ordine del mondo, e ne viene perciò il rovesciamento di ogni sistema civile e religioso». 
Le conseguenze non si fecero attendere in Italia, dove la Massoneria, peraltro, già si trovava in una situazione difficile, bandita dal 1783 in Piemonte, dal 1785 a Venezia. 
Dopo la presa della Bastiglia si diffuse tra i regnanti assolutistici la convinzione che il movimento sovversivo avesse come capo occulto Luigi Filippo d'Orlèans, Gran Maestro del Grande Oriente di Francia. 
A Napoli, il 3 novembre 1789 Maria Carolina ripropone contro i Massoni l'Editto di condanna del 1785, minacciando gli aderenti di pena di morte, paragonandoli ai rei di lesa maestà. Vengono così sciolte le Logge di Stretta Osservanza del Gran Maestro Naselli. 
A Roma continuava ancora ad operare la Loggia “La Réunion dea Amis Sincères”, fondata nel novembre 1787, per iniziativa di elementi della colonia francese, guidati dal pittore Augustin-Louis Belle, sulle ceneri della Loggia che aveva fondato il Münter. Al Belle seguì nella carica di Venerabile Charles de Loras6 . 
La Loggia romana acquisì prestigio perché lavorava attivamente e ordinatamente proprio in quel periodo critico in cui tutte le altre Logge della Penisola, perseguitate dai governi, chiudevano i battenti, diventando il centro latomistico della vita italiana. Con essa entrarono in corrispondenza i Venerabili delle Logge Napoletane. 
In particolare 65 a Parigi, 442 in provincia, 39 nelle colonie, 69 nei reggimenti, 17 all’estero. 
Charles Abel de Loras, balì dell’Ordine di Malta, già deputato Gran Maestro della Loggia di Malta “Loge de Sain Jean d’Écosse du Secret e de l’Harmonie”, era giunto a Roma per ottenere la nomina di ambasciatore dell’Ordine presso la Santa Sede (che non ottenne per l’avversione di Pio VI). Severo, figlio di Raimondo di Sangro, e il Gran Maestro delle Logge inglesi, il duca di San Demetrio. Proprio in questi frangenti si inserisce, in Italia, la parte finale della vicenda Cagliostro che, dopo varie peregrinazioni, era giunto a Trento dove godé della protezione del Principe-Vescovo Vigilio Thun. 
Dopo essersi fatto vedere come devoto e fervente cristiano, il Conte di Cagliostro decise di recarsi a Roma con la grande idea di operare la riconciliazione fra la Massoneria (di cui si riteneva il capo) e la Santa Sede. Si fece fare un salvacondotto dal vescovo di Trento che pure lo raccomandò a vescovi, cardinali e senatori. Il maggio 1789 partì per Bologna diretto a Roma dove arrivò il 27 maggio 1789, proprio mentre in Francia stavano maturando gli eventi che avrebbero sconvolto il mondo. 
Il clima era ulteriormente teso per i fermenti insurrezionali a Senigallia e a Velletri. 
In questo stato quasi isterico di paura, cominciarono a fioccare arresti e scomuniche contro i nuclei liberali che si identificavano con le Logge Massoniche. 

Agli occhi delle autorità pontificie, dopo la distruzione della Bastiglia del 14 luglio, Cagliostro appariva come uno dei capi di quella Massoneria che tramava per la caduta dei troni e dell’altare. Cagliostro, mentre era in attesa di presentarsi al Pontefice come massimo esponente della Massoneria, cercò di fondare a Roma una Loggia egiziana ed in questo ebbe come prezioso collaboratore il cappuccino Francesco-Giuseppe da San Maurizio (al secolo Giacinto Antonio Roullier). 
Costui aiutò Cagliostro nella stesura di un Memoriale elogiativo della Rivoluzione, diretto all’Assemblea di Francia, che venne intercettato dall’inquisizione. 
Il 27 dicembre 1789 il Papa si recò dal Segretario di Stato cardinale Zelada e il Governatore di Roma, mons. Rinucci, ricevette l’ordine di arrestare il conte di Cagliostro ed il padre cappuccino Francesco-Giuseppe. 
L’accusa, quella di essere istitutore e propagatore della Setta dei Liberi Muratori, secondo il mai applicato bando Firrao del 1739 che prevedeva la condanna a morte. 
Venne così sciolta l’ultima Loggia ancora operante in Italia, quella romana che si voleva identificare con Cagliostro, anche se, in realtà, non aveva niente a che fare con lui. 
La storia del processo è nota, come sono note le deposizioni preconfezionate fatte fare a Cagliostro per dare all’opinione pubblica un quadro palesemente distorto della Massoneria, come il più grande nemico dello Stato e della Chiesa. 
Il collegio giudicante (presidente il cardinale di Stato Zelada, giudice fiscale monsignor Barberi, ma indirettamente diretto passo passo dallo stesso pontefice) dopo un processo che sarebbe durato fino all’aprile del 1791, condannò a morte sul rogo il Libero Muratore Cagliostro, pena che il Pontefice mutò nell’ancor più spietata carcerazione perpetua da scontarsi in fortezza. 
L’opera di monsignor Barberi “Compendio della vita, e delle gesta di Giuseppe Balsamo denominato il conte di Cagliostro, che si è estratto dal Processo contro di lui formato a Roma l’anno 1790 e che può servire di scorta per conoscere l’indole della Setta de’ Liberi Muratori”, Roma 1791, fu immediatamente diffusa in tutto il continente, tradotta in varie lingue e con numerose edizioni. Avrebbe dato lo spunto a tutti i successivi libelli antimassonici. 
La Massoneria diventa il simbolo di quel movimento di idee che, per usare le parole di mons. Barberi, «si arroga il titolo d'illuminato, di spregiudicato, di filosofico». 
La detenzione di Cagliostro nel forte di San Leo, gli spietati maltrattamenti cui fu sottoposto - che il cardinale Zelada e il Pontefice costantemente conoscevano, approvavano e consigliavano di inasprire nell’isterico timore che i Massoni di tutto il mondo potessero con un atto di forza liberare il loro capo - sarebbe durata sei anni. 
Cagliostro morì qualche mese prima che a San Leo arrivasse l’armata rivoluzionaria che lo avrebbe liberato. La condanna di Cagliostro segnò la fine della Libera Muratoria in tutta la penisola. 
La fase “aristocratica” della Massoneria settecentesca, avrebbe ceduto il passo alla nuova fase “borghese” nell’età napoleonica, in linea con l’ideologia del terzo stato uscito vittorioso dalla Rivoluzione francese.


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