mercoledì 23 settembre 2020

BILL GATES E LA NEMESI TECNOMEDICA di Bianca Bonavita parte 1°


BILL GATES E LA NEMESI TECNOMEDICA
di Bianca Bonavita


“L’Homo sapiens, che si destò al mito in una tribù e crebbe alla politica come cittadino, viene ora addestrato a essere un detenuto a vita di un mondo industriale. La medicalizzazione porta all’estremo il carattere imperialista della società industriale.”
“Nessuna assistenza dovrà essere imposta a un individuo contro la sua volontà: nessuna persona, senza il suo consenso, potrà essere presa, rinchiusa, ricoverata, curata o comunque molestata in nome della salute.”
Ivan Illich, Nemesi Medica

“Potere vuol dire infliggere dolore e umiliazione.
Potere vuole dire ridurre la mente altrui in pezzi che poi rimetteremo insieme nella forma che più ci parrà opportuna.
Cominci a intravedere adesso il mondo che stiamo costruendo?”
George Orwell, 1984

Premessa
Denunciare la mistificazione costruita attorno al grande evento spettacolare Covid-19 (che distingueremo nel testo dal virus Sars-CoV-2) e alla forma di governo e di controllo della popolazione che si sta globalmente ridefinendo, non significa difendere la devastante normalità del prima, non significa porsi in una posizione di conservazione di un prima desiderabile da preservare. Così come non significa negare la morte delle persone.
Il virus non ci sembra, come molta della critica radicale vorrebbe, una speciale conseguenza della distruzione prodotta dal capitalismo e dai suoi allevamenti industriali umani e animali. Il nuovo coronavirus non ci sembra affatto un “demone della distruzione totale”, né “la produzione più devastante della devastazione della produzione”.
Gli allevamenti umani e animali da molti decenni ormai producono malattie croniche ben più letali: quasi tutti hanno pianto amici o parenti morti prematuramente per tumori o per malattie cardiovascolari che sono, se vogliamo usare questa parola, le due vere pandemie dei nostri tempi. Pandemie prodotte, queste sì, da forme di vita innaturali, dominate dal regime della separazione, incatenate a lavori alienanti, immerse in arie irrespirabili, abbeverate da acque inquinate e pasturate con mangimi industriali.

Spostare dunque il fuoco dell’attenzione dalle malattie croniche, che sono le vere pandemie moderne, a malattie infettive che hanno una bassa letalità, contribuisce a rimuovere un serio discorso sul nesso tra prevenzione e forma di vita.
Per questo il virus non ci sembra un messaggero o un messia in grado di mettere in luce, a chi non li vedeva prima, i mali del mondo in cui ci troviamo a vivere, ma piuttosto proprio uno strumento di distrazione che rende ancora più difficile mettere a fuoco le profonde e strutturali perversioni del capitalismo.
Se un paese intero, (ma si potrebbe estendere il discorso anche al di fuori dei confini nazionali), con rare eccezioni, accetta, senza metterne in questione le ragioni, la sospensione di molte delle libertà fondamentali, cadendo in preda alla paura e al sospetto o semplicemente a una ancor più inquietante serena accettazione, come potranno le persone che vivono in quel paese rivoltarsi contro i disastri prodotti dal capitalismo fino a mettere in questione e ridefinire la propria forma di vita?
I più non desidereranno forse soltanto il ritorno alla normalità?
E in nome di questo desiderio non accetteranno qualunque sopruso da parte del potere?
E pur di ritrovare almeno alcuni elementi della vecchia normalità non accetteranno esse tutti gli atroci e assurdi dispositivi della nuova, odiosa, normalità che si sta definendo?
Se l’ecatombe che ogni anno procurano il cancro e le malattie cardiovascolari (solo in Italia a causa loro muoiono rispettivamente 180.000 e 220.000 persone) non ha mostrato ai più la verità della distruzione che produce il capitalismo, per quale ragione dovrebbe farlo un virus che ha bisogno di un’impressionante operazione di propaganda per poter accrescere la sua letalità che altrimenti sarebbe probabilmente di poco superiore alla media stagionale per influenza? (Alcuni studi, come quello dell’università di Kobe, parlano addirittura di una letalità inferiore alla media dell’influenza stagionale).
Come può vedere la luce del vero dentro o intorno a sé chi è offuscato dalla fitta cortina di fumo del falso che lo circonda?
Il virus Sars-CoV-2, nelle sue diverse e mutanti forme che stanno circolando, sia che esso abbia un’ origine dolosa e artificiale, sia che abbia un’origine incidentale o naturale, ci sembra piuttosto un prodotto/evento (atteso, voluto o provocato poco importa) gestito dalle oligarchie digitali, farmaceutiche e biotecnologiche transnazionali al fine di poter ridefinire assetti geopolitici e forme di governamentalità.
Per rispetto delle persone morte a causa del virus Sars-CoV-2 e di tutte quelle morte per altre cause che, risultate positive a un tampone in vita o in morte, sono finite nei mistificatori conteggi dei governi (quello italiano particolarmente mistificatorio), sarebbe doveroso far cessare immediatamente l’uso strumentale della morte a fini di propaganda: è criminale usare la morte delle persone per realizzare progetti egemonici che hanno ben poco a che fare con la salvaguardia della salute, (visti tra l’altro i danni enormi in termini di salute, che sappiamo non essere slegata dall’equilibrio psichico, che sappiamo non essere slegato da quello economico e sociale, che le misure di contenimento hanno causato e causeranno in moltissime persone).
Sul conteggio mistificatorio del governo italiano vale la pena far notare che lo stesso Istituto Superiore di Sanità, nel suo report settimanale su un campione di persone decedute di cui è stato possibile analizzare le cartelle cliniche, ci dice implicitamente nel titolo “Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia”, che non v’è prova di una correlazione diretta e decisiva tra la morte di queste persone e l’infezione di Sars-CoV-2. L’unica certezza (anch’essa in realtà non così certa visto che il tampone ha un margine d’errore) è che al momento della morte i “pazienti” del campione erano “positivi” al virus. Questo dato, unito al fatto che l’età media delle persone decedute in esame è di 80 anni, e che il numero medio di patologie presenti al momento della morte è di 3,3, può legittimamente far pensare che molte di queste persone non siano morte a causa del virus ma in sua presenza.
Quanto alle zone della Lombardia in cui pare esservi stata effettivamente un’anomalia della mortalità nei primi mesi dell’anno in corso, sarebbe auspicabile che si moltiplicassero le ricerche volte a indagare i co-fattori ambientali (inquinamenti di varia natura) e iatrogeni (interferenze virali, interferenze con altri farmaci, errori di diagnosi e di terapie) che potrebbero aver reso più letale l’infezione da Sars-CoV-2. Queste considerazioni non vogliono negare che ci siano state morti provocate direttamente dal virus Sars–CoV-2, né tantomeno vogliono togliere peso al dolore e alla tragedia che ogni morte può portare con sé. Ma sono purtroppo necessarie per denunciare l’opera di mistificazione tuttora in corso che ha bisogno di ingigantire a dismisura la letalità del virus per poter giustificare l’instaurarsi di uno stato di allarme permanente con relative sospensioni delle libertà fondamentali e con il progressivo normalizzarsi dei dispositivi di emergenza, al fine di ridefinire assetti geopolitici, egemonie economiche, nonché la forma stessa della governamentalità e il suo rapporto con i governati.
Lo stato di eccezione non ha di certo fatto la sua comparsa nella primavera del 2020 e, a ben guardare, poteva essere considerato permanente anche prima del grande evento spettacolare Covid-19. Ma è innegabile che lo stato di emergenza globale dichiarato di fatto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità a fine gennaio 2020, e le conseguenti misure d’emergenza adottate dai governi di tutto il mondo, abbiano segnato un salto di qualità senza precedenti per intensità e diffusione dello stato di eccezione e che sia necessario interrogarsi sulla sua causa efficiente così come sulla sua causa finale.
Per intraprendere questa indagine abbiamo deciso di tradurre e di commentare (in corsivo) un testo apparso nel mese di aprile sul blog personale di Bill Gates.

* * * *

Bill Gates
Pandemic I

La Prima Pandemia moderna
Le innovazione scientifiche che ci servono per fermare il Covid 19
(23 aprile 2020)


La pandemia da coronavirus oppone tutta l’umanità al virus. Il danno alla salute, alla prosperità, al benessere è già stato enorme. Questa è come una guerra mondiale, con la sola differenza che in questo caso siamo tutti dalla stessa parte. Tutti possiamo lavorare insieme per imparare di più sulla malattia e sviluppare gli strumenti per combatterla. Io vedo nella innovazione globale la chiave per limitare i danni. Ciò include innovazione nei test, nelle terapie, nei vaccini e nelle politiche per limitarne la diffusione e contemporaneamente minimizzare il danno alle economie e al benessere.
Questo memorandum vuole condividere la mia visione della situazione e delle modalità con le quali possiamo accelerare queste innovazioni. La situazione cambia ogni giorno, ci sono molte informazioni disponibili – molte delle quali contraddittorie – e può essere difficile dare un senso a tutte le proposte e idee che si sentono. Può anche sembrare che abbiamo già tutte le innovazioni scientifiche che necessitiamo per riaprire l’economia, ma in effetti non è così.
Nonostante alcune cose di cui parlerò siano piuttosto tecniche, spero che questo aiuti le persone a dare un senso a ciò che sta succedendo, a capire le innovazioni di cui necessitiamo ancora, e crei decisioni consapevoli nell’affrontare la pandemia.
La prima affermazione parte da un assunto fondamentale dato per vero: che ci troviamo di fronte a una pandemia. Il termine è controverso e ha una sua storia. Nella definizione adottata dall’OMS prima del 2009 si faceva riferimento a un “enorme numero di morti e malati”. Durante la cosiddetta “pandemia influenzale” dell’influenza suina del biennio 2009-2010, l’OMS ne cambiò la definizione eliminando ogni riferimento a un’alta mortalità.
Il 26 gennaio del 2010 l’OMS venne invitata al Consiglio d’Europa per rispondere alla mozione “Le false pandemie una minaccia per la salute”, in merito a quello che venne definito da molti un procurato allarme che creò grandi profitti per le case farmaceutiche produttrici di vaccini e ingenti danni economici a molti stati che comprarono milioni di dosi vaccinali rimaste inutilizzate.
L’uso improprio del termine “pandemia”, che evoca nell’immaginario scenari catastrofici, sembra avere, da una decina d’anni, uno specifico ruolo propagandistico che è quello di terrorizzare. Il virus risulta essere in questo senso la prosecuzione del terrorismo, o meglio del dominio attraverso il terrore, con altri mezzi.
Ricordiamo che la Bill & Melinda Gates Foundation oltre ad essere finanziatrice di numerose case farmaceutiche, anche attraverso GAVI, risulta ad oggi essere il primo ente finanziatore dell’OMS (dopo che l’amministrazione Trump ha dichiarato che taglierà i fondi Usa all’organismo internazionale).

Gates, benché non lo dichiari, sta dunque parlando in veste di autorità morale auto-nominatasi in virtù degli ingenti finanziamenti elargiti all’OMS, a suo dire, per il bene dell’umanità.
Gates entra poi immediatamente nella metafora bellica, che riprenderà anche alla fine del testo, gettando le basi di quello che vuole essere un vero e proprio mito fondativo su cui edificare, o forse è meglio dire in gergo informatico, programmare, un nuovo governo globale.
In molti hanno notato che fin dall’inizio dell’evento spettacolare Covid-19, i media si sono profusi nell’utilizzo ossessivo di un linguaggio di propaganda bellica.
Riteniamo importante far notare che nell’autunno del 2019 si è potuto registrare un crescente livello di tensione, per questioni di egemonia economica, tra amministrazione Trump e Repubblica Popolare Cinese e che nei primi giorni del gennaio 2020 Trump ha rivendicato l’assassinio del generale Soleimani, una figura di spicco della Repubblica Islamica dell’Iran. Per diversi giorni sembrava che un nuovo conflitto ad alta intensità fosse inevitabile.
Tra il 14 e il 16 febbraio del 2020 durante la Conferenza di Monaco sulla sicurezza, il segretario della difesa Esper (dell’amministrazione Trump) ha espresso forti preoccupazioni nei confronti delle politiche di egemonia commerciale e militare della Repubblica Popolare Cinese, focalizzando in special modo il suo discorso su come l’installazione della rete 5G in Europa da parte della Huawei sarebbe stato un cavallo di Troia dell’intelligence cinese e dicendo che i paesi occidentali avrebbero dovuto prepararsi al passaggio da un conflitto a bassa intensità ad uno ad alta intensità (“we must move away from low intensity conflict and prepare once again for high-intensity warfare”).

La guerra che evoca Gates, e che staremmo dunque vivendo, pare essere la sublimazione virtuale di una terza guerra mondiale combattuta non sui campi di battaglia con armi da fuoco ma sui corpi e nelle menti delle persone attraverso dispositivi di altra natura.
Forse non è così assurdo vedere in queste manovre belliche virtuali, attraverso una OMS fortemente condizionata da enti privati, un’alleanza strategica tra cosiddetto Deep State statunitense, di cui Gates sembra essere portavoce, e Repubblica Popolare Cinese, che, estromettendo di fatto l’amministrazione statunitense in carica (all’interno di una lotta di potere tra lobbies statunitensi), sigla una sorta di patto di non aggressione atto a ridefinire assetti geopolitici, sfere d’influenza, accordi economici e forme di governo.
Il possibile, se non probabile, conflitto con la Repubblica Islamica dell’Iran e quella che appariva, fino a febbraio, come l’inevitabile resa dei conti per l’egemonia del secolo XXI tra USA e Repubblica Popolare Cinese, sembrano essersi trasformati in qualcosa d’altro.
La guerra, che doveva pur esserci (perché da sempre la guerra è indispensabile paradigma di governo da mettere in atto per ridefinire menti e corpi dei sudditi e assetti bio/geo/politici), non si manifesta quindi nella maniera tradizionale a cui siamo sempre stati abituati. Quello stato di cose bellico, così fecondo per la costruzione della paura, della vulnerabilità degli individui e della manipolazione delle masse (cari al potere di ogni tempo), si sta manifestando in maniera altra, come un nuovo tipo di conflitto, una guerra spettacolare a un nemico invisibile che è in ciascuno di noi, che in fondo siamo noi.
Ecco qual è la guerra, la Pandemic I, di cui parla Gates (invocando attraverso quel I, neanche tanto implicitamente, una guerra potenzialmente permanente). Uno stato bellico continuo nel quale quella paura e quella vulnerabilità e quindi la malleabilità, il controllo, e la disponibilità a tutto pur di sopravvivere, diverranno perenni strumenti di governo per chi è in grado di controllare il nuovo sovrano taumaturgo capace di dare la guarigione, ovvero la Scienza Tecnocratica.
Gates dice che siamo tutti dalla stessa parte contro il virus, ma trasformando ciascuno di noi in un potenziale untore diventiamo noi stessi i nemici da combattere: lungi dall’essere uniti in realtà siamo tutti divisi dal virus, il prossimo diventa il distante e la guerra civile è diffusa ovunque e concentrata in ciascuno.
Dopo aver separato l’umano dalla natura attraverso una millenaria frattura insanabile e aver così generato il bisogno inappagabile di salvaguardare un’idea di ambiente ormai totalmente altro dall’umanità, ora la civiltà occidentale opera una frattura interna all’umano stesso ed estromettendo da esso simbolicamente il virus (come se da sempre l’umano non convivesse con un numero indefinitamente alto di virus e batteri) genera così il bisogno altrettanto inappagabile di salvaguardare un’idea di umanità asettica e impermeabile ad ogni relazione potenzialmente pericolosa con l’esterno. I “dispositivi di protezione individuale” e il “distanziamento” ne sono l’emblema immediatamente visibile.
Opponendo tutta l’umanità al virus Gates sta anche rendendo simbolicamente impossibile ogni forma di dissenso perché chi si azzarda a contestare le misure atte a contenerlo può essere immediatamente accusato di disumanità e disfattismo (quando non di pazzia), che è esattamente ciò che sta accadendo a chi dissente. E allo stesso tempo Gates sta dicendo che nessuna amministrazione (e parla sopratutto alla sua) può disertare da questa chiamata alle armi.
La guerra fredda è iniziata ma non è, come qualcuno vorrebbe (e tra questi l’amministrazione Trump), tra Usa e Repubblica Popolare Cinese, ma tra il nuovo governo globale biotecnologico , o tecno-sanitario, in corso di riprogrammazione sul modello “Microsoft Cina” e la nostra stessa umanità.
Il terrore del virus, (che è riuscito laddove lo spettro del fondamentalismo islamico non ha portato a compimento fino in fondo la sua missione di demolizione delle sedicenti democrazie liberali) ha trionfato grazie alla gran cassa mediatica ma lo ha fatto facendo leva proprio sulla espropriazione dell’esperienza della sofferenza e della morte da parte della medicina moderna, di cui parla Ivan Illich in “Nemesi Medica” a proposito della iatrogenesi culturale.

Scrive Illich nel 1976:
“ La paura moderna della morte sguarnita di presidi sanitari fa apparire la vita come una corsa verso una zuffa finale, e ha spezzato in maniera unica la fiducia delle persone in se stesse. Ha spinto a credere che l’uomo ha ormai perso la capacità autonoma di riconoscere quando è arrivata la sua ora e di farsi carico della propria morte.”
“La medicina organizzata professionalmente è venuta assumendo la funzione di un’impresa morale dispotica tutta tesa a propagandare l’espansione industriale come una guerra contro ogni sofferenza. Ha così minato la capacità degli individui di far fronte alla propria realtà, di esprimere propri valori e di accettare il dolore e la menomazione inevitabili e spesso irrimediabili, la decadenza e la morte.”
“ Le nostre principali istituzioni rappresentano un gigantesco programma di difesa che nel nome dell'<<umanità>> fa guerra agli agenti e ai gruppi portatori di morte. Si tratta di una guerra totale. Non soltanto la medicina, ma l’assistenza sociale, gli aiuti internazionali, i programmi di sviluppo, sono tutti impegnati in questa lotta. Partecipano alla crociata le burocrazie ideologiche di tutti i colori. La rivoluzione, la repressione, persino le guerre civili e internazionali sono giustificate se hanno lo scopo di abbattere chi sia accusabile di produrre e tollerare senza motivo la malattia e la morte.”
“ La società, agendo attraverso il sistema medico, decide quando e dopo quali offese e mutilazioni dovrà morire. La medicalizzazione della società ha posto fine all’epoca della morte naturale. L’uomo occidentale ha perso il diritto di presiedere all’atto di morire. La salute, cioè il potere di reagire autonomamente, è stata espropriata fino all’ultimo respiro. La morte tecnica ha prevalso sul morire. La morte meccanica ha vinto e distrutto tutte le altre morti.”

È impossibile non sentire l’eco delle parole di Illich nella dichiarazione di guerra di Gates a quella malattia mortale che è l’umano. Il nemico recondito che si cela dietro il virus è allora la morte stessa, o meglio l’atto del nostro morire, quella menomazione vergognosa che abbiamo imparato a ospedalizzare, tecnicizzare, medicalizzare fino a svuotarla di senso e di umanità.
E come in ogni guerra che si rispetti, l’innovazione tecnologica gioca anche qui un ruolo fondamentale e diventa motore della guerra stessa. Per questo Gates prosegue il suo preambolo proclamando che la chiave per “limitare i danni”, in attesa della soluzione finale, il vaccino, è “l’innovazione globale”, ovvero quel grande esperimento di bioingegneria psicosociale fatto di segregazioni, distanziamenti, test, e tracciamenti che stiamo vivendo.
Se sovrano è colui che decide dello stato di eccezione, sovrano è colui che ne può decretare la fine. E Gates ci informa che non possediamo ancora tutte le innovazioni scientifiche necessarie per far ripartire l’economia. Sovrano è colui che produrrà, gestirà e distribuirà queste innovazioni scientifiche, decidendo così quando e come arrestare il sistema o riavviarlo.

Crescita esponenziale e declino
Nella prima fase della pandemia, abbiamo assistito alla diffusione esponenziale in un grande numero di paesi, iniziando dalla Cina e poi, attraverso l’Asia, l’Europa e gli Stati Uniti. Il numero di contagi raddoppiava molte volte ogni mese. Se il comportamento delle persone non fosse cambiato, tutta la popolazione sarebbe stata contagiata. Cambiando il comportamento, molti paesi hanno ottenuto che la curva dei contagi si stabilizzasse e iniziasse poi a calare.
La crescita esponenziale non è intuitiva. Se si dice che il 2 per cento della popolazione è contagiata e che questo raddoppierà ogni 8 giorni, la maggior parte delle persone non si immagina che in 40 giorni la maggioranza della popolazione sia contagiata. Il grande beneficio del cambiamento delle abitudini è il ridurre così marcatamente la percentuale dei contagi che invece di raddoppiare ogni 8 giorni, ogni 8 giorni cala.
Noi usiamo qualcosa che si chiama la percentuale di riproduzione o R0, per calcolare quanti nuovi contagi sono causati da un precedente contagio. R0 è difficile da misurare, ma noi sappiamo che è sotto 1.0 quando il numero dei casi cala e sopra 1.0 quando il numero dei casi aumenta. E quella che può sembrare una piccola differenza nell’ R0 può portare a enormi cambiamenti.
Se ogni contagio va dal causare 2,0 casi al causare 0,7 contagi, allora dopo 40 giorni si avranno solo 1/6 delle infezioni invece che 32 volte di più. E cioè 192 volte meno casi.
Questa è un’altra cosa a cui pensare: se si inizia con 100 infezioni in una comunità, dopo 40 giorni si potranno avere 17 contagi all’R0 più basso e 3200 a quello più alto. Gli esperti stanno dibattendo ora proprio di quanto a lungo tenere l’R0 molto basso per fare scendere il numero dei casi prima che inizi la riapertura.
Il declino esponenziale è ancora meno intuitivo. Molte persone saranno stupite del come in molti luoghi si passerà dall’avere gli ospedali sovraccaricati in aprile all’avere un sacco di letti vuoti in luglio. Il colpo di frusta provocherà confusione ma è inevitabile data la natura esponenziale del contagio. All’avvicinarsi dell’estate, alcuni luoghi che mantengono il cambiamento di comportamento esperiranno un declino esponenziale. Comunque, nel momento in cui il comportamento ritorna normale, alcuni luoghi continueranno a singhiozzo con nuclei persistenti di contagio e alcuni torneranno alla crescita esponenziale. Il quadro sarà più complesso di quello che è oggi, con molta eterogeneità.
Il cambiamento del comportamento è un’argomentazione utilizzata ossessivamente da media e governanti fin dai primi giorni successivi alla dichiarazione dello stato di emergenza.
Al di là del fatto che è difficilmente dimostrabile che vi sia una correlazione tra questo cambiamento del comportamento e la stabilizzazione e il declino della curva dei contagi (in questo possono contare tanti fattori tra cui l’alzarsi delle temperature e l’indebolirsi del virus stesso), interessa piuttosto far notare che questo cambiamento del comportamento è stato presentato fin da subito in maniera troppo insistente, quasi fosse una preparazione a un mutamento antropologico che in parte era già in atto prima dell’evento Covid-19.
Questo cambiamento del comportamento, qui non meglio specificato, ha significato per miliardi di persone lo stravolgimento delle proprie vite, la segregazione coatta nelle abitazioni, la sospensione a tempo indeterminato di libertà fondamentali, la telematizzazione ulteriore delle relazioni, del lavoro, della conoscenza e, attraverso il principio del “distanziamento sociale”, l’imporsi di un nuovo livello di intensità nel regime di separazione che già prima divideva gli umani.
La forma di vita che ci si prospetta dietro questo eufemistico “cambiamento del comportamento” è una forma di vita ancora più separata dalla natura e dal prossimo e ancora più catturata dai dispositivi di controllo del regime di “biosicurezza” che va delineandosi. In virtù di questo riesce difficile pensare, come alcuni auspicano, che questo “cambiamento del comportamento” di cui parla Gates, possa essere trasformato da molte persone, nell’istante di verità che aprirebbe, in un cambiamento della propria forma di vita in chiave destituente. Ciò che stiamo osservando in questa fase di normalizzazione dei dispositivi di emergenza è piuttosto l’adeguamento diffuso, benché non totale, ai dispositivi atti a realizzare questo mutamento antropologico.

Abbiamo reagito in maniera sproporzionata?
È ragionevole che le persone si chiedano se il cambiamento di comportamento fosse necessario. La risposta è si, in modo schiacciante. Ci sarebbero potute essere poche aree nelle quali il numero di casi non avrebbe mai raggiunto grandi numeri di contagi e morti, ma non c’era modo di sapere in anticipo quali sarebbero state queste aree. Il cambiamento ci ha permesso di evitare molti milioni di morti e un carico estremo degli ospedali, che avrebbe anche aumentato le morti per altre cause.
Il costo economico che è stato pagato per ridurre il tasso di contagio è senza precedenti. Il crollo dell’occupazione è stato ed è più veloce di ogni altra cosa di cui abbiamo avuto esperienza. Interi settori dell’economia sono chiusi. È importante capire che questo non è solo il risultato delle politiche di governo che hanno limitato le attività. Quando le persone sentono che una malattia infettiva si sta diffondendo largamente, cambiano il proprio comportamento. Non c’è mai stata scelta: non si poteva avere nel 2020 la stessa economia forte del 2019.
Molte persone avrebbero scelto di non andare al lavoro o al ristorante o a far viaggi, per evitare di contagiarsi o contagiare le persone più anziane della loro famiglia. I dettami del governo si sono assicurati che abbastanza persone cambiassero il proprio comportamento per portare la percentuale di riproduzione sotto 1.0, che è quella necessaria per avere poi la possibilità di riaprire alcune attività.
I paesi più ricchi stanno vedendo una riduzione dei contagi e stanno pensando a come riaprire.
Anche se un governo allentasse le restrizioni al comportamento, non tutti riprenderebbero immediatamente le attività permesse. Ci sarà bisogno di molta buona comunicazione per far capire alle persone quali sono i rischi e per fare in modo che si sentano a proprio agio a tornare a lavoro o a scuola. Sarà un processo graduale, con alcune persone che immediatamente faranno tutto ciò che è permesso e altre che lo faranno più lentamente. Alcuni datori di lavoro necessiteranno di un certo numero di mesi prima che possano richiedere ai dipendenti di tornare a lavorare. Alcune persone vorranno che le restrizioni siano rimosse più rapidamente e potranno scegliere di infrangere le regole, il che metterà tutti a rischio. I leader dovrebbero incoraggiare l’obbedienza.

Gates si chiede retoricamente in questo paragrafo se non ci sia stata una reazione sproporzionata e in poche righe risolve la questione senza portare alcuna prova sostanziata alle sua tesi.
Di fatto interi paesi sono stati paralizzati preventivamente in base alla “logica del peggio”, e molto spesso attraverso misure totalmente illogiche, irrazionali e dannose, in virtù di un altissimo rischio ipotetico che non si è realizzato nemmeno dove le misure sono state blande o quasi nulle.
Gates cita poi il costo economico del cosiddetto “lock down” e lo definisce senza precedenti e sembra voler convincere chi legge che in assenza delle misure estreme e liberticide adottate dai governi le persone si sarebbero comportate ugualmente e che quindi la grave crisi economica sarebbe comunque stata inevitabile.
Sappiamo che il capitalismo ha bisogno di periodiche crisi per potersi rigenerare e risulta difficile pensare che l’attuale crisi provocata dell’evento Covid-19 non sia stata in alcun modo voluta, se non programmata, e ora gestita con enorme profitto, da alcuni grandi attori del capitalismo transnazionale.
Più che un “lock down”, uno “shock down”, una “economia dello shock”, un “ctrl alt canc” del sistema capitalista per farlo ripartire con ancora più rapacità, tagliando senza pietà il superfluo e lanciando, col beneplacito della finanza, alcuni settori chiave (farmaceutico, tecnologico, biotecnologico) a traino del grande calcolatore-mondo. Saranno loro, essendo determinanti nel controllo del virus e quindi potendo decidere sulla fine dell’emergenza, a guidare e a controllare di fatto tutti gli altri settori.
Nel “costo economico” di Gates non c’è alcun riferimento al costo sociale del “lock down”, che avrà gravi ricadute anche sugli stessi sistemi sanitari in nome dei quali sono state giustificate le misure di contenimento. La crisi economica e sociale può diventare per molte persone crisi esistenziale e porterà con sé inevitabilmente, e ha già iniziato a farlo, depressione, angoscia, malattie e suicidi.
Gates accenna poi alla questione della “riapertura”, soffermandosi sulle diverse reazioni psicologiche ad essa. Predicendo che “anche se un governo allentasse le restrizioni al comportamento, non tutti riprenderebbero immediatamente le attività permesse” inquadra con esattezza un fenomeno sociale già in corso che si potrebbe chiamare “lock down interiore”.
Il “terrore sanitario” interiorizzato ha fatto sì che molte persone continuino a rifiutare come pericolose o inutili le dosi di libertà loro concesse e ad interpretare in maniera più restrittiva le disposizioni dei governi. Che bisogno c’ è di uscire di casa esponendosi a mille rischi di varia natura quando si possono vedere gli amici in videochiamata?
All’estremo opposto dei comportamenti, Gates punta il dito contro i trasgressori, gli untori che infrangendo le regole metteranno tutti a rischio e su cui ricadrà la responsabilità di nuove possibili chiusure. Gates conclude il paragrafo dicendo eufemisticamente che i governanti “dovrebbero incoraggiare l’obbedienza”. Conosciamo con quali misure fino ad ora i governanti italiani hanno, attraverso lo stato di polizia, “incoraggiato l’obbedienza”.
Per incoraggiare l’obbedienza, peraltro già introiettata da molti, nell’attuale fase di normalizzazione dei dispositivi di emergenza si ventila in Italia l’ipotesi della costituzione di un corpo volontario di vigilanti che avranno tra i loro compiti quello di segnalare alle forze di polizia eventuali assembramenti e inosservanze del distanziamento. Una sorta di corpo civico della delazione, pratica già tristemente diffusa, ancorché informale, nella prima fase acuta dell’evento Covid-19.

continua

1 commento:

  1. https://www.nogeoingegneria.com/motivazioni/sociale/ursula-von-der-leyen-vuole-unidentita-digitale-unica-per-tutti-i-cittadini-dellue/

    https://www.detoxed.info/quebec-premier-legault-mandato-digitale/

    https://www.ilmessaggero.it/economia/news/inps_spid_cosa_cambia_1_ottobre_pensionati_ultime_notizie-5497503.html

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