martedì 16 agosto 2022

FLAT TAX, OVVERO, L'ULTIMA FREGATURA DEL NEOLIBERISMO parte 1°

                       

Alle elezioni vincerà inevitabilmente la destra e sarà una iattura per l'economia del nostro paese.
Sarebbe una iattura anche se vincesse il centrosinistra, ovviamente, ma ora è tempo di parlare dei futuri vincitori che vorranno imporre la sciagurata FLAT TAX che, pochi o nessuno, conosce nel dettaglio. Vogliamo accettare magicamente il nuovo avventurismo neocon, come fosse la panacea ai mali nostrani, senza comprenderne a fondo le conseguenze per i lavoratori e la stragrande maggioranza di cittadini che vedrebbero nel tempo alzarsi massivamente i costi dei servizi sociali, avvantaggiando solo i ceti alti e medio-alti? NO!
Negli ultimi decenni il Re era nudo, si potevano scorgere le sue oscene forme e comprenderne la natura, però i regnanti erano da tempo corsi ai ripari, teorizzando negli ambienti della destra noeliberista più retriva la soluzione ed assicurarsi la fede dei propri sudditi.
La soluzione è rappresentata dalla Flat Tax, lo zuccherino magico che ammalia i cittadini nella speranza possano pagare meno tasse senza che gli venga spiegato chi paga alla fine il conto. Il conto lo pagano sempre gli stessi.
Ricordiamo che, attualmente, le grandi Corporation e le Multinazionali che voi tanto odiate, sono soggette ad una flat tax speciale, questo per darvi il metro della atroce fregatura che si sta per materializzare a vostro danno, da sommare a tutto il resto che abbiamo subito e subiremo in campo economico, salariale e sui diritti costituzionali.
Leggiamo quindi questo illuminante articolo de LAVOCE che ben spiega come funziona o non funziona la flat tax nei paesi occidentali e perché:

Perché la flat tax non funziona nei paesi occidentali:
(di MASSIMO BALDINI e LEONZIO RIZZO)
LAVOCE.INFO

Il modello della flat tax si è affermato finora in paesi con livelli di Pil molto inferiori a quelli dell’Europa occidentale, dove anche la domanda di spesa sociale è nettamente più bassa. Una sua introduzione in Italia richiederebbe tagli di spesa.
In generale, la flat tax è un’imposta sul reddito con aliquota unica, resa progressiva da una deduzione (riduzione dell’imponibile) o da una detrazione (riduzione dell’imposta) concessa a tutti i contribuenti. Il modello ha finora trovato applicazione in alcuni piccoli stati, spesso paradisi fiscali (ad esempio, Jersey, Hong Kong, Andorra e Belize), e soprattutto in molti paesi dell’Europa centro-orientale che un tempo facevano parte del blocco sovietico. 
Si tratta di un modello adattabile ai paesi occidentali?
L’economista americano Peter Lindert, nel suo libro Growing Public del 2004, sostiene che durante il Novecento la quota della spesa sociale sul Pil è aumentata per tre principali ragioni: l’aumento del reddito medio, l’invecchiamento della popolazione e l’espansione della democrazia. 
Nazioni più democratiche, con maggiore livello di reddito o con più anziani dovrebbero quindi avere una pressione fiscale superiore a quella di nazioni più arretrate sotto questi aspetti.
E infatti, per quanto riguarda il reddito medio, i paesi con flat tax si trovano a uno stadio di sviluppo economico ancora molto diverso da quello dei paesi occidentali, malgrado i progressi degli ultimi venti anni. 
La tabella compara alcuni indicatori – relativi al 2016 – dei paesi dell’Europa orientale con flat tax e delle principali economie dell’Europa dell’Ovest. 
Nel primo gruppo il Pil pro-capite va da un minimo di 3.765 euro per la Georgia a un massimo di 17.156 per l’Estonia, che è comunque inferiore al valore più basso – della Grecia – tra i Pil pro-capite degli stati del secondo gruppo.
Stadi di sviluppo economico così lontani, come suggerisce Lindert, producono anche una diversa domanda di spesa pubblica in generale e sociale in particolare. L’incidenza della spesa pubblica è infatti mediamente del 35 per cento nei paesi europei con flat tax, di quasi 12 punti percentuali inferiore alla media di quelli dell’Europa occidentale con imposta progressiva sul reddito. 
Anche la spesa sociale – che nella tabella comprende pensioni, sanità e assistenza – è decisamente più alta nell’Europa dell’Ovest. È dunque logico che anche le entrate abbiano un’incidenza sul Pil assai inferiore (mediamente di 10 punti di Pil) nei paesi orientali.
Certo sarebbe possibile immaginare una flat tax con elevata aliquota, in grado di raccogliere un gettito simile a quello delle imposte progressive per scaglioni, ma sia nel dibattito italiano che nei paesi dell’Est la flat tax si caratterizza di solito per un’aliquota molto bassa.

Una flat tax a bassa aliquota riesce – assieme alle altre imposte – a finanziare i bisogni di spesa sociale di questi paesi proprio perché sono ancora contenuti, in linea con il basso livello del Pil. 
Dove invece la spesa pubblica è molto elevata, come in Italia, l’adozione di una flat tax ad aliquote basse potrebbe rendere impossibile finanziare gli attuali livelli di spesa pubblica e costringere a tagli significativi. In molti dei paesi che hanno optato per la flat tax il gettito dell’imposta sul reddito è diminuito dopo il passaggio all’aliquota unica, con l’eccezione della Russia, anche se in quel paese la tenuta delle entrate sembra sia da attribuire ad altri fattori concomitanti (la ripresa del ciclo economico, la maggiore severità del contrasto all’evasione).
Di per sé, una riduzione della spesa di qualche punto di Pil potrebbe non essere un male, visto che probabilmente una delle cause del declino economico italiano sta nella continua espansione della spesa pubblica e, a ruota, delle entrate necessarie per finanziarla. Non sempre, però, c’è la consapevolezza che il dibattito sulla flat tax ne richiederebbe necessariamente anche un altro, non meno importante, sul livello ottimale di spesa pubblica.

Il modello della flat tax sembra dunque essersi affermato finora in paesi con livelli di Pil molto inferiori a quelli dell’Europa occidentale, con conseguente minore quota di spesa sociale. In futuro, tuttavia, almeno due dei tre fattori indicati potrebbero spingere verso una crescita della spesa sociale, mettendo in crisi il sistema con flat tax ad aliquota bassa: se il Pil convergerà verso i livelli dell’Europa dell’Ovest e se l’invecchiamento della popolazione continuerà, i cittadini chiederanno un aumento della spesa sociale, soprattutto per pensioni e sanità.
Da un punto di vista politico, invece, i paesi con flat tax sono spesso democrazie con preoccupanti tendenze involutive, e in democrazie fragili c’è una minore domanda di spesa sociale. 
Quindi su questo aspetto c’è più incertezza. 
Ma un’evoluzione in senso più democratico potrebbe mettere in difficoltà la flat tax. 
Segnali di ripensamento cominciano già a vedersi, tanto che negli ultimi anni alcuni paesi l’hanno abbandonata, in genere passando dall’aliquota unica ad uno schema con due o tre aliquote. 
La Serbia è ad esempio passata dall’aliquota unica del 14% a tre aliquote: 10%-20%-35%, la Repubblica Slovacca da 19% a 19%-25%, la Rep. Ceca da 15% a 15%-22%, l’Albania da 10% a 10%-25%, la Lettonia dal 25% su tutti i redditi a tre aliquote (20%-23%-31.4%). 
Rimangono con la flat tax Russia, Estonia, Lituania, Romania, Macedonia, Bosnia-Erzegovina, Bielorussia, Bulgaria, Georgia, Ucraina e Ungheria. La Polonia, l’economia più importante dell’Europa orientale dopo la Russia, non ha mai avuto la flat tax, ed ora ha due aliquote (18% e 32%).







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