CONTROPIANO.
ORG
di DANTE
BARONTINI
Abbiamo
scelto di pubblicare questo articolo, tratto dalla rivista
di intelligence dell'ex Sisde, Gnosis, per dare una scossa a una certa
mentalità “di sinistra” che ha rimosso completamente la percezione del
conflitto reale e delle sue forme concrete; e che riconosce l'agire
repressivo solo quando si manifesta platealmente con arresti, perquisizioni,
ecc.
Solo dopo che il danno è statosubìto, insomma.
Solo dopo che il danno è statosubìto, insomma.
In
questo testo si riassume sinteticamente una figura non nuovissima di
“infiltrato politico” che finora non aveva però avuto né menzione
ufficiale (tantomeno sulla stampa quotidiana), né riconoscimento o ammissione
d'esistenza da parte delle strutture ufficiali di spionaggio.
L'”agente di influenza” è del resto figura sfuggente già nella definizione (“attività condotta da soggetti, statuali o non, al fine di orientare a proprio vantaggio le opinioni di un individuo o di un gruppo”), ma concretissima nella sua azione.
L'”agente di influenza” è del resto figura sfuggente già nella definizione (“attività condotta da soggetti, statuali o non, al fine di orientare a proprio vantaggio le opinioni di un individuo o di un gruppo”), ma concretissima nella sua azione.
Il
ventaglio di applicazione di questa figura è immenso, praticamente senza
limiti. Può andare dall'”agente” (un singolo o un gruppo) che cerca di
condizionare la politica di uno Stato fino al più “normale” sbirro che si
infila in un gruppo, un collettivo, un centro sociale, per orientarne alcune
scelte, assumere informazioni che non viaggiano per telefono o Internet,
favorirne la disgregazione, ecc.
Una
figura che si complica ulteriormente quando le si affianca l'”agente di
influenza inconsapevole”, ovvero il cretino (singolo, gruppo, movimento,
partito) che fa spontaneamente ciò che interessa a un'entità statuale, senza
averne ricevuto alcun input.
Qui il terreno diventa immediatamente più politico che “spionistico”, con qualche aspetto comico ben espresso dalla battuta “vorrei sapere chi è il mandante delle cazzate che faccio”.
Tanto più se “il mandante” viene trovato magari strada facendo.
Un esempio? Beh, nella “sinistra italiana” - anche in quella “estremissima” - non ne mancano davvero.
Si può andare dalla Rifondazione bertinottiana a certi ambiti “centrosociali” che hanno offerto un facile fianco per “operazioni antiterrorismo” in cui eraquasi trasparente l'azione “organizzativa” di alcuni infiltrati dei servizi (non a caso usciti indenni dalla retata finale).
Qui il terreno diventa immediatamente più politico che “spionistico”, con qualche aspetto comico ben espresso dalla battuta “vorrei sapere chi è il mandante delle cazzate che faccio”.
Tanto più se “il mandante” viene trovato magari strada facendo.
Un esempio? Beh, nella “sinistra italiana” - anche in quella “estremissima” - non ne mancano davvero.
Si può andare dalla Rifondazione bertinottiana a certi ambiti “centrosociali” che hanno offerto un facile fianco per “operazioni antiterrorismo” in cui eraquasi trasparente l'azione “organizzativa” di alcuni infiltrati dei servizi (non a caso usciti indenni dalla retata finale).
In
gergo, questo tipo di attività complessa, dai contorni adattabili a ogni
contesto, viene chiamata “soft power” (o “smart power”), perché non mette
al primo posto – ma nemmeno l'esclude – l'uso della violenza statuale.
Naturalmente un'opera di infiltrazione in movimenti o gruppi di opposizione può
implicare arresti, torture, omicidi mirati; così come l'opera di digregazione e
isolamento di uno stato nemico può comportare sabotaggi
o attacchi militari. Ma l'enfasi principale è posta sull'informazione.
Del nemico si vuol sapere tutto, si vogliono mantenere sotto controllo tutti gli aspetti vitali che lo rendono un soggetto autonomo, indipendente, progettuale, attivo: un “nemico”, appunto, non un occasionale “problema” strategicamente irrilevante.
Del nemico si vuol sapere tutto, si vogliono mantenere sotto controllo tutti gli aspetti vitali che lo rendono un soggetto autonomo, indipendente, progettuale, attivo: un “nemico”, appunto, non un occasionale “problema” strategicamente irrilevante.
Da
questo articolo, insomma, è possibile vedere emergere – in controluce – una
macchina potente che accumula e centralizza informazione, sapere, conoscenza; e
lo fa per usarla in modo progettuale, scientificamente, per realizzare gli
obiettivi (tattici e/o strategici) che si pone.
Una macchina che dura nel tempo, al di là della vita dei singoli “agenti” o dirigenti. Un'istituzione, insomma, delegata alla guerra perpetua contro altre istituzioni percepite o qualificate come “nemiche”.
Una macchina che dura nel tempo, al di là della vita dei singoli “agenti” o dirigenti. Un'istituzione, insomma, delegata alla guerra perpetua contro altre istituzioni percepite o qualificate come “nemiche”.
Davanti
a questa macchina appare davvero bambinesca quella risposta che molti
“compagni” si danno: “ma io non ho niente da nascondere...”.
L'altro
elemento rilevante che emerge è l'impotenza dei singoli (individui, collettivi,
gruppi) di fronte all'agire di questa macchina.
Non c'è un criterio “di protezione” che valga in qualsiasi caso; non c'è né può esistere un “fiuto” individuale. La conoscenza individuale, anche dell'attivista più scaltro ed esperto, è nulla inconfronto alla potenza sistemica di una macchina istituzionale.
I partiti rivoluzionari ne sono sempre stati consapevoli; anzi, hanno rappresentato la risposta – altrettanto istituzionale, ovvero complessa, regolata, centralizzata e ramificata – alla serietà delconflitto.
Non c'è un criterio “di protezione” che valga in qualsiasi caso; non c'è né può esistere un “fiuto” individuale. La conoscenza individuale, anche dell'attivista più scaltro ed esperto, è nulla inconfronto alla potenza sistemica di una macchina istituzionale.
I partiti rivoluzionari ne sono sempre stati consapevoli; anzi, hanno rappresentato la risposta – altrettanto istituzionale, ovvero complessa, regolata, centralizzata e ramificata – alla serietà delconflitto.
Ultima
considerazione, o chiave di lettura suggerita.
Il primo obiettivo del soft power, è teorizzato con chiarezza in questo articolo (“attività d’intelligence – l’ingerenza, la disinformazione e l’intossicazione – impiegate in modo coordinato e combinato per pianificare e condurre operazioni offensive finalizzate alla destabilizzazione di uno Stato avversario (o di altra struttura organizzata”, “identificazione dei bersagli da raggiungere, che possono essere singoli (es. un leader politico, un comandante militare, ecc.), gruppi selezionati (la redazione di un giornale, la dirigenza di un partito politico, il management di un’azienda, ecc.) o gruppi più estesi (un movimento di pensiero, l’opinione pubblica di un paese, ecc.”) è la disgregazione della struttura nemica presa a bersaglio.
Il primo obiettivo del soft power, è teorizzato con chiarezza in questo articolo (“attività d’intelligence – l’ingerenza, la disinformazione e l’intossicazione – impiegate in modo coordinato e combinato per pianificare e condurre operazioni offensive finalizzate alla destabilizzazione di uno Stato avversario (o di altra struttura organizzata”, “identificazione dei bersagli da raggiungere, che possono essere singoli (es. un leader politico, un comandante militare, ecc.), gruppi selezionati (la redazione di un giornale, la dirigenza di un partito politico, il management di un’azienda, ecc.) o gruppi più estesi (un movimento di pensiero, l’opinione pubblica di un paese, ecc.”) è la disgregazione della struttura nemica presa a bersaglio.
Nel
caso di un partito o di un movimento politico di opposizione, non
necessariamente rivoluzionario (ma a maggior ragione se questo si pone
l'obiettivo di un cambiamento reale e radicale dello “stato di cose presente”),
è facile capire come la divisione perenne sia non tanto un “regalo” al nemico,
quanto la sua ragione di vita. E come uno stile di confronto interno in cui
“ognuno dice la sua”, senz'altro obiettivo che l'esibizione di sé, sia il
meglio che il soft power capitalista possa desiderare. In pratica, una pletora
di “agenti d'influenza inconsapevoli”, totalmente gratuita.
Buona
riflessione...
*****
8
luglio 2013 di Alfonso Montagnese
Il
soft power[2] è una modalità di espressione del potere, lontana
dalle forme classiche di manifestazione della forza, che può consentire a uno
Stato, prevalentemente attraverso il ricorso alle attività di influenza[3], di orientare e modellare la realtà secondo i propri
obiettivi strategici e di proteggere gli interessi vitali della propria
comunità.
Ma
cosa si intende per influenza?
Come si pianifica e si conduce una campagna di influenza?
In che modo e in quale misura le attività di influenza possono supportare efficacemente l’azione governativa, con particolare riguardo a quella connessa alla gestione della sicurezza nazionale e alla tutela dell’interesse del sistema paese? E, soprattutto, chi sono gli attori protagonisti di tali attività e quale rapporto lega l’intelligence alle operazioni di influenza?
Con questo contributo si proverà a rispondere sinteticamente a queste e ad altre domande, nonché a stimolare la discussione riguardo all’impiego dell’influenza per scopi di sicurezza e difesa nazionale e alla necessità di potenziare tali capacità nell’ambito dell’architettura istituzionale della Repubblica.
Come si pianifica e si conduce una campagna di influenza?
In che modo e in quale misura le attività di influenza possono supportare efficacemente l’azione governativa, con particolare riguardo a quella connessa alla gestione della sicurezza nazionale e alla tutela dell’interesse del sistema paese? E, soprattutto, chi sono gli attori protagonisti di tali attività e quale rapporto lega l’intelligence alle operazioni di influenza?
Con questo contributo si proverà a rispondere sinteticamente a queste e ad altre domande, nonché a stimolare la discussione riguardo all’impiego dell’influenza per scopi di sicurezza e difesa nazionale e alla necessità di potenziare tali capacità nell’ambito dell’architettura istituzionale della Repubblica.
L’influenza
Il
Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS) ha definito l’influenza
quale “attività condotta da soggetti, statuali o non, al fine di orientare a
proprio vantaggio le opinioni di un individuo o di un gruppo”[4]. Questa sintetica definizione, elaborata con finalità
preminentemente divulgative[5], tratteggia le prime linee essenziali dell’influenza.
È possibile acquisire qualche elemento supplementare, integrando la citata definizione con un altro lemma a essa espressamente collegato[6], quello relativo all’information warfare (IW), che è qualificato dal DIS come un “concetto basato sull’idea che quello informativo sia un vero e proprio dominio in cui tra Stati ovvero tra Stati e attori non statuali, si gioca un confronto che vede le informazioni costituire, ad un tempo, strumento di offesa e obiettivo.
In questo contesto, il termine indica le azioni intraprese al fine di acquisire superiorità nel dominio informativo minando i sistemi, i processi e il patrimonio informativo dell’avversario e difendendo al contempo i propri sistemi e le proprie reti nonché, più in generale, l’impiego delle informazioni ai fini del perseguimento degli interessi nazionali. [L’IW] include anche una serie di attività tipiche della tradizione intelligence – ma che oggi possono avvalersi delle potenzialità offerte dal progresso tecnologico – quali [...] l’influenza”[7].
L’analisi di quest’ultima definizione, oltre a far emergere la centralità delle informazioni, consente di affermare che l’influenza è un’attività tipica degli organismi d’intelligencemediante la quale due o più attori – statuali e non – si confrontanocondotta nell’ambito del dominio informativo, che ne diviene il «terreno di battaglia»incentrata sulle informazioni, impiegate (anche) come strumenti offensivi che può esplicarsi efficacemente anche attraverso l’utilizzazione delle nuove tecnologie.
È possibile acquisire qualche elemento supplementare, integrando la citata definizione con un altro lemma a essa espressamente collegato[6], quello relativo all’information warfare (IW), che è qualificato dal DIS come un “concetto basato sull’idea che quello informativo sia un vero e proprio dominio in cui tra Stati ovvero tra Stati e attori non statuali, si gioca un confronto che vede le informazioni costituire, ad un tempo, strumento di offesa e obiettivo.
In questo contesto, il termine indica le azioni intraprese al fine di acquisire superiorità nel dominio informativo minando i sistemi, i processi e il patrimonio informativo dell’avversario e difendendo al contempo i propri sistemi e le proprie reti nonché, più in generale, l’impiego delle informazioni ai fini del perseguimento degli interessi nazionali. [L’IW] include anche una serie di attività tipiche della tradizione intelligence – ma che oggi possono avvalersi delle potenzialità offerte dal progresso tecnologico – quali [...] l’influenza”[7].
L’analisi di quest’ultima definizione, oltre a far emergere la centralità delle informazioni, consente di affermare che l’influenza è un’attività tipica degli organismi d’intelligencemediante la quale due o più attori – statuali e non – si confrontanocondotta nell’ambito del dominio informativo, che ne diviene il «terreno di battaglia»incentrata sulle informazioni, impiegate (anche) come strumenti offensivi che può esplicarsi efficacemente anche attraverso l’utilizzazione delle nuove tecnologie.
Il
Gen. Mario Maccono, già Direttore della Scuola di Addestramento del SISMi, e il
Gen. Maurizio Navarra, già funzionario del SISDe, hanno posto in risalto la
complementarietà tra l’influenza ealtre tipiche attività d’intelligence –
l’ingerenza, la disinformazione e l’intossicazione – impiegate in modo
coordinato e combinato per pianificare e condurre operazioni offensive[8] finalizzate alla destabilizzazione[9] di uno Stato avversario (o di altra struttura
organizzata).
L’influenza,
in definitiva, si fonda sull’impiego mirato delle informazioni per generare
effetti cognitivi e psicologici in grado di alterare le percezioni e di
condizionare comportamenti, attitudini e opinioni.
Tale processo di orientamento può essere sviluppato sia mediante l’uso di informazioni totalmente vere, facendo prevalere i fattori di credibilità e attraenza, sia mediante il ricorso a tecniche di deception [10], privilegiando gli aspetti manipolativi e ingannevoli.
Tale processo di orientamento può essere sviluppato sia mediante l’uso di informazioni totalmente vere, facendo prevalere i fattori di credibilità e attraenza, sia mediante il ricorso a tecniche di deception [10], privilegiando gli aspetti manipolativi e ingannevoli.
L’agente
di influenza
L’influenza,
in particolar modo quella di livello strategico, si articola per mezzo
di un complesso «ecosistema», composto da una vasta gamma di strutture
organizzate[11], le cui competenze non sono sempre marcate da confini
rigidi e le cui funzioni effettive non appaiono facilmente
riconoscibili, e singoli individui, alcuni dei quali non sempre
consapevoli del loro ruolo[12] e delle finalità ultime del loro agire.
I principali attori coinvolti nelle influence operations sono gli agenti di influenza e i servizi di informazione e sicurezza.
Ma chi sono gli agenti di influenza? E in che rapporto sono con gli apparati d’intelligence?
I principali attori coinvolti nelle influence operations sono gli agenti di influenza e i servizi di informazione e sicurezza.
Ma chi sono gli agenti di influenza? E in che rapporto sono con gli apparati d’intelligence?
Per
il Gen. Ambrogio Viviani, già responsabile del controspionaggio del
SISMi, l’agente di influenza è “un agente segreto che opera sotto mentite
spoglie ma apertamente, senza commettere alcun reato, diffondendo idee,
sostenendo teorie, dirigendo movimenti di opinione, secondo le direttive
ricevute e seguite allo scopo di conseguire determinati effetti nell’ambiente
avversario in funzione degli obiettivi della politica del proprio Paese.
[Ma] è anche colui che per convinzione personale agisce nello stesso modo, senza rendersi conto di essere […] manipolato da altri e quindi senza rendersi conto, magari in buona fede, di operare per interessi estranei ed esterni e addirittura in contrasto con i propri e con quelli del proprio Paese”[13].
[Ma] è anche colui che per convinzione personale agisce nello stesso modo, senza rendersi conto di essere […] manipolato da altri e quindi senza rendersi conto, magari in buona fede, di operare per interessi estranei ed esterni e addirittura in contrasto con i propri e con quelli del proprio Paese”[13].
Walter
Raymond, politologo e docente universitario presso la Virginia Commonwealth
University, ha incluso gli agenti d’influenza nelle risorse della human
intelligence (HUMINT), definendoli come “persons with influence in one country
secretly promoting the interests of another”[14].
E proprio tenuto conto di quella che deve essere la loro principale dote, cioè la capacità di influenzare, Francesco Cossiga ha circoscritto il bacino dal quale gli agenti di influenza possono essere reclutati: “quadri dirigenti di un Paese o «aiutati» a salire ad alti livelli della vita politica, burocratica, scientifica, finanziaria, bancaria o attraverso individui di particolare autorevolezza personale, culturale e morale”[15].
E proprio tenuto conto di quella che deve essere la loro principale dote, cioè la capacità di influenzare, Francesco Cossiga ha circoscritto il bacino dal quale gli agenti di influenza possono essere reclutati: “quadri dirigenti di un Paese o «aiutati» a salire ad alti livelli della vita politica, burocratica, scientifica, finanziaria, bancaria o attraverso individui di particolare autorevolezza personale, culturale e morale”[15].
Secondo
Abram Shulsky e Gary Schmitt la via più semplice e diretta per condizionare i
processi decisionali e i comportamenti degli avversari consiste nell’impiegare
un agent of influence, che è definito “an agent whose task is to influence
directly government policy rather than to collect information”[16].
Dalla descrizione offerta dai due esperti statunitensi emerge un confine tra l’influenza e l’attività informativa pura, che, in linea teorica, è ben definito e marcato, mentre, nella realtà operativa, diviene permeabile e sfumato: l’agente di influenza, infatti, non ha necessariamente il compito esclusivo di operare nel campo dell’influenza ma può anche occuparsi, contemporaneamente, di raccolta informativa.
Tale potenziale duplicità di incarico discende dalla posizione che spesso l’agente di influenza ricopre all’interno dell’establishment dell’avversario: una posizione privilegiata, che, oltre a consentirgli di manipolare direttamente le percezioni della controparte e orientarne i comportamenti e le decisioni, gli permette di avere accesso a informazioni sensibili e, talvolta, fondamentali per la stessa pianificazione ed esecuzione delle influence operations. Ancora una volta affiora la stretta interconnessione tra intelligence e influenza. Shulsky e Schmitt, inoltre, hanno chiarito che l’agente di influenza non è sempre legato da un rapporto organico con l’apparato d’intelligence per cui opera e che frequentemente la relazione tra l’agente e la struttura è di natura flessibile e varia a seconda delle circostanze e del contesto operativo in cui l’agente stesso è impiegato.
Dalla descrizione offerta dai due esperti statunitensi emerge un confine tra l’influenza e l’attività informativa pura, che, in linea teorica, è ben definito e marcato, mentre, nella realtà operativa, diviene permeabile e sfumato: l’agente di influenza, infatti, non ha necessariamente il compito esclusivo di operare nel campo dell’influenza ma può anche occuparsi, contemporaneamente, di raccolta informativa.
Tale potenziale duplicità di incarico discende dalla posizione che spesso l’agente di influenza ricopre all’interno dell’establishment dell’avversario: una posizione privilegiata, che, oltre a consentirgli di manipolare direttamente le percezioni della controparte e orientarne i comportamenti e le decisioni, gli permette di avere accesso a informazioni sensibili e, talvolta, fondamentali per la stessa pianificazione ed esecuzione delle influence operations. Ancora una volta affiora la stretta interconnessione tra intelligence e influenza. Shulsky e Schmitt, inoltre, hanno chiarito che l’agente di influenza non è sempre legato da un rapporto organico con l’apparato d’intelligence per cui opera e che frequentemente la relazione tra l’agente e la struttura è di natura flessibile e varia a seconda delle circostanze e del contesto operativo in cui l’agente stesso è impiegato.
Angelo
Codevilla, docente di relazioni internazionali presso l’università di Boston e
già membro del Select Committee on Intelligence del Senato degli Stati Uniti,
ha dipinto gli agenti di influenza come “allies in the councils of a foreign
power”[17], mediante i quali uno Stato può esprimere le sue capacità
di political warfare[18]. L’esperto statunitense, inoltre, ha osservato che:
1- gli agenti di influenza non
sono meri esecutori di ordini e non sono motivati, in genere, da ricompense di
tipo economico
2- sebbene le attività
poste in essere dagli agenti di influenza siano tendenzialmente condotte in
modo palese (in quanto, per poter influenzare altri soggetti, gli agenti devono
necessariamente esternare i propri sentimenti, comportamenti e opinioni), le procedure
di coordinamento e i canali di comunicazione con il servizio d’intelligence a
cui essi riportano sono prevalentemente occulti (al fine di non rendere
conoscibile la natura effettiva e lo scopo reale della loro azione)
3- l’impiego eccessivo degli
agenti di influenza comporta per gli stessi un rischio di sovraesposizione e un
incremento delle probabilità che essi siano individuati dagli apparati di
informazione e sicurezza dell’avversario
4- il ricorso agli agenti di
influenza deve essere preceduto da un’attenta attività di pianificazione e
dalla predisposizione di un chiaro e definito programma da affidare loro,
soprattutto se gli stessi sono destinati, nel lungo termine, a ricoprire
posizioni di vertice nell’establishment dell’avversario
5- le operazioni di influenza
possono garantire validi risultati solo se efficacemente supportate da attività
di intelligence (volte a comprendere il quadro operativo in cui l’operazione si
dovrà svolgere e a valutare le capacità dell’agente di influenza) e di controspionaggio (finalizzate
a verificare le effettive intenzioni dell’agent of influence nonché a
misurarne il livello di reale collaborazione e di lealtà)
Esempi
di impiego degli agenti di influenza
Per
comprendere meglio la capacità che gli agenti di influenza possono avere nel
determinare gli eventi, o comunque, nel condizionarli, può essere utile
riportare sinteticamente qualche caso documentato, relativo a epoche storiche,
Paesi e campi d’azione differenti:
William
Stephenson, agente di influenza britannico, operò durante la seconda guerra
mondiale negli Stati Uniti, non solo per analizzare e sorvegliare le attività
dei futuri alleati, ma, soprattutto, per influenzare l’establishment americano
in favore degli interessi del Regno Unito[19].
Attraverso un’estesa rete di influenza composta da oltre tremila persone,
Stephenson indirizzò i principali organi di stampa statunitensi (The Herald
Tribune, The New York Post, The Baltimore Sun, ecc.) in favore della Gran
Bretagna e orientò l’opinione pubblica nordamericana, e quindi il governo degli
Stati Uniti, a sostegno dell’entrata in guerra contro la Germania nazista e i
suoi alleati[20]
Eli Cohen fu un agente di
influenza israeliano in Siria. Agente sotto copertura del Mossad, dopo essersi
infiltrato nel partito baatista siriano al potere dal 1961, con la nuova
identità di Kamil Amin Thabit, raggiunse i vertici del governo di Damasco,
orientandone le decisioni fino al suo arresto e uccisione nel 1965[21]
Pierre-Charles Pathé,
giornalista francese ben introdotto nei salotti della politica e dell’economia
di Parigi, fu un agente di influenza sovietico[22].
Pathé condusse un’articolata campagna di influenza per conto del KGB,
pubblicando, dal 1976 al 1979, Synthèse, un bollettino di analisi politica
indirizzato ai maggiori esponenti della classe dirigente francese, orientato a discreditare
la NATO e, in generale, i Paesi occidentali e a favorire gli interessi
dell’URSS in Francia nonché il progressivo avvicinamento delle posizioni di
Parigi a quelle di Mosca
Arne Treholt, funzionario del
Ministero degli Esteri norvegese, operò come agente di influenza sovietico nel
periodo della guerra fredda e sino al suo arresto nel gennaio 1984[23].
Il diplomatico, ricoprendo incarichi di rilievo in ambito nazionale e
internazionale, condizionò tra il 1976 e il 1984 le politiche del governo
norvegese in favore degli interessi sovietici ed utilizzò la sua vasta rete di
contatti nei media per diffondere notizie sconvenienti per gli Stati Uniti e
per la NATO
secondo alcuni membri del
Congresso americano,[24] Huma
Abedin, Deputy Chief of Staff dell’ex Segretario di Stato Hillary Clinton, è
stata un agente di influenza dei Fratelli Musulmani. Secondo questa ipotesi,
Abedin, sfruttando la sua posizione all’interno del Department of State, è
riuscita a condizionare la politica estera statunitense durante il primo
mandato di Barack Obama in direzione favorevole agli interessi dei Fratelli
Musulmani, a esempio, supportando le attività di proselitismo e di
indottrinamento condotte dall’organizzazione negli Stati Uniti e concedendo
alcuni canali di finanziamento all’Egitto (dove i Fratelli Musulmani sono la
forza politica dominante) e ad altri beneficiari rientranti nella rete del
movimento (esponenti dell’Autorità Palestinese, di Hamas, ecc.).
Gli
apparati di intelligence e la gestione delle operazioni di influenza
Gli
agenti di influenza, sebbene, come già esaminato in precedenza, spesso non
siano legati da un rapporto organico con i servizi di intelligence e godano di
un ampio margine di libertà sulle modalità di esecuzione delle proprie
attività, sono tuttavia «gestiti» e coordinati da strutture organizzate,
riconducibili direttamente o indirettamente agli apparati di sicurezza e
informazione o, comunque, al sistema di sicurezza e difesa di uno Stato,
soprattutto nel caso di campagne di influenza complesse, caratterizzate da un
elevato livello di sofisticazione e proiettate a lungo termine.
L’organismo
deputato a gestire una campagna di influenza deve sposare una logica di
pianificazione delle azioni che poi l’agente di influenza dovrà condurre. Nel
quadro di questa attività di pianificazione è necessario provvedere:
1- all’analisi del contesto di
intervento
2- all’individuazione delle
finalità della campagna e alla valutazione del tempo necessario per
raggiungerle
3- all’identificazione dei
bersagli da raggiungere, che possono essere singoli (es. un leader politico, un
comandante militare, ecc.), gruppi selezionati (la redazione di un giornale, la
dirigenza di un partito politico, il management di un’azienda, ecc.) o gruppi
più estesi (un movimento di pensiero, l’opinione pubblica di un paese, ecc.)
4- alla scelta degli strumenti
e dei canali più adeguati per raggiungerli
5- alla comparazione
costi/benefici connessi all’operazione.
La fase di pianificazione strategica deve essere integrata da un’attività di controllo, volta al monitoraggio continuo dell’andamento della campagna, al fine di apportare, se necessario, aggiustamenti e correttivi, o, nell’ipotesi peggiore, di sospendere la campagna stessa.
È indispensabile, quindi, che la struttura di coordinamento e controllo acquisisca la consapevolezza dei potenziali effetti imprevisti che la campagna può generare.
Tra
le strutture deputate alla pianificazione e alla gestione delle operazioni di
influenza, giusto per fare qualche esempio, oltre al già citato OWI (vedi nota
n.1), il Servizio Speciale A del KGB sovietico[25],
gli Special Groups[26] americani,
il National Clandestine Service[27] (NCS)
della CIA e l’Office of Strategic Influence[28] (OSI)
della Difesa statunitense.
Conclusioni
Nel
quadro del nuovo assetto internazionale, caratterizzato da fluidità e carenza
di leadership, i singoli Stati, e particolar modo quelli di media potenza come
l’Italia, non sono più in grado di incidere unilateralmente, e in misura
significativa, sulle dinamiche globali[29], soprattutto se limitano la loro azione al ricorso agli
strumenti convenzionalmente riconosciuti quali espressione del potere: la forza
militare, l’attività politico-diplomatica e la competitività
economico-finanziaria.
La combinazione tra gli strumenti coercitivi classici e quelli legati ai meccanismi dell’influenza, della persuasione e dell’attrazione, definita smart power[30], è la modalità di espressione del potere che oggi risulta essere più efficace affinché uno Stato possa affermare la propria posizione geopolitica e consolidare i propri interessi nazionali.
L’Italia dovrebbe, quindi, accrescere il suo smart power, acquisendo soprattutto nuove capacità nel campo dell’influenza (o potenziando quelle preesistenti), ricorrendo anche alle tecnologie per l’informazione e la comunicazione[31], da impiegare in modo integrato, sinergico e sincronizzato con le altre capacità già espresse dal corpo diplomatico, dallo strumento militare, dagli apparati di intelligence e, più in generale, dall’intero sistema di sicurezza e difesa del Paese.
La combinazione tra gli strumenti coercitivi classici e quelli legati ai meccanismi dell’influenza, della persuasione e dell’attrazione, definita smart power[30], è la modalità di espressione del potere che oggi risulta essere più efficace affinché uno Stato possa affermare la propria posizione geopolitica e consolidare i propri interessi nazionali.
L’Italia dovrebbe, quindi, accrescere il suo smart power, acquisendo soprattutto nuove capacità nel campo dell’influenza (o potenziando quelle preesistenti), ricorrendo anche alle tecnologie per l’informazione e la comunicazione[31], da impiegare in modo integrato, sinergico e sincronizzato con le altre capacità già espresse dal corpo diplomatico, dallo strumento militare, dagli apparati di intelligence e, più in generale, dall’intero sistema di sicurezza e difesa del Paese.
[1] Slogan
elaborato dall’U.S. Office of War Information (OWI) e inserito in un poster
utilizzato per promuovere nell’opinione pubblica interna l’intervento degli
Stati Uniti nella II Guerra Mondiale e per sostenere il morale delle forze
combattenti impegnate sui diversi fronti.
L’OWI era un organismo competente nel pianificare e condurre campagne di influenza e di propaganda su larga scala, anche oltre i confini nazionali statunitensi, e impiegava, oltre ai poster, programmi radiofonici, film e riviste.
L’OWI era un organismo competente nel pianificare e condurre campagne di influenza e di propaganda su larga scala, anche oltre i confini nazionali statunitensi, e impiegava, oltre ai poster, programmi radiofonici, film e riviste.
[2] Joseph
Nye, docente a Harvard e già Presidente dello U.S. National Intelligence
Council, ha coniato nel 2004 il concetto di soft power, contrapponendolo a
quello di hard power. J. S. Nye,Soft Power: un nuovo futuro per l’America,
Einaudi, Torino, gennaio 2005.
[3] P.
Cornish, J. Lindley-French, C. Yorke, Strategic Communications and
National Strategy, Chatham House, settembre 2011.
[4] Presidenza
del Consiglio dei Ministri – Dipartimento delle Informazioni per la
Sicurezza, Il linguaggio degli Organismi Informativi – Glossario Intelligence,
Quaderni di Intelligence, Gnosis, giugno 2012.
[5] La
pubblicazione del Glossario rientra nelle attività svolte dal DIS nell’ambito
dei compiti, assegnatigli dalla legge 124/2007, concernenti la promozione e la
diffusione della cultura per la sicurezza.
[6] Il
Glossario consta di 259 lemmi, i quali sono collegati tra loro per analogia
concettuale o perché appartenenti alla medesima macro-categoria.
[7] Presidenza
del Consiglio dei Ministri – Dipartimento delle Informazioni per la
Sicurezza, op. cit.
[8] M.
Navarra, M. Maccono, “La destabilizzazione”, in Per Aspera ad Veritatem,
n. 24, Roma, settembre-dicembre 2002.
[9] Secondo
Edward Luttwak, infatti, la pianificazione di una campagna di destabilizzazione,
propedeutica all’esecuzione di un colpo di stato, deve essere indirizzata
prevalentemente a influenzare i processi decisionali dell’élite del Paese
avversario. E. Luttwak, Coup d’Etat – A Pratical Handbook, Fawcett Premier
Book, New York, 1969.
[10] La deception,
la cui traduzione letterale è «inganno», è un’attività “impiegata per
nascondere, in tutto o in parte, le effettive intenzioni, capacità e strategie
all’avversario (target) e, al contempo, comprometterne le capacità di
comprensione in merito a un dato fenomeno, evento o situazione, al fine di
indurlo a un impiego irrazionale e/o svantaggioso delle proprie risorse”. A.
Montagnese, Intelligence e deception strategica: manipolazione percettiva
ed influenza dei processi decisionali di vertice, Istituto Italiano di Studi
Strategici N. Machiavelli, Roma, aprile 2012.
[11] Le
operazioni di influenza pianificate dagli organismi di intelligence possono
essere eseguite, infatti, sia ricorrendo direttamente ai propri agenti di
influenza, sia in modo indiretto, attraverso think tank, società di consulenza,
organi di informazione (radio, giornali, ecc.), associazioni culturali,
istituti di formazione, centri di ricerca, circoli accademici, club e altre
strutture presenti nella società civile e in grado di incidere sulla formazione
di opinioni, idee, sentimenti e, quindi, sui comportamenti e le attitudini di
gruppi più o meno estesi o di singoli individui.
[12] P.
Cornish, J. Lindley-French, C. Yorke, op. cit.
[13] A.
Viviani, Servizi segreti italiani, 1815 -1985, Adkronos Libri, Roma, 1986.
[14] W.
J. Raymond, Dictionary of Politics – Selected American and Foreign
Political and Legal Terms, Brunswick, 1992.
[15] F.
Cossiga, I Servizi e le attività di informazione e di controinformazione –
Abecedario per principianti, politici e militari, civili e gente comune,
Rubbettino, Soveria Mannelli, marzo 2002.
[17] AA.
VV., Political Warfare and Psychological Operations – Rethinking the US
Approach, a cura di F. R. Barnett, C. Lord, National Defense University Press,
Washington DC, 1989.
[18] “Political
warfare is a term […] that seems useful for describing a spectrum of overt and
covert activities designed to support national political-military
objectives”. Ibidem.
[19] W.
Stevenson, A Man Called Intrepid – The Secret War, Lyons Press, Toronto,
2000.
[20] Edward
Luttwak ha sostenuto che nel periodo immediatamente precedente all’entrata in
guerra degli Stati Uniti, avvenuta nel 1941, operavano su suolo americano
gruppi di pressione e di influenza, sia espressione della Gran Bretagna sia
della Germania nazista, il cui compito era di spingere il vertice
politico-militare statunitense ad assumere decisioni favorevoli ai rispettivi
interessi, con specifico riferimento all’evento bellico. E. Luttwak, op.
cit.
[21] A.
Giannulli, Come funzionano i servizi segreti, Ponte alle Grazie, Milano,
dicembre 2009.
[22] A.
Shulsky, G. Schmitt, op. cit.
[23] Ibidem.
[24] Michele
Bachmann, Louie Gohmert, Lynn Westmorleand, Trent Francks e Thomas Rooney,
tutti membri del Partito Repubblicano, hanno formalmente invitato, il 13 giugno
2012, l’ambasciatore Harold Geisel, responsabile del servizio ispettivo dello
U.S. Department of State, a investigare sulle capacità di influenza dei
Fratelli Musulmani nei confronti della politica estera degli Stati Uniti e a
verificare se, con specifico riferimento ad alcune scelte e misure adottate
durante il mandato del Segretario di Stato Hillary Clinton, vi sia stato il
coinvolgimento dell’organizzazione islamica o di personalità a essa collegate.
[25] P.
Guzzanti, I servizi russi: dal KGB a Putin, materiale didattico presentato
e distribuito dall’autore a supporto della lezione tenuta nell’ambito del
Master in Intelligence e Sicurezza Nazionale presso la Link Campus University
of Malta, Roma, 25 giugno 2010.
[26] Particolari
gruppi istituiti nei primi anni ’60 dal Presidente John Fitzgerald Kennedy,
caratterizzati da una competenza per materie specifiche e da una composizione
interministeriale/interagenzia. J. H. Michaels, Managing Global Counterinsurgency:
the Special Group (CI) 1962-1966, in Journal of Strategic Studies,
vol. 35-1, 2012.
[27] Articolazione
della CIA istituita nel 2005 ed erede del Directorate of Operations
dell’Agenzia. All’interno del Servizio vi è la Special Activities Division,
che, tra le varie competenze, ha anche quella di condurre attività di covert
influence.
[28] Organismo
operante nell’ambito dello U.S. Department of Defense, dal 30 ottobre 2001 fino
a febbraio 2002, con compiti di influenza, disinformazione e propaganda in
supporto alle operazioni militari fuori territorio statunitense. S. L.
Gough, The Evolution of Strategic Influence, U.S. Army War College –
Strategy Research Project, Carlisle Barracks, Pennsylvania, 2003.
[29] A.
Evans, D. Stevens, Organizing for Influence, Chatham House, giugno 2010.
[30] J.
Nye, “Get Smart: Combining Hard and Soft Power”, in Foreign Policy, luglio
– agosto 2009.
[31] A
esempio un impiego proattivo dei social media da parte delle istituzioni,
adeguatamente inquadrato nella cornice della strategia di sicurezza nazionale,
consentirebbe di esprimere elevate capacità sia di natura offensiva (operazioni
di influenza, propaganda, deception, disinformazione, perception management)
sia di natura difensiva (contro-propaganda, contro-ingerenza,
counter-deception, warning, ecc.). Non a caso, oggi, tra i più incisivi agenti
di influenza è possibile individuare i blogger e i gestori di contenuti
multimediali su piattaforme online di networking. A. Montagnese, Impact of
Social Media on National Security, Ce.Mi.S.S., Roma, aprile 2012.
Molto interessante, ci vogliono controllare.
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