L'antroposofia (o Scienza dello spirito), inaugurata dal pensatore austriaco Rudolf Steiner (1861-1925), si presenta come la via spirituale più adatta al nostro tempo, in quanto capace di conciliare le istanze della scienza con quelle della fede, gli impulsi della conoscenza con quelli della religiosità. Il cammino di R. Steiner ha inizio con lo studio e la cura editoriale delle opere scientifiche di J.W. Goethe, grazie alle quali Steiner comprese l'importanza del pensiero puro, libero da rappresentazioni sensibili, che animano la conoscenza riflessa, incapace di connettersi al mondo ideale degli archetipi.
Sull'onda di questo tipo di pensiero Goethe poté cogliere nell'ambito dell'osservazione scientifica il motivo del Fenomeno archetipico: trovò così che il dinamismo vegetale, nelle sue alterne fasi di contrazione ed espansione, segue il principio della pianta primordiale (Urpflanze).
La concezione goethiana del mondo, e soprattutto la dimensione conoscitiva che essa suggerisce, è il primo cardine dell'antroposofia, come tale identificato dallo Steiner nel testo La filosofia della libertà.
Il secondo cardine è il principio del cristocentrismo: Cristo come centro dell'universo, dell'evoluzione spirituale, della biografia umana. R. Steiner distingue nettamente la personalità storica del Gesù di Nazaret dalla dimensione cosmica e universale del Cristo: in base a ciò egli descrive tutto il cammino evolutivo del cosmo, del nostro pianeta e della storia delle civiltà umane, un cammino mirato al fatto che, quanto più l'umanità si identificherà con l'impulso-Cristo deposto dal sacrificio del Golgotha in ogni uomo (ovvero con il principio dell'Io spirituale), tanto più la Terra compirà la sua missione di divenire il “Cosmo dell'amore”.
Il terzo cardine su cui poggia l'antroposofia è una nuova concezione della storia recente ispirata a un evento che ha segnato l'epoca moderna, iniziata nel xv secolo e chiamata dall'antroposofia “epoca dell'anima cosciente”. Questo evento, verificatosi, nel 1879 è coinciso – dice R. Steiner – con il fatto che l'arcangelo Michele ha scacciato dai cieli gli “spiriti delle tenebre” e li ha precipitati sulla Terra: qui essi inducono l'uomo all'egoismo materialistico, ma Michele, l'arcangelo dell'intelligenza, li contrasta, invitando l'uomo a quel pensare puro che è sintesi di scienza e fede: primo gradino perché ogni essere umano scopra e viva l'esperienza dell'Io spirituale, ovvero l'esperienza del “Cristo in noi”.
La proposta filosofica di R. Steiner è che l'uomo del nostro tempo, se vuole davvero avere coscienza della vita interiore e della vita del cosmo, deve sviluppare l'individualismo etico: sviluppare la libertà interiore del pensiero, promuovere il pensare libero dei sensi a vera e obiettiva guida della nostra vita dell'anima, accanto al senso della fantasia morale ispirata dall'Io.
Sull'onda di questo tipo di pensiero Goethe poté cogliere nell'ambito dell'osservazione scientifica il motivo del Fenomeno archetipico: trovò così che il dinamismo vegetale, nelle sue alterne fasi di contrazione ed espansione, segue il principio della pianta primordiale (Urpflanze).
La concezione goethiana del mondo, e soprattutto la dimensione conoscitiva che essa suggerisce, è il primo cardine dell'antroposofia, come tale identificato dallo Steiner nel testo La filosofia della libertà.
Il secondo cardine è il principio del cristocentrismo: Cristo come centro dell'universo, dell'evoluzione spirituale, della biografia umana. R. Steiner distingue nettamente la personalità storica del Gesù di Nazaret dalla dimensione cosmica e universale del Cristo: in base a ciò egli descrive tutto il cammino evolutivo del cosmo, del nostro pianeta e della storia delle civiltà umane, un cammino mirato al fatto che, quanto più l'umanità si identificherà con l'impulso-Cristo deposto dal sacrificio del Golgotha in ogni uomo (ovvero con il principio dell'Io spirituale), tanto più la Terra compirà la sua missione di divenire il “Cosmo dell'amore”.
Il terzo cardine su cui poggia l'antroposofia è una nuova concezione della storia recente ispirata a un evento che ha segnato l'epoca moderna, iniziata nel xv secolo e chiamata dall'antroposofia “epoca dell'anima cosciente”. Questo evento, verificatosi, nel 1879 è coinciso – dice R. Steiner – con il fatto che l'arcangelo Michele ha scacciato dai cieli gli “spiriti delle tenebre” e li ha precipitati sulla Terra: qui essi inducono l'uomo all'egoismo materialistico, ma Michele, l'arcangelo dell'intelligenza, li contrasta, invitando l'uomo a quel pensare puro che è sintesi di scienza e fede: primo gradino perché ogni essere umano scopra e viva l'esperienza dell'Io spirituale, ovvero l'esperienza del “Cristo in noi”.
La proposta filosofica di R. Steiner è che l'uomo del nostro tempo, se vuole davvero avere coscienza della vita interiore e della vita del cosmo, deve sviluppare l'individualismo etico: sviluppare la libertà interiore del pensiero, promuovere il pensare libero dei sensi a vera e obiettiva guida della nostra vita dell'anima, accanto al senso della fantasia morale ispirata dall'Io.
L'uomo tripartito: l'alfabeto dell'antroposofia:
Come tante altre scienze, anche l'antroposofia, o Scienza dello spirito, si esprime attraverso una serie di parole-chiavi, anzi attraverso un particolare alfabeto. Questo alfabeto è costituito da tre segni fondamentali e insostituibili - pensare, sentire, volere: tre segni che ci dicono che l'essere umano è formato da tre parti, cioè che è tripartito o triarticolato.
Ognuno di noi avverte in sé e percepisce nella propria interiorità queste tre diverse facoltà - il pensare, il sentire, il volere.
Il pensare è l'attività razionale o sensitiva, che si esprime in noi attraverso il polo neuro-sensoriale. Questo polo è lo strumento della sensibilità, del pensiero, della coscienza. Di questa attività razionale siamo consapevoli, in essa siamo desti, tant'è che quest'attività ci accompagna durante il cosiddetto stato di veglia.
Il sentire è l'attività emozionale dell'essere umano che si esprime attraverso il sistema ritmico della zona mediana (ritmo cardio-respiratorio). In questa zona siamo parzialmente desti, nel senso che solitamente non siamo padroni, non siamo consapevoli e ben coscienti delle nostre emozioni, pur vivendole, perciò ci poniamo di fronte a esse come in una condizione di sogno. Il nostro sentire naturale fluttua come un sogno, lasciandosi spesso trascinare dagli stimoli esterni. Questo polo è lo strumento del sentimento e dell'affettività.
Il volere è l'attività delle nostre volizioni, delle nostre aspirazioni profonde, dei nostri bisogni fisici (sete, fame, sonno eccetera). Il volere noi lo percepiamo attraverso il movimento degli arti e attraverso il calore proveniente dal metabolismo. Siamo però inconsapevoli di fronte al perché delle nostre volizioni e per lo più le subiamo, senza possederne la causa: viviamo nel volere come in una condizione di sonno profondo. Questo polo è lo strumento del movimento e del metabolismo, lo strumento delle volizioni.
L'uomo pertanto non è libero né nel volere né nel sentire, è soltanto potenzialmente libero nel pensare: questo è l'assunto di base della Filosofia della libertà di R. Steiner.
Ma vediamo ora, più da vicino, come questa tripartizione dell'uomo in pensare, sentire, volere si rifletta sul piano fisico, sulla struttura, sull'architettura del corpo e come le diverse parti ne risultino differenziate.
Il pensare si esprime nel polo neuro-sensoriale, nella testa, che ha forma sferica e ossa immobili (tranne la mascella). Le ossa della testa sono esterne, mentre le parti molli sono all'interno.
Il sentire si esprime nella zona mediana, nel torace: qui i muscoli fasciano le ossa che a loro volta racchiudono le parti molli; le ossa delle costole sono elastiche, quindi a metà fra l'immobilità e la mobilità. La struttura del torace ha ancora qualcosa della sfericità della testa ma è divisa dalle costole.
Il volere si esprime nel polo inferiore, che si identifica con l'addome e con gli arti, costituiti da parti molli che racchiudono le ossa; le ossa qui sono mobili e hanno una struttura raggiata: per esempio, un osso alla coscia, due alle gambe, cinque alle estremità (femore, tibia-peròne, piede).
L'immobilità dunque connota la struttura degli organi del pensare, l'elasticità quelli del sentire, la mobilità quelli del volere. A sua volta il calore connota il metabolismo della zona del volere, il ritmo cardiaco e respiratorio connota la zona mediana, il freddo caratterizza il polo neuro-sensoriale.
La tripartizione ritorna poi anche nelle singole parti del corpo, per esempio: nella testa il cranio ha forma sferica immobile, il naso è elastico, mentre la mascella (elemento del volere) è mobile; nel piede il tallone è in piccolo il polo cefalico, mentre le dita sono la struttura raggiata. Occorre guardarsi tuttavia dall'eccessivo schematismo tripartito, altrimenti si cadrebbe proprio nella trappola che, nel Faust di Goethe, Mefistofele tende al giovane studente, raccomandandogli proprio gli studi di logica e il necessario procedere per sillogismi e rigide associazioni.
Queste tre facoltà - pensare, sentire, volere - non sono che l'espressione soggettiva o interiore dei tre corpi base che - secondo Rudolf Steiner - costituiscono l'architettura totale dell'essere umano e sono gli stessi che formano i tre regni della natura, minerale, vegetale, animale.
1. Il corpo fisico è la componente materiale del corpo umano che condividiamo con il regno minerale. Per esso valgono le categorie di numero, peso, misura. Nella morfologia umana questo corpo si esprime elettivamente attraverso la forza strutturante del sistema osteo-muscolare. Nell'essere umano il corpo fisico si sviluppa entro l'arco dei primi sette anni: la seconda dentizione viene appunto a scandire il termine di questo processo e l'inizio del successivo, cioè la formazione o totale incarnazione del corpo eterico. Il bambino si identifica con l'attività volitiva, con le volizioni, infatti è tutto un organo di percezione fisica. Da ciò si comprende come l'elemento corrispondente al corpo fisico sia la Terra, quindi la mineralità.
2. Il corpo eterico è la componente vitale del corpo umano che condividiamo con il regno vegetale. Le forze eteriche sono forze di crescita, di metamorfosi, di ritmo: sono insomma forze formatrici. Nell'essere umano l'attività di questo corpo si esprime elettivamente attraverso il sistema ghiandolare, mentre nelle piante si esprime tramite la fotosintesi clorofilliana. Esso si sviluppa completamente nel bambino nell'arco di tempo che va dai 7 ai 14 anni, e termina con la pubertà, quando sbocciano le forze del corpo successivo, il corpo astrale. Per questa sua vitalità l'elemento corrispondente al corpo eterico è l'Acqua.
3. Il corpo astrale è la componente neurosensoriale dell'essere umano che condividiamo con gli animali; è la sede degli istinti, delle passioni, delle pulsioni, dei moti di simpatia-antipatia: i tipici moti dell'astralità posseduti dagli animali, che essi nutrono in risposta agli stimoli esterni. Le categorie dell'astrale sono dunque movimento, sensibilità e vita interiore. La sua disarmonia è la causa della malattia. Su piano organico l'astrale si esprime elettivamente attraverso l'attività del sistema nervoso e il suo elemento è l'Aria. Questo corpo si sviluppa particolarmente nel terzo settennio, fra i 14 e i 21 anni circa.
Com'è facile osservare, il vegetale, in quanto esclusivamente animato dalle forze eterico-fisiche, ha per lo più una crescita verticale, mentre l'animale, grazie al possesso del corpo astrale, perde questa verticalità e diviene orizzontale. Rispetto al vegetale l'animale ha compiuto una rotazione di 90 gradi, l'uomo invece ne compie una di 180 gradi. Egli infatti recupera la verticalità e acquista la stazione eretta. A consentirgli ciò è la presenza nell'uomo di un'ulteriore componente - l'Io - che nel corso dell'evoluzione terrestre ha dato a lui creatività spirituale e dimensione morale, l'uso del linguaggio e del pensiero. L'essere umano avverte soggettivamente l'attività dell'Io attraverso il calore e la pulsazione del sangue, pertanto il suo elemento è il Fuoco.
Quali sono, all'interno dell'essere umano, i rapporti fra questi corpi? Nelle piante e negli animali inferiori corpo fisico e corpo eterico non sono collegati: ledere il fisico non significa ledere l'eterico, tant'è che se lediamo il tronco di una pianta stimoliamo la sua vitalità a un'attività accentuata oppure se tagliamo un arto a un gambero alla prima muta da esso ricresce un moncone o se tagliamo la coda alla lucertola essa rispunta. Negli animali superiori eterico e fisico sono invece ben collegati, tant'è che ledere il corpo fisico significa ledere anche il corpo eterico.
Nell'essere umano questi rapporti fra i corpi sono regolati da altri eventi, dal sonno e dalla morte. Durante il sonno, l'Io, insieme con il corpo astrale, si distacca dal corpo eterico-fisico, che rimane disteso nel letto. Con la morte invece anche il corpo eterico, insieme con il corpo astrale e l'Io, si distacca dal corpo fisico.
Questo schema tripartito proposto dall'antroposofia non si applica però soltanto all'essere umano, ma anche, per esempio, al mondo vegetale, come è stato ben dimostrato dal botanico Wilhelm Pelikan, assai noto in ambito antroposofico. La pianta, come abbiamo visto, possiede soltanto un corpo fisico ed eterico, eppure nelle sue parti riflette il principio della tripartizione:
* La radice della pianta è la parte più minerale e corrisponde al polo neuro-sensoriale dell'uomo.
* Le foglie corrispondono alla zona mediana o sistema ritmico.
* I fiori, in quanto sono organi della riproduzione, corrispondono al polo metabolico dell'uomo, agli organi del ricambio, del volere.
Ecco perché prima dicevamo che l'uomo, rispetto alla pianta, ha compiuto una rotazione di 180 gradi: la radice vegetale è infatti nell'uomo testa, mentre i fiori sono il polo inferiore. A dire il vero, nell'uomo vi è perfino un albero rovesciato, l'albero respiratorio, formato da trachea e bronchi.
Da ciò deriva, nella medicina antroposofica, l'impiego delle singole parti della pianta utilizzate per curare i corrispondenti disturbi delle singole parti del corpo. A ciò la botanica di ispirazione antroposofica aggiunge un altro principio: le piante più curative sono in genere quelle in cui una parte prevale sulle altre o è più sviluppata rispetto alle altre, in cui le forze eteriche quasi si concentrano in una parte. Ciò indica che la pianta cura nell'uomo i disturbi di quella zona con cui la parte prevalente è in analogia. Questo è uno dei modi più visibili in cui la pianta manifesta il suo potere di guarigione, gli altri modi sono quelli chimici, relativi alla presenza di alcaloidi, tannini, amari, oli eterei eccetera. Alcuni esempi: la grossa radice della brionia o della mandragora, la grande espansione floreale del sambuco, il frutto gigantesco della zucca.
Nel regno minerale, invece, dunque sul piano fisico, l'idea tripartita si ritrova secondo Steiner nei tre elementi chiave dell'alchimia:
* il sale corrisponde al pensare e al polo neuro-sensoriale, freddo
* il mercurio corrisponde al sentire e al sistema ritmico
* lo zolfo corrisponde al volere e al polo metabolico, caldo.
Nel polo inferiore dell'essere umano, nel polo del metabolismo e del movimento, dominano i processi eterico-fisici: le cellule dell'intestino si rigenerano, le cellule dell'apparato riproduttivo si moltiplicano. Ma non è così per il polo neuro-sensoriale: qui le cellule nervose non si rigenerano. Perché? Per il fatto - sostiene l'antroposofia - che il polo superiore ha sacrificato la sua vitalità eterico-fisica a favore della vita conoscitiva, a favore della memoria, dell'immaginazione, della fantasia, del senso logico. E qui troviamo un esempio di una grande legge dello spirito: "il superiore vive grazie all'inferiore", i processi coscienziali si sviluppano perché la vitalità fisica diminuisce, non si può essere troppo vitali e coscienti insieme. E' la legge espressa nel Vangelo di Giovanni dall'episodio della «lavanda dei piedi».
Che cosa succede invece quando l'individuo si ammala? Succede che l'equilibrio fra i tre corpi o fra le tre facoltà si sbilancia. Può capitare allora, se l'uomo si è troppo identificato, per un certo periodo, con i bisogni fisici, che il polo metabolico, il polo caldo del volere, prenda il sopravvento: si crea allora un eccesso di calore, una infiammazione. Se invece predomina troppo il polo neuro-sensoriale, freddo e minerale, se ci si intellettualizza troppo, prevale allora l'indurimento, la sclerosi oppure il tumore. Allora possiamo dire che ciò che nella pianta è deformazione di una parte, nell'uomo è malattia, perché diviene squilibrio delle facoltà, del pensare, sentire, volere.
L'infiammazione e la sclerosi sono le due direzioni polari della malattia: i due archetipi.
Nella storia dell'Occidente degli ultimi secoli ci sono state tre grandi malattie endemiche: la lue, la tubercolosi e il cancro, tutte conseguenze della diffusione del materialismo.
La lue, infatti, per le gravi conseguenze che la fase terziaria porta sul sistema nervoso, fu l'esito di una prepotente invasione delle forze del volere sul pensare: è il caso di Guy de Maupassant, scrittore naturalista, e di Friedrich Nietzsche, filosofo della volontà di potenza. La stessa volontà di potenza che percorse l'Europa nel XVI secolo, quando la sifilide mieté 20 milioni di morti.
La tubercolosi è invece conseguenza di un'invasione del volere sulla zona mediana, sul sentire: di qui la successiva nascita della forma mentis del tubercolotico, spesso afflitto da tormenti sentimentali, paure dei fantasmi, fragilità emotiva. Si pensi a Chopin, a Robert Louis Stevenson, a Edgar Allan Poe, a Kafka.
Il cancro, per la frequenza di questa malattia negli organi del volere (ricambio e apparato riproduttivo), è un eccesso del polo inferiore nella sua stessa sede, con conseguente surplus di vita eterico-fisica che caoticamente si riproduce. Questo caos cellulare è la diretta conseguenza della mancanza delle forze dell'Io.
Il principio della tripartizione o tricotomia - come si chiamava un tempo - non è però una scoperta dell'antroposofia, perché era ben noto alle civiltà antiche: gli antichi Indiani seguaci della filosofia Samkhya distinguevano infatti fra la coscienza luminosa e calma (sattva), l'ambito umano delle passioni (rajas) e la zona oscura degli istinti (tamas). I Greci, e in particolare Platone, distinguevano la personalità umana in nous, psyche, soma. Anche il cristianesimo, almeno quello delle origini, come ricorda Paolo in 1 Tessalonicesi 5,23, ammetteva la tripartizione dell'uomo in spirito, anima, corpo (pneuma, psyche, soma), probabilmente derivante dalla tripartizione dell'anima umana secondo gli antichi Ebrei in bâsâr, nefeš, ruach.
Rudolf Steiner non attinge però la concezione tripartita dal mondo antico, dalla letteratura religiosa d'Oriente e d'Occidente, ma la riscopre con nuovi mezzi, con gli strumenti scientifico-spirituali offerti appunto dall'antroposofia. E la espone esattamente per la prima volta 80 anni fa, sul finire della Grande Guerra, nel volume Gli enigmi dell'anima. Steiner riscopre la tripartizione dell'uomo e la riformula autonomamente sul piano della logica e della filosofia della scienza. Sotto questo aspetto il diretto predecessore di Steiner è Hegel, che distinse i tre momenti dialettici di tesi, antitesi e sintesi (per esempio, essere, essenza, concetto; arte, religione, filosofia), momenti che furono da Hegel concepiti come tappe progressive dello spirito, gradi di un cammino evolutivo che fa da perno a tutto il divenire storico tendente all'autocoscienza.
Da ciò possiamo comprendere la stessa natura dell'antroposofia, che non è per nulla una via nostalgica dello spirito, tesa al recupero di antiche verità esoteriche, ma una nuova via spirituale che vuol comprendere il presente dell'uomo, partendo dalle migliori forze di cui oggi l'uomo potenzialmente dispone. Queste migliori forze sono appunto il pensiero libero, impersonale, il pensare come trampolino verso la conoscenza del mondo spirituale e verso la comprensione del senso del destino umano.
Ha scritto Hegel: «Il pensare fa sì che l'anima, di cui anche l'animale è dotato, divenga spirito»; da questa citazione hegeliana parte Rudolf Steiner nella Filosofia della libertà (p.21) per indicare il primato del pensare sulle restanti facoltà.
Il pensare è dunque il faro la cui luce disegna nelle tenebre il cammino che l'uomo dovrà seguire per un adeguato ampliamento della coscienza. Ma non è stato sempre così.
Non sempre il pensare è stato il faro, non sempre è stato esso a indicare il percorso dell'evoluzione spirituale dell'uomo. Per buona parte del Medioevo occidentale, per esempio, la facoltà predominante dell'uomo era il sentire. L'«itinerario della mente a Dio» più che un cammino di conoscenza era un percorso tutto animato dalla devozione, costituito dalle tappe della fede, dalle verità della rivelazione. Le pagine ascetiche di Bonaventura da Bagnoregio sulle «tre vie» (meditazione, preghiera, contemplazione) o quelle del mistico fiammingo Jan van Ruysbroeck sui tre tipi di vita (attiva, interiore e contemplativa) sono un grande esempio di questa via spirituale del passato, di questa ricerca di nuovi orizzonti interiori fondata sul sentire. Ciò non vuol dire che i medievali ignorassero l'importanza del pensare, ma semplicemente che non ne avvertivano il primato sulle altre facoltà, perché - come si soleva dire - philosòphia ancilla theologiae.
Se facciamo ancora un passo indietro nel tempo, se risaliamo al primo e al secondo millennio, all'apogeo della civiltà egizia, mesopotamica e semitica in genere, vediamo che invece l'uomo traeva le sue forze soprattutto dal volere: la saggezza che l'uomo di questo periodo cerca e ottiene non è un particolare patrimonio di conoscenze (sul tipo della saggezza greca) ma è ricchezza della volontà, ricchezza morale, educazione dell'agire più che del pensare. Ma ricordiamo anche che la civiltà babilonese è quella che ha creato l'astrologia e che la civiltà egizia è quella che ha trasmesso all'Occidente la magia: ora, le arti divinatorie e magiche, fondate su rituali prestabiliti, su tecniche sacre, sono estranee alle conquiste del pensare e alle aperture del sentire, piuttosto sono espressione della volontà, del fatto che l'uomo vuole elevarsi al rango di Dio non seguendo la via della conoscenza o della devozione, ma seguendo l'impulso della volontà.
Il pensiero, invece, il pensiero libero dai sensi, come lo chiama Steiner, il pensiero vivente è il punto di partenza della via spirituale dei nostri tempi, della via che conduce all'autocoscienza.
In un trattato alchemico (Gloria Mundi del 1526) si legge che «la Pietra filosofale è familiare a tutti gli uomini, giovani e vecchi, si trova in campagna, nei villaggi, in città, in tutte le cose create da Dio e tuttavia è disprezzata da tutti. Ricchi e poveri la maneggiano tutti i giorni... E tuttavia nessuno la apprezza, benché sia, dopo l'anima, la cosa più meravigliosa e più preziosa della Terra... Tuttavia è considerata la più vile e la più miserabile delle cose terrestri». La Pietra filosofale degli alchimisti, il Lapis philosophorum, era appunto il pensiero, secondo l'interpretazione antroposofica, il pensiero di cui ognuno può disporre come prima espressione, come arto dell'Io.La triade pensare, sentire, volere è dunque l'alfabeto dell'antroposofia. Comprendendo questa grafia, comprendendo la tripartizione dell'anima, ci apriamo il varco alla comprensione dell'intero messaggio dell'antroposofia: possiamo così cogliere l'importanza del triplice cammino di conoscenza (immaginazione, ispirazione, intuizione), comprendere la natura tripartita delle gerarchie spirituali, conoscere il triplice destino dell'anima dopo la morte e il segreto dell'evoluzione spirituale dell'uomo e del cosmo.
Il pensare è dunque il faro la cui luce disegna nelle tenebre il cammino che l'uomo dovrà seguire per un adeguato ampliamento della coscienza. Ma non è stato sempre così.
Non sempre il pensare è stato il faro, non sempre è stato esso a indicare il percorso dell'evoluzione spirituale dell'uomo. Per buona parte del Medioevo occidentale, per esempio, la facoltà predominante dell'uomo era il sentire. L'«itinerario della mente a Dio» più che un cammino di conoscenza era un percorso tutto animato dalla devozione, costituito dalle tappe della fede, dalle verità della rivelazione. Le pagine ascetiche di Bonaventura da Bagnoregio sulle «tre vie» (meditazione, preghiera, contemplazione) o quelle del mistico fiammingo Jan van Ruysbroeck sui tre tipi di vita (attiva, interiore e contemplativa) sono un grande esempio di questa via spirituale del passato, di questa ricerca di nuovi orizzonti interiori fondata sul sentire. Ciò non vuol dire che i medievali ignorassero l'importanza del pensare, ma semplicemente che non ne avvertivano il primato sulle altre facoltà, perché - come si soleva dire - philosòphia ancilla theologiae.
Se facciamo ancora un passo indietro nel tempo, se risaliamo al primo e al secondo millennio, all'apogeo della civiltà egizia, mesopotamica e semitica in genere, vediamo che invece l'uomo traeva le sue forze soprattutto dal volere: la saggezza che l'uomo di questo periodo cerca e ottiene non è un particolare patrimonio di conoscenze (sul tipo della saggezza greca) ma è ricchezza della volontà, ricchezza morale, educazione dell'agire più che del pensare. Ma ricordiamo anche che la civiltà babilonese è quella che ha creato l'astrologia e che la civiltà egizia è quella che ha trasmesso all'Occidente la magia: ora, le arti divinatorie e magiche, fondate su rituali prestabiliti, su tecniche sacre, sono estranee alle conquiste del pensare e alle aperture del sentire, piuttosto sono espressione della volontà, del fatto che l'uomo vuole elevarsi al rango di Dio non seguendo la via della conoscenza o della devozione, ma seguendo l'impulso della volontà.
Il pensiero, invece, il pensiero libero dai sensi, come lo chiama Steiner, il pensiero vivente è il punto di partenza della via spirituale dei nostri tempi, della via che conduce all'autocoscienza.
In un trattato alchemico (Gloria Mundi del 1526) si legge che «la Pietra filosofale è familiare a tutti gli uomini, giovani e vecchi, si trova in campagna, nei villaggi, in città, in tutte le cose create da Dio e tuttavia è disprezzata da tutti. Ricchi e poveri la maneggiano tutti i giorni... E tuttavia nessuno la apprezza, benché sia, dopo l'anima, la cosa più meravigliosa e più preziosa della Terra... Tuttavia è considerata la più vile e la più miserabile delle cose terrestri». La Pietra filosofale degli alchimisti, il Lapis philosophorum, era appunto il pensiero, secondo l'interpretazione antroposofica, il pensiero di cui ognuno può disporre come prima espressione, come arto dell'Io.La triade pensare, sentire, volere è dunque l'alfabeto dell'antroposofia. Comprendendo questa grafia, comprendendo la tripartizione dell'anima, ci apriamo il varco alla comprensione dell'intero messaggio dell'antroposofia: possiamo così cogliere l'importanza del triplice cammino di conoscenza (immaginazione, ispirazione, intuizione), comprendere la natura tripartita delle gerarchie spirituali, conoscere il triplice destino dell'anima dopo la morte e il segreto dell'evoluzione spirituale dell'uomo e del cosmo.
di Gabriele Burrini
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