martedì 22 febbraio 2022

RIGHI ZONA FUCSIA



In questo periodo storico vige un'ipocrisia deprimente. Prendiamo la storia dell'alunna che ha postato su Tik Tok l'ombelico in classe, diventando subito un caso mediatico, occupando spazi e talkshow che, onestamente, non meritava. La sua insegnante l'ha ripresa malamente, con frasi offensive e fuori luogo, dicendo che così vestita poteva andare sulla Salaria. Sicuramente la professoressa ha sbagliato, siamo tutti d'accordo sia stato compiuto un grave abuso, a patto che non diventi la scusa per un linciaggio mediatico, anche quello fuori luogo e, forse, ancor più grave della vicenda strumentalizzata ad arte. 
È stato detto che i tempi cambiano, che bisogna essere moderni, che oggi bisogna esprimere la propria individualità come e quando ci pare, ed io sono pure contento di questo, a patto poi di prenderci le nostre responsabilità. 
Le regole esistono per essere trasgredite, però basta con i piagnistei di un ribellismo mammone tramite il deus ex machina dei social, dove ancora una volta il grande demiurgo digitale vince su tutto e tutti, stabilendo i ruoli in campo. Ne deriva così il sillogismo: Scuola pubblica cattiva, insegnanti retrogradi vs ragazzini ribelli da applaudire e ringraziare per aver svecchiato i costumi. Riportiamo un po' di buon senso alla discussione, comprendendo che queste notizie sono strumentali per colpire la già tanto vituperata Scuola Pubblica, attraverso un medium tecnologico che la supera e la surclassa, umiliandola. Nessuna parola sull'insegnante menato per una nota, per tutti quei bravi professori che fanno i miracoli con masnade di coatti violenti ed aggressivi. Altro che rivoluzione, altro che striscioni, sarebbe stato bello vederli in piazza, anche quando alcuni compagni non vaccinati sono stati esclusi e lasciati a casa.

La società del politicamente corretto si mostra sempre più moralista di certi docenti tradizionalisti, pretenderebbe maestri docili e sottomessi, salvo poi permettere e benedire, in nome del progresso (regresso), l'identificazione in modelli forti e negativi, dove vince il più bullo, dove vige un eterno presente liberaleggiante e peloso, senza mai doversi misurare realmente con la responsabilità delle proprie azioni, anche nel sacrosanto conflitto con gli adulti. La persistente denigrazione dei professori, esautorati di ogni ruolo ed autorevolezza, che devono tenere conto dei deliri di genitori ansiogeni e spesso patogeni, va di pari passo con la destrutturazione del res publica in ogni sua declinazione sociale e culturale. Troppo facile sparare sulla Crocerossa, tagliare il welfare, disinvestire nell'istruzione, e poi pretendere ci siano eroi come ne "L'attimo Fuggente", salvo poi piangerne i martiri, come è successo nella sanità, dopo decenni di tagli vergognosi.

Soprattutto, basta strumentalizzare casi mediatici di questo infimo livello e portarli come esempio di una critica vemente modernista, perché è quello il vero bersaglio di questa società neoliberista e divisoria, e non certo quello di difendere l'onore violato di un ombelico scoperto e la scandalosa riscoperta della Salaria di antica memoria. Nessuno che si soffermi sull'uso spasmodico e maniacale del cellulare in classe che, a mio modesto avviso, andrebbe tenuto spento, e non usato per filmare il tempo che passa, venendo così percepito come cordone, quello si osceno e morboso, ombelicale virtuale. In fondo, il tanto odiato grembiulino era assai più democratico, non c'era nessuna altra divisa sociale imposta dalla cultura consumista, si era tutti uguali nella diversità. Altrove è ancora in uso la divisa scolastica, tipica dei college anglosassoni, ed è assolutamente obbligatoria anche in tutti paesi comunisti e socialisti che da sempre ne esaltano la funzione educativa. 
Personalmente, non li prenderei ad esempio, ho sempre odiato qualsiasi imposizione, figuriamoci l'odioso grembiule nero, ma potremmo anche pensare ad una sana via di mezzo tra un passatismo giustamente superato, obsoleto ed una finta libertà dei costumi, imposta culturalmente dalla società neoliberale, pronta a cavalcare le mode per innovare precarietà e fluidità, scambiata come scelta individuale. Salvo poi trovarsi davanti all'ennesima divisa giovanilistica che conforma tutti senza più distinzione, in una solitaria divisione, confusiva ed emozionale.

Diamo semmai più spazio mediatico alle sane proteste ed alle occupazioni degli studenti, non censuriamo la vera protesta, perché queste storielle da gossip decadente di fine impero hanno solo il compito di sopire le rivendicazioni nelle piazze, curiosamente occultate e sminuite. Si pensi piuttosto all'alternanza Scuola-Lavoro, anzi, Scuola-disoccupazione, dove i nostri ragazzacci saranno finalmente felici, liberi, lasciati soli ma senza più speranza, però, guai mai senza la coperta di Linus dello smartphone e del selfie eterno ad libitum. Video ergo sum...



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