sabato 20 gennaio 2024

EYES WIDE SHUT - (CONTRO CRITICA AD ALBERTO ARBASINO)



EYES WIDE SHUT (analisi e significato):
In EWS non c'è nulla di surreale, è un film drammaticamente realista e simbolico, per quanto possa apparire onirico.
Forse è la realtà stessa a essere surreale?
L'eterna metafora che Kubrick mette in campo in tutti i suoi film è quella del dominio che si declina nel macro come nel micro mondo.
Eyes Wide Shut racchiude definitivamente questo pensiero, che potrebbe essere esteso come monito a tutto il cinema moderno.
Da un lato le note elite che disegnano la realtà per come la conosciamo, con tutte le loro ritualità, dall'altro lato, i rapporti di forza, affettivi, sessuali tra uomo e donna, dove nascono prevaricazioni, tradimenti, compromessi e miserie umane.
Due grandi famiglie, quella del potere costituito e quella delle persone comuni, entrambe viste come gabbie sociali ed energetiche dell'umanità. Un'umanità prigioniera di un loop, di un cerchio magico che il sacrificio umano alimenta per impedirne l'evoluzione.
Crisi dei tempi, di fine impero, crisi del rapporto di coppia, ma potremmo estendere questo concetto alla crisi dell'occidente e, quindi, crisi di civiltà, o ancor meglio, incapacità dell'uomo a cambiare, imparando dagli errori passati.
EWS è anche un grande codice, presente in ogni sua scena topica, finale compreso.
Un film a tratti antimodernista, nella sua accezione più anticonformista, non necessariamente reazionaria del termine, ma come scoperta del declino di certi codici, della loro volgarizzazione piccolo borghese.
Un film profondamente antiborghese!
Il conflitto irrisolto tra Cruise e la moglie Kidman è la versione edulcorata dello scontro tra scimmie di 2001, dopo che il grande monolite aveva donato loro la coscienza e il libero arbitrio. 
Un conflitto che si risolve, o dovrebbe risolversi, solo con il sesso (utilizzato come ricatto) e non più con l'amore, dove tutto diventa merce e scambio, laddove si risolveva con la guerra e la violenza.
L'amore qui messo in scena però non è banalmente solo l'amore tra due persone adulte, ma è metaforicamente l'AMORE, anche inteso in termini iniziatici.
Come per i Fedeli d' Amore di Dante Alighieri, una delle prime confraternite medievali pre-massoniche.
Viene così messa in scena la crisi iniziatica, corrotta nella sua visione primordiale, oggi assente nei valori della società dei consumi occidentali che ha plasmato e dominato, dove tutto è diventato USA e getta.
Per entrare alla festa del Castello degli Altissimi, si ironizza drammaticamente sul codice, non a caso FIDELIO, diventato appunto mera password ordinaria di una società al tramonto, dove tutto è gioco, per quanto pericoloso ed esclusivo. 
Fidelio perde la sua aura Beethoviana e massonica delle origini, diventando simbolicamente un meme senza più alcuna magia intrinseca, una volgare parola d'ordine per accedere ad un'orgia di lascivi e laidi uomini di potere.
Un film iniziatico, di un grande iniziato e, forse, solo per pochi intimi, ma che si offre a tutti nei tanti livelli interpretativi e nelle tante tematiche contenute, oltre che nella bellezza delle scene, delle suggestioni e della stessa regia.
Kubrick denuda il Re, lo ha sempre fatto fin dall'inizio della sua carriera, nella sua miseria e non tanto nella sua apparente grandezza, non senza macabra ironia.
Racconta dello smarrimento dei nostri tempi, senza ricorrere mai a facili moralismi e giudizi, ma racconta anche della crisi del back-office del potere e del suo linguaggio, della sua grammatica sapienziale, della sua incapacità di sognare un mondo nuovo, immersa nella noia eterna.
Kubrick, attraverso Cruise, forse vuole esprime il suo disagio esistenziale, come fosse un "ragazzo selvaggio" che si trova, suo malgrado, a vivere e ribellarsi in un mondo strutturato sul nulla, sul nichilismo e sulla follia, un mondo che, per paradosso, ha fatto la sua fortuna.
In fondo, il Gerofante Rosso, come la Donna Scarlatta diventano false carte divinatorie, rimembranze di forze dell'ostacolo e salvifiche di un mondo completamente scevro dalla spiritualità, che rinnega la sua dimensione metafisica. Per questo il viaggiatore scientista Cruise non trova il bandolo della matassa e sembra non voler uscire dal suo labirinto mentale, fatto di schemi, convenzioni e sicurezze borghesi.
Un grande film sul dominio e sull'assoggettamento del prossimo, sulla non capacità di districarsi dall'oracolo vigente, sull'incapacità di ribellarsi alle ingiustizie, sulla impossibilità apparente di rinascimento collettivo (nonostante il bisogno), e sul declino inesorabile dell'alto e del basso mondo, con tutte le sue maschere sociali e con tutti i suoi ruoli, apparentemente prestabiliti da un eterno presente, ineluttabile e onnisciente.
L'occhio che tutto vede, anche in questo caso è multiplo. C'è un grande occhio che tutto vede, che segue per strada il povero Cruise, colpevole di aver assaggiato la mela proibita, che entra perfino in camera da letto, lasciando la sua maschera sul cuscino. 
Come c'è pure un altro occhio, interiore, che finge di non vedere, o vede senza vedere realmente, accontentandosi di sopravvivere, un po' come succede per il destino delle masse popolari, ignave e succubi delle convenzioni sociali.
La fuga e il rifugio in un focolare domestico, oramai tradito, dove appunto non rimane che consumare l'ultima cena carnale, tra i doni di un natale freddo e spettrale come una REDRUM qualsiasi e senza più bisogno di sangue. 
Il dominio è "finalmente" accettato e metabolizzato!



EYES WIDE SHUT (critica di Alberto Arbasino):
PREMESSA- Il noto critico Arbasino la butta in erudita caciara, inutile quanto fuori luogo.
Finge (spero) di non aver capito una mazza dei simboli e degli archetipi presenti nell'opera del Maestro, anzi, ne prova così invidia per cotanta beltade, che preferisce sfregiarli, ritenendoli pomposi e invadenti, tronfi e addirittura surreali.
Arbasino gioca con le parole, che diventano dotte supercazzole, per quanto divertenti e stilose, ma tutto rimane in superficie, come fosse un duello privato tra lui e Kubrick.

- Il pomposissimo e pompatissimo film "Eyes wide shut" appare così velleitario e soporifero e vuoto perché non tenta mai di scoprire un linguaggio o stile appropriato alle situazioni surreali-oniriche ormai imprescindibili da Kafka in poi: le puttanelle in fondo agli uffici sono già tutte nel "Processo", mentre lo Scorsese-Village e il Natale nella Grande Mela, appartengono ai sottoprodotti della telenovela Déjà Vu. La solenne lentezza dei dialoghi insulsi già parrebbe intollerabile fra un "Prometeo" di Eschilo e una "Mirra" di Alfieri. Recitati fra un profilo di tucano e una faccetta meno espressiva del suo culo, e con un birignao da parodia, la cosa non può stare in piedi. Anche perché le morali ("ringraziamo le prove del destino" e "qui bisognerà scopare") sono poi la saggezza della nonna: "facciamo un voto a Padre Pio" e "un purgantino o un clisterino risolvono tutto, purché sia salvo il sacramento del Matrimonio". (E infatti Almodòvar risulta molto più bravo nella direzione delle attrici come nel sesso far out).
Nell'orgia di Villa Sade, i più antichi riconoscono il più tradizionale Wagner a Bayreuth: simmetrie di ammantellati compunti intorno al Monte di Venere con sirene e naiadi nel Tannhäuser, porcellonerie di Fanciulla-Fiori col Mago Klingsor in déco moresco nel Parsifal. E anche mille storiche regie di Margherita Wallmann alla Scala: dal Simon Boccanegra ai Due Foscari alla Turandot, con la caratteristica serva grulla che dona la vita per amore di un principotto tontolone. Noi spettatori politicamente impegnati vogliamo invece sapere se quell'orgia è di sinistra o di destra. A beneficio dei repubblicani o dei democratici? Con wasp, ebrei, mafiosi, multietnici? C'è almeno la Lewinsky?
Così, tornando mogi al racconto- base di Arthur Schnitzler (Doppio sogno, Adelphi, pagg. 132, lire 12.000) si riconosce subito quel tipico fenomeno che i vecchi pensatori viennesi sull'Arte definivano la Persistenza degli Archetipi. L'Ostinazione dei Topoi, la Tenacia del luogo Comune, la Longevità del Cliché e del Poncif. "Maritino e mogliettina piccolo-borghesi e lievemente birichini si lasciano tentare da una scappatella: parallela, speculare, simmetrica! (Come in un grafico da Teoria del Racconto). Rasentano, nella cosiddetta "sbandata", il piano inclinato della frivola civetteria... Lì lì sul punto di commettere una leggerezza... Ma dove siamo, signora mia? Ma mi faccia il piacere, dottore! Facciamo un minimo di mente locale, e la morale sarà: scappatella rientrata nell'angolo-cottura, benedetta verità sul divano-letto! Ti conosco, mascherina! Il maritino è un'assicurazione sulle rate dell'appartamento, e la mogliettina vale più di dieci cocottes!".
La mia generazione si è già divertita come una pazza su questi spassosi corsi e ricorsi di topoi. Già negli anni Quaranta la narrativa di seduzione ungherese, presentata da Bompiani e Corbaccio e Baldini & Castoldi, accarezzava l'immaginario delle signore, degli ufficiali, dei giovani. E la "commediola ungherese" trionfava nel cinema dei "telefoni bianchi", perché nei primi anni di guerra tutte le frivolezze e leggerezze di costume e di intreccio - benché smaccatamente parioline - andavano ambientate a Budapest. Dove la brillante e ammiccante Elsa Merlini - attrice triestina e dunque mitteleuropea -appariva spesso tentata da tipici seduttori ungheresi come Amedeo Nazzari o Nerio Bernardi (soprattutto dietro piazza Ungheria, con Maraschini di Zara), ma presto rientrava presso Renato Cialente, con la regìa per lo più di Camillo Mastrocinque.
E noi piccini irriverenti scoppiavamo a ridere in platea, riconoscendo in quei salottini budapestini i tipici pacchetti delle sigarette fasciste e le bottiglie dei whisky bolognesi e dei cognac autarchici. Ora, il racconto di Schnitzler è degli anni Venti, e dunque rivive nella Vienna sconfitta e impoverita del dopoguerra - come sogno, semplice o doppio o "a tortiglione" - il mito della Vienna scatenata e forsennata di mezzo secolo prima. Una capitale straripante di soldi e speculazioni e bancarotte e fortune immediate o sperperate, con folle di avventurieri da tutta l'Europa, pletore di spropositati intrighi, e un proliferare di perversioni vivacissime dai castelli dei granduchi agli appartamentini col cesso sul ballatoio.
La mirabile gigantesca mostra storica "Sogno e realtà 1870-1930", a Vienna nel 1985, illustrava che negli anni 1873-1874 (quindi molto prima di Klimt e della Secessione), fra crisi di Borsa ed epidemie di colera e trattati con lo Zar e il Kaiser e aperture di tramvie e acquedotti e policlinici e del Sacher Hotel, in pochi mesi nascono Schönberg e Hofmannsthal e Karl Kraus, lavorano Brahms e Bruckner e Mahler, arrivano Adelina Patti e il Sigfrido e la Carmen e Verdi col Requiem, ma soprattutto si rappresenta il Pipistrello di Johann Strauss, in cui tutta la città immediatamente e per sempre si identifica (malgrado il crac finanziario e tutte le successive batoste belliche). Quando Carlos Kleiber soleva dirigere il Pipistrello a Capodanno e a Carnevale, l'immedesimazione dionisiaca si palesava in tutto il teatro di spettatori già in abito da sera e in maschera e in subbuglio per i pranzi e i veglioni subito dopo, molto simili a quelli in corso sul palco girevole, con tutti i cantanti e i cori e i corpi di ballo in folle movimento.
E nell'operetta è poi un tipico ballo di demi-monde: come quello dei "fiaccherai" nell'Arabella di Hofmannsthal e Richard Strauss. Con le chances e le combinazioni e gli equivoci di un travestimento generale tutt'altro che "esclusivo" o chic. Anzi, siamo a livello di sgallettate e stracciacule. Il padrone di casa, un principe Orlofsky (mezzosoprano in pantaloni) apre le porte agli smandrappati: e quando si presenta una cameriera come "artista" era indimenticabile il "Künstlerin???" di Brigitte Fassbaender che aveva mangiato non una ma cento foglie. Però, malgrado la numerosa popolazione di Vienna capitale dell'Impero, il maritino in vena di scappatelle in chi incappa invaghendosi perdutamente? Ma proprio sempre nella sua mogliettina, anche lei in vena di evasioni, e non per nulla travestita da "contessa ungherese", e con quell'arma di seduzione laggiù che è la czarda magiara.
Così tutto rientra nell'ordine, come nei teatrini crepuscolari dove non è vero che l'erba del vicino è più verde. Al contrario, il fiore sotto gli occhi è più profumato degli altri. E non sai che tesoruccio hai lì! La stessa storia, paradossalmente, viene riraccontata da Arnold Schönberg in un imbarazzante atto unico, del 1929 circa, Von Heute auf Morgen ("Dall'oggi all'indomani") che fu anche diretto da Pierre Boulez a Santa Cecilia, col suo Ensemble e la specialista Susan Anthony, cinque anni fa. Questa è un'operetta austerissima, di una dodecafonia severissima, su una coppietta borghese e mondana che poi finì male: lui era Franz Schreker, sfottuto da Adorno e poi soppresso da Hitler perché compositore di "musica degenerata" di successo.
Tornando da un veglioncino nell'appartamentino i due rielaborano i rispettivi flirt della seratina, con ripicche e dispettucci reciproci, e birignao coniugali stucchevoli. Nei pochi metri quadri, il pupo non riesce a dormire; e arriva addirittura un gasista. Ma non come l'Anacleto gasista di Franco Parenti, brechtiano e strehleriano e defilippiano. Proprio un dipendente municipale noioso che non trova mai nessuno ai contatori dei poveracci. Ed ecco che i due flirt della serata telefonano dal bar all'angolo ("Hungaria"?) e poi salgono all'angolo-cottura con prospettive di scambi di coppie. Tutto sempre più squallido. La moglie si trucca la faccia, e il marito la trova stupenda senza neanche la czarda magiara del Pipistrello. Ma la bolletta del gas incombe. La mattina ci sarà da lavorare. Le vestaglie incalzano e le ciabatte sovrastano. Chi pagherà poi la bolletta del telefono bianco?
La piccola borghesia grava sulla dodecafonia. E così si va a nanna. Come ai tempi della Scapigliatura di Illica e Giacosa: "stasera al teatro della Canobbiana, sotto le coperte di lana". E il povero piccino, nel suo pigiamino: "Mami, sarebbe questa la gente moderna?". (E cosa risponderebbe Thomas Bernhard, più tardi?). In Schnitzler c'è ancora il mito (come più tardi nella "Histoire d'O") del fastoso castello dove i piccoli borghesi normalmente alle prese con bollette del gas e pedalini per il pupo si possono librare onirici nel lusso delle candele costose e delle carrozze senza tassametro, con musica gratuita, champagne e mangiare a volontà, e rituali dove anche un pompino mai sarà un mero pompino, bensì un affare più verboso di un'orazione di Bossouet e più coreografico delle "Indes Galantes". E dove tutti si ripetono, in costumi complicatissimi, come sono empi, turpi, sadici, viziosi, scellerati, diabolici.
Scopano - degenerati e chic - coi vampiri, coi dromedari, con le zanzare. E come le anime semplici fanno lo scopone col morto, così loro degustano le scopate con le morte: mamme e nonne e zie e prozie di Georges Bataille, come a un buffet freddo. Ma sono pieni di complessi e tabù riguardo alla trasgressione più perversa: non lo prendono nel sedere. Lì scatta il bon ton. A tutto c'è un limite, signora mia. -



3 commenti:

  1. Secondo me, le più corrette (e stupefacenti) interpretazioni dei film di Kubrick, sono quelle del musicologo Giuseppe Rausa.

    Sviscerate dal punto di vista storico, esoterico, massonico, musicale, di cinema tout-court.

    K. ha piano piano svelato, con i suoi film, il (quasi) VERO POTERE.
    Sotto tutti gli aspetti: militare, politico, di manipolazione di massa (MK-Ultra in Arancia meccanica, esempio) e altro.

    Il "vero potere", ma solo quello (in EWS) dei più alti ESECUTORI, un gradino appena sotto ai veri detentori del potere sull'Uomo.
    E qua ci si avvicinerebbe alla demonologia.

    Ma non ha avuto il tempo ed è stato messo a tacere, ammazzandolo.

    Il film, per la fase finale, è stata montato che era già morto e sicuramente (opera comunque eccezionale e rivelativa), lui vivo, non sarebbe terminato in quel modo così insulso e fuorviante.

    Qui sotto il link riguardo Eyes Wide Shut, ma occorre leggere tutte le recensioni in ordine cronologico. Possibilmente dopo aver visto tutti i film.
    (Sulle baggianate del trombone in coda all'articolo, neanche spreco il mio tempo).

    http://giusepperausa.it/eyes_wide_shut.html

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  2. Conosco bene, un grande, il mio preferito. Lo pubblicai anche sul mio blog tanti anni fa... https://maestrodidietrologia.blogspot.com/2010/06/il-mondo-di-shining-di-giuseppe-rausa.html

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  3. I credenti religiosi parlano di demoni, i praticanti sciamani di ciò, o meglio chi in questo caso, vedono nei loro viaggi.
    Come ho spesso scritto, Gurdjieff diceva il giusto quando diceva che siamo "cibo per la Luna".
    È così. Tutto parte da lì da almeno 10.000 anni, ovvero da quando esiste la luna, più o meno 12.000.
    Queste entità, proprio come i demoni, non hanno un corpo fisico se non quando appaiono a noi. Ma sono una razza aliena, che io definisco "squatter" lunari, in quanto si sono piazzati lì senza permesso degli abitanti degli altri pianeti (gli abitanti di "Marte" in primis, che usavano la luna come base di osservazione e atterraggio). Sono spietati, appaiono brutti, alti e sono particolarmente furbi. O meglio, lo sembrano perché intortano l'umanità da millenni, specie le élite che li considera divinità ma non lo sono affatto.
    I ricconi si fanno possedere da loro attraverso rituali dai lunari stessi creati, tutte buffonate come nel film di Kubrik appunto, con simbologie archetipiche e maschere, ma il tutto è solo un teatrino con cui tengono gli imbecilli ricchi incatenati a loro.
    Hanno promesso alle élite che in caso di catastrofe planetaria li andranno a prendere per salvare loro la vita.
    Altra buffonata ovviamente.
    Campano delle nostre paure, delle nostre basse energie. Siamo il loro bestiame, ci usano come noi usiamo gli animali.
    La soluzione? Praticamente discipline spirituali vere, che eliminino paure, ego, distruggano convenzioni e convinzioni perché tutto deriva da loro, tutto, specie le masturbazioni mentali quotidiane.
    Azzerare i pensieri, in primis quelli molesti. Diventare i protagonisti del nostro videogioco cosmico e non restare pedine di altri.
    A me hanno detto che a fronte di un'anima che non è loro fonte di cibo, ne hanno miliardi da cui attingere. Ridendo.

    Ognuno di noi può salvare solo sé stesso, e con questo intendo l'anima che è, non il corpo che la riveste.
    Da quel punto di vista siamo già tutti spacciati, inutile perdere tempo.
    Il tempo è finito.

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