sabato 11 gennaio 2025

IL RITORNO DELLE TRIADI CINESI (ARTICOLI, CASI INTERNAZIONALI, CONNESSIONI) parte 4°





https://www.corriere.it/economia/leconomia/18_luglio_03/famiglia-li-piglia-tutto-wind-3-diventa-completamente-cinese-64568216-7e99-11e8-9a5a-8ee160d32254.shtml?refresh_ce-cp

Triade nella telefonia La famiglia Li piglia tutto, Wind 3 diventa completamente cinese. Il 50% del capitale residuo del primo operatore mobile italiano passa a Ck Hutchison per 2,45 miliardi di euro. «Investiremo nel futuro digitale dell’Italia». Chi vende è la russa Veon, ex Vimpelcom, per ridurre i debiti.

Nuovi equilibri dopo l’ingresso di Iliad
Era un patto equo, metà ai cinesi e metà ai russi. Ora Pechino prende tutto: Wind 3, la prima società di telefonia mobile in Italia (e tra le prime nel fisso con il marchio Infostrada), concorrente di Tim e Vodafone, guidata da Jeffrey Hedberg dopo l’uscita di Maximo Ibarra nell’aprile 2017, diventa una controllata al 100% della Ck Hutchison della famiglia Li. Il colosso di Hong Kong partecipato dalla famiglia del magnate novantenne Li Ka Shing — il suo patrimonio personale è stato stimato da Forbes in 36 miliardi di dollari, ha passato in marzo il testimone al figlio Victor di 53 anni — ha annunciato oggi di avere raggiunto un accordo per rilevare, per 2,45 miliardi di euro, il restante 50% dell’operatore italiano Wind Tre dalla russa Veon, ex Vimpelcom. Che ha motivato la cessione con la necessità di ridurre il proprio debito.

I tempi
La transazione potrebbe concludersi nel terzo trimestre del 2018, secondo il comunicato della casa madre cinese «Sarà immediata e fortemente positiva sia per gli utili che per il flusso di cassa per azione di Ck Hutchison», dice una nota della conglomerata di Hong Kong. «Siamo lieti - dice Canning Fok, co-managing director di Ck Hutchison - di diventare gli unici proprietari di Wind Tre, che ci offre la piattaforma più forte possibile per aumentare il valore per i nostri azionisti». Il gruppo cinese, prosegue il comunicato, «spera di continuare a investire nel futuro digitale dell’Italia, a vantaggio dei consumatori e delle imprese di tutto il Paese». Veon ha detto che impiegherà i proventi della vendita per «acquistare gli asset di Global Telecom Holding in Pakistan e Bangladesh». Per completare l’accordo servono le approvazioni regolamentari in Ue e in Italia.
Ck Hutchison diventa così «l’unico proprietario di un importante operatore di telecomunicazioni mobili in un mercato interessante» come quello italiano, dichiara il gruppo. Dove fra l’altro è appena sbarcato il nuovo concorrente dei big, la Iliad di Xavier Niel, che ha preso in affitto proprio la rete di Wind Tre (in ottemperanza agli accordi con l’Antitrust europeo ai tempi della fusione tra Wind e Tre, nel 2016) e sta scuotendo gli equilibri con prezzi molto concorrenziali. Per Victor Li, erede di un impero da 100 miliardi che spazia dai porti più grandi del mondo alla telefonia, l’impegno a consolidarsi in Italia è evidente. Il gruppo Huchison sceglie un Paese occidentale pieno, a tecnologie avanzate, mentre l’ex socio Veon spinge sui mercati come Pakistan e Bangladesh. Pe Wind Tre sono già in cantiere nuove offerte commerciali, a partire dalla nuova impostazione chiamata “Prezzo vero”, la cui campagna pubblicitaria è in arrivo.

https://ilmanifesto.it/cina-xi-jinping-mette-la-mafia-nel-mirino/

Cina, Xi Jinping mette la mafia nel mirino
Cina. Dopo la durissima campagna anti corruzione adesso è il turno delle triadi. 
Il presidente cinese così promette di «schiacciare le mosche» che ostacolano la lotta contro la povertà in Cina.
Dalla corruzione al crimine organizzato. La campagna lanciata cinque anni fa da Xi Jinping per ripulire il Partito comunista dagli elementi dissoluti estende il proprio raggio d’azione arrivando «a scavare in profondità» nelle viscere del malaffare. 
Il virgolettato è mutuato dal documento rilasciato dal Comitato centrale del Pcc e dal Consiglio di Stato a fine gennaio: «Notifica sulla lotta speciale condotta per spazzare via le gang criminali e debellare il male».
Avviata dal presidente cinese, la nuova campagna antimafia coinvolgerà 30 organi statali e di Partito con lo scopo conclamato di rafforzare la legittimità della leadership e ravvivare la fiducia del popolo nei confronti dei vertici del potere. Partendo dal basso, però. 
Secondo il comunicato, infatti, la lotta contro le triadi – le organizzazioni criminali cinesi di stampo mafioso – aiuterà a «schiacciare le mosche», i funzionari di rango inferiore che operano a livello di contea e villaggio.
Quelli tradizionalmente meno inclini ad allinearsi alle politiche del governo centrale e con cui i cittadini si trovano a trattare quasi quotidianamente, mentre «le tigri» (gli alti papaveri) rimangono celebrità da notiziari della Cctv. Facile intuire l’esistenza di un nesso con la lotta alla povertà, l’altro cavallo di battaglia con cui Xi punta a conquistare legittimità agli occhi del popolo.
Negli ultimi anni, 970 persone sono state arrestate per aver utilizzato in maniera impropria parte dei 30 miliardi di dollari stanziati per liberare 70 milioni di cinese dallo stato di povertà entro il 2020. Non a caso la missione della campagna anticrimine è duplice: «assicurare la stabilità del paese» e «chiarire chi è a favore o contrario» al Pcc (che oltre la Muraglia si sovrappone allo Stato) nel consolidamento del potere politico grass-root. 
Si capisce come il miglioramento della qualità della vita sia un fattore collegato al mantenimento della stabilità sociale.
Secondo quanto riferito a stretto giro da Guo Shengkun, segretario della Commissione per gli Affari politici e legali, a finire nel mirino saranno soprattutto il gioco d’azzardo, la pornografia, il contrabbando di stupefacenti, il traffico di esseri umani, e le vendite piramidali. Tutte quelle attività che, come spiega l’agenzia statale Xinhua, si avvalgono dei vuoti normativi per sfruttare i settori della logistica e dei trasporti attraverso società di comodo regolarmente registrate. Nessuna pietà nemmeno per le aziende che concedono prestiti con interessi usurai, piaga sociale nell’era della finanza online. Un altro elemento di instabilità agli occhi del Partito.
Come spiega il People’s Daily, in realtà il giro di vite nei confronti della criminalità era partito nel gennaio 2016, quando la Procura suprema aveva ordinato di sconfiggere le triadi nei villaggi. Da allora, solo nella provincia del Guangxi 1.200 persone sono state perseguite penalmente per il loro coinvolgimento nella mafia locale, mentre a Xiongan – la nuova zona economica dello Hebei voluta da Xi come contraltare settentrionale a Shanghai – un bizzarro piano richiede ad ogni contea di gestire almeno un caso criminale al mese.
«Gli uffici di pubblica sicurezza locali devono rendere noti i loro numeri di cellulare al pubblico in modo che i residenti possano denunciare i crimini», spiega il China Daily mettendo in evidenza l’altro elemento cardine: la partecipazione popolare che in Cina vanta un lungo trascorso di delazioni più o meno spontanee, dai baojia di epoca Song (sistema comune di applicazione delle leggi e controllo civile su base famigliare) alle denunce della Rivoluzione Culturale fino alle soffiate delle migliaia di volontari che tutt’oggi vigilano su Pechino con una fascia rossa al braccio.
A frugare bene tra le pieghe della storia recente di yanda («colpire duro») si torna a parlare fin dagli anni ’80, quando Deng Xiaoping varando le prime riforme economiche mise bene in chiaro che nessuno, per quanto di nobili natali, sarebbe più stato al di sopra della legge. 
A farne le spese fu il figlio del generale Zhu De – un «principino» comunista – mandato al patibolo per teppismo all’età di 25 anni. 
Seguirono le campagne nazionali del 1996, 2001 e 2010, annus horribilis contraddistinto da una lunga scia di omicidi ai danni di bambini, anziani e disabili. Ma è nella defilata megalopoli del sud-ovest, Chongqing, che nel 2009 si è assistito alla più clamorosa «caccia alle streghe», fruttata 5,000 arresti e la confisca di beni per oltre 473 milioni di dollari in soli dieci mesi.
È proprio con lo slogan «spazzare via il nero» che l’allora capo del Partito locale Bo Xilai conquistò l’approvazione della pancia del paese. E poco importa se le incarcerazioni furono il frutto di torture e confessioni forzate indirizzate contro avversari politici. 
Dal 2013 Bo si trova dietro le sbarre – ufficialmente – con l’accusa di corruzione, appropriazione indebita e abuso di potere. Ma il suo modello, a base di populismo rosso e anticrimine, vive anche in alcune iniziative autografate da Xi. 
Ci si chiede se questo valga anche per le modalità spietate e la natura politica delle operazioni anticorruzione, da tempo descritte sulla stampa internazionale come un regolamento di conti declinato al rafforzamento dello strapotere nelle mani di Xi, l’unico leader dai tempi di Mao ad aver visto il proprio nome comparire nella costituzione del Partito mentre è ancora in vita.
Sebbene il recente comunicato vieti i metodi coercitivi nelle indagini e anteponga la presenza di prove schiaccianti alla risoluzione dei casi, la traiettoria altalenante con cui procede la riforma del sistema giudiziario annunciata durante il IV Plenum giustifica le molte alzate di sopracciglio.
A preoccupare è l’imminente istituzione di una Commissione nazionale per la supervisione incaricata non più soltanto di valutare l’operato dei 90 milioni di iscritti al Partito – come l’attuale commissione disciplinare – ma anche tutti i dipendenti pubblici. 
Quindi funzionari governativi ma anche medici, insegnanti e impiegati nelle aziende statali. Stando alla bozza della legge che ne regolerà il funzionamento, la nuova agenzia non solo opererà al di sopra della Corte Suprema e della Procura Suprema del popolo, ma non sarà nemmeno soggetta al controllo del Consiglio di Stato.
Un aspetto che per il Nikkei ridimensionerà la figura del premier Li Keqiang, già svuotata con la creazione di team dal taglio economico alla cui guida siede proprio Xi. 
La notizia cattiva è che se la Commissione svolgerà un ruolo attivo nella nuova campagna antimafia difficilmente si procederà verso una maggiore trasparenza dei processi decisionali.
Quella buona è che forse l’assolutismo del lider maximo faciliterà la rimozione delle sacche di resistenza a cui viene attribuito il rallentamento delle riforme. 
Se poi a cadere nella rete sono pretendenti al «Trono di Spade» tanto meglio. 
D’altronde, era ancora il 2015 quando la rivista Caijing metteva a nudo i legami tossici tra le triadi e il governo dello Shanxi, una provincia ricca di carbone nonché feudo politico di Ling Jihua, una delle «tigri» corrotte ingabbiate da Xi.


https://it.wikipedia.org/wiki/Ren_Zhengfei

Ren Zhengfei (Guizhou, 25 ottobre 1944) è un imprenditore cinese, fondatore e presidente della multinazionale cinese Huawei, con sede a Shenzhen, il più grande produttore al mondo di apparecchiature per le telecomunicazioni e il secondo produttore di smartphone dietro Samsung. Secondo Forbes, nel 2019 è l'83° uomo più ricco della Cina con un patrimonio di 1,7 miliardi di dollari.
Nasce a Guizhou, in Cina. Il nonno proveniva dalla provincia di Jiangsu ed era un maestro chef esperto nella cura del prosciutto nella vicina provincia di Zhejiang. Il padre, Ren Moxun (cinese: 任 摩 逊 , pinyin: Rén Móxùn), studia all'università ma la lascia e emigra durante l'occupazione giapponese a sud, a Guangzhou, per lavorare come contabile in una fabbrica di armi del governo del Kuomintang. Dopo il 1949 il padre è nominato presidente della scuola media numero 1 di Duyun (cinese: 都匀 一 中) dove incontra la madre di Ren Zhengfei, insegnante nella stessa scuola media. Nel 1958 l'anziano Ren diventa membro del Partito Comunista.
Il giovane Ren inizia a frequentare nel 1963 la Chongqing University laureandosi in ingegneria civile. Dopo la laurea lavora nel settore fino al 1974, anno in cui entra (non per vocazione ma solo perché ai tempi della Rivoluzione culturale non c'era altro lavoro) nel genio militare nell'unità di ricerca Information Technology dell'Esercito popolare di liberazione (PLA), dove ottiene il ruolo di vicedirettore, l'equivalente del vicecapo ma privo del rango militare. Il suo primo compito: far funzionare una fabbrica di tessuti sintetici gestita dai militari. Con risultati anche positivi: riesce a replicare un apparecchio per il controllo di qualità in modo tale da rendere possibile una buona produzione. Come premio nel 1978 viene invitato alla Conferenza Nazionale della Scienza e nel 1982 al 12º Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese.
Smobilitato dall'esercito nel 1983, quando il governo scioglie il reparto del genio nella base di servizio logistico della Shenzhen South Sea Oil Corporation, l'ingegnere Ren si trasferisce a Shenzen e si mette in proprio, piazzando centraline telefoniche nella zona, all'epoca ancora circondata dalla campagna. E dal momento che i topi mangiavano i cavi facendo saltare le linee, ha l'idea di utilizzare i cavi militari molto più robusti e decisamente inattaccabili.

Huawei
Nel 1987 fonda così Huawei Technologies Co. Ltd con 21.000 yuan, l'equivalente all'epoca di circa 5.000 dollari statunitensi. Nel 1988 ne diventa l'amministratore delegato. Richard McGregor, autore del libro The Party: The Secret World of China's Communist Rulers, sostiene che la società abbia ricevuto all'inizio un forte supporto statale per il suo sviluppo.
La rivista Time include Ren Zhengfei nella sua lista delle 100 persone più influenti del 2005. Ren è presidente della società ma non ne è l'amministratore delegato, carica a rotazione.
La società ha registrato un fatturato annuo di 92,5 miliardi di dollari USA nel 2017. Ren detiene l'1,42% delle azioni di Huawei, valutato 450 milioni di dollari nel 2010.[10] Huawei è essenzialmente indipendente da Ren in quanto detenuta da dipendenti, ma la struttura proprietaria rimane opaca.

Partito comunista e legami militari
I legami di Ren con il Partito comunista e militare cinese sono stati citati dal governo indiano come una preoccupazione per la sicurezza nel non permettere a Huawei di vincere determinati contratti in India. Questi timori sono condivisi da altri paesi. Negli Stati Uniti ha portato al crollo degli sforzi di Huawei di acquistare 3Com e ha costretto SoftBank a interrompere i legami con Huawei al fine di ottenere l'acquisizione di Sprint Nextel da parte degli Stati Uniti, mentre nel Regno Unito il Comitato di Intelligence e Sicurezza ha raccomandato la rimozione delle apparecchiature di Huawei a causa di timori di spionaggio. I timori si estendono anche al 5G.

Vita privata
Sposato tre volte. La prima moglie di Ren era Meng Jun, figlia di Meng Dongbo, ex vice governatore della provincia di Sichuan. Hanno avuto due figli: la figlia Meng Wanzhou e il figlio Meng Ping, entrambi titolari del cognome della madre. La figlia maggiore, Meng Wanzhou, è vicepresidente e CEO di Huawei. Anche il fratello lavora nell'azienda. Dopo il divorzio, Ren ha sposato Yao Ling, da cui ha avuto un'altra figlia, Annabel Yao, che ha 25 anni meno di Meng Wanzhou. Annabel è una studentessa di informatica all'Università di Harvard, è appassionata di ballo classico e ha fatto un debutto di alto profilo al Bal des Débutantes di Parigi nel 2018. Nessuno dei tre figli porta il suo cognome, tutti hanno deciso per quelli delle madri. Ren si è sposato per la terza volta con Su Wei, sua ex segretaria.

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