giovedì 19 giugno 2025

LA ROSA DI GARLASCO




Il 13 agosto 2007 viene uccisa Chiara Poggi, una ragazza residente a Garlasco. Viene successivamente incolpato del delitto il suo fidanzato Alberto Stasi. Inizialmente assolto in primo e secondo grado, fu ritenuto colpevole nella revisione del processo. Nel 2015, la sentenza divenne definitiva a seguito del pronunciamento della Corte di cassazione. Sembra il classico omicidio passionale di una relazione tossica, peccato che manchino sia il movente, sia l'arma del delitto, come spesso accade in tanti simili casi mediatici. In realtà, come vedremo, questa storia è particolarmente complessa ed articolata. Intanto, fu lo stesso Stasi ad avvertire i carabinieri del decesso della ragazza, morta tra le 10.30 e le 13 di quel tragico 13 agosto, ed è stato appurato che fino alle 12.30 lavorò alla sua tesi di laurea continuativamente davanti al computer di casa, quindi, già questo dato scagionerebbe il fidanzato. Dopo aver chiamato ripetutamente Chiara senza ricevere alcuna risposta, Alberto Stasi si reca a casa di Chiara Poggi e risultano altre due chiamate dal suo cellulare, di cui l'ultima alle 13.45. Scavalca il muretto della villa e scopre il corpo di Chiara, tra pozze di sangue e tracce ematiche sulle pareti. Alle 14 chiama il 118 e poi arrivano i carabinieri poco dopo.

Alberto Stasi se fosse stato l'assassino, probabilmente, non avrebbe chiamato nessuno e sarebbe corso a lavarsi accuratamente, buttando i vestiti molto lontano dal luogo del delitto. Invece, non risulta fosse sporco di sangue, e ben sappiamo che dopo una violenta colluttazione con la vittima, il suo corpo ed i suoi abiti sarebbero stati lordi di sangue. Questo banale ma centrale particolare pare non interessare a nessuno, quando dovrebbe essere un dato oggettivo fondamentale da esaminare. Invece, ci si concentra sulle sue scarpe, se le avesse cambiate o meno, sui pedali della bicicletta ed altre amenità del genere, ma nessuno chiede come possa l'assassino, dopo una mattanza simile, non aver alcuna traccia ematica e dove avrebbe nascosto l'arma del delitto. Fino a questo punto sembra una storia come tante, una tragedia familiare dove il probabile colpevole è il malcapitato che ha trovato per primo il cadavere e dove a nessuno importa approfondire la faccenda. Peccato che dal quel momento in avanti si aprono i cancelli dell'inferno ed entrano in gioco diverse persone ed intricate storie parallele che si perdono in un labirinto senza fine. Poco alla volta, appaiono come d'incanto tanti, troppi personaggi in cerca d'autore. Amici, parenti, Don Gregorio Vitali accusato di pedofilia e abusi sessuali, il santuario della Bozzola dove, pare, accadessero dei riti strani e dove agisse indisturbata una psicosetta della quale sappiamo ancora troppo poco e che viene sempre menzionata a latere. Suicidi, suicidati, strane morti, vicini uccisi, tutti nella stessa zona e collegati più o meno direttamente alla vittima. Una sorta di Twin Peacks all'italiana, dove la morte della povera Chiara sembra solo un tassello di una vicenda molto più complessa.

Secondo il parere del regista e giornalista Luigi Grimaldi, la vittima comunicava tramite un telefono diverso con un misterioso interlocutore. “Il telefono del detective squillò Dreen. 4146, una soffiata”. Sotto, una nota in un’altra grafia: “Sei fuori come un Dreen”. 
Chiara aveva l’abitudine di appuntarsi frasi e questa parla di telefoni, di una soffiata.  
C’è quel numero: 4146. Un codice usato da enti pubblici con addebito diretto al ministero. Una cosa da addetti ai lavori, non da ragazze di provincia. 
Non lavorava per lo Stato, ma aveva raccolto, nella sua famosa chiavetta USB, materiale inquietante: abusi su minori, violenze, omicidi irrisolti, e persino appunti sulla cocaina. 
Poi c’è il legame oscuro con quella presunta setta satanica attiva da anni a Garlasco e dintorni. L’ingegner Roberto Porta, perito del tribunale, ha confermato a Grimaldi che se Chiara avesse usato una SIM diversa nel suo Nokia blu, sarebbe stato possibile tracciarla solo se nota agli inquirenti. 
Una SIM ignota in un telefono ignoto non può emergere dai tabulati. 

Nel corso delle indagini parallele svolte dai due legali, emergono circostanze apparentemente scollegate dal delitto, ma ricorrenti nel territorio. 
Otto suicidi, tra il 2008 e il 2014, avvenuti in circostanze anomale tra Garlasco e comuni limitrofi, suscitano l’attenzione dell'avvocato Bocellari, difensore di Stasi. 
Tra questi, il caso di un’anziana madre uccisa in modo mai chiarito, il suicidio di un ragazzo vicino alla cerchia di Chiara, e altri episodi la cui dinamica solleva più domande che certezze. In alcuni casi, le modalità della morte lasciano sospettare un contesto ritualistico o comunque non riconducibile a gesti isolati. 
La denuncia della Bocellari si arricchisce di dettagli inquietanti: su Facebook, due persone si mettono in contatto con lei per avvisarla che le sue ricerche «stanno toccando ambiti pericolosi, collegati al satanismo». Una di queste, che si presenta come veggente, le avrebbe suggerito cautela, paventando minacce implicite e collegamenti tra il caso Garlasco e ambienti oscuri. L’altra, residente a Milano, aveva fissato un appuntamento con l’avvocata, salvo poi annullarlo improvvisamente. Entrambi i profili sono stati riferiti alle autorità, insieme ai messaggi ricevuti.
L’avvocato Bocellari, pur non avanzando accuse esplicite, lascia intendere un possibile filo rosso tra le morti inspiegabili e l’omicidio di Chiara Poggi. 
Tra le morti su cui gli inquirenti stanno cercando nuovi riscontri spiccano tre episodi: il suicidio del medico Corrado Cavallini, che aveva in cura Andrea Sempio e si sarebbe iniettato una sostanza letale nel 2012. Quello del meccanico Giovanni Ferri, trovato con i polsi e la gola tagliati dopo aver, secondo alcuni testimoni, incontrato Chiara Poggi la mattina della sua morte. In particolare, la vedova di Ferri non ha mai creduto all’ipotesi del suicidio, sostenendo pubblicamente l’idea di un silenziamento legato a conoscenze scomode. Infine, un amico d'infanzia di Sempio, Michele Bertani, morto impiccato nel 2016.

Potrebbero nascondersi messaggi in codice anche nei post pubblicati su Facebook da Michele Bertani. La sua pagina da nove anni è rimasta aperta, quindi accessibile a tutti.
"La Verità Sta Nelle CoSe Che NeSSuno sa!!! la Verità nessuno mai te la racconterà", scriveva citando una canzone dei Club Dogo il 19 gennaio 2016 Bertani, che su Facebook era registrato come Mem He Shin, espressione che nella mistica ebraica richiama il quinto nome di Dio. Utilizzando la Cabala si è scoperto che quel messaggio potrebbe nasconderne un altro.
Luigi Grimaldi ha svelato che, se si eliminano le lettere maiuscole, le minuscole rimaste - a eria' ta elle oe he euno sa -, trasmutate nell’alfabeto ebraico, formano la frase che tradotta in italiano significa "C'era una ragazza lì che sapeva".
Non è certo l'unico post in cui Bertani scrive alternando lettere minuscole e maiuscole. 
Il giorno precedente, il 18 gennaio 2016, il ragazzo ad esempio scriveva sulla sua bacheca Facebook "?..in tHe CanTinE work in progress...". 
Sembra quasi la trama di "Todo Modo" di Elio Petri, dove veniva scoperto un codice che svelava i nomi relativi alle morti dei vari personaggi all'interno del bunker eremo Zafer. 
Una sorta di anagramma che andava a formare la frase: "Todo modo para buscar la voluntad divina".

Si arricchisce di importanti dettagli l'ipotesi avanzata dall'avvocato Massimo Lovati di Andrea Sempio, indagato per omicidio in concorso con ignoti. Secondo il principe del foro di Pavia, un decano delle toghe, la verità non riguarda il suo assistito e nemmeno Stasi.
"Non c’entrano né Andrea Sempio, né le gemelle Paola e Stefania Cappa, né i vari nomi che stiamo sentendo in questi giorni: è solo fumo negli occhi", spiega il legale intervistato da Mattino 5. L'avvocato che insieme alla collega Angela Taccia difende l'allora 19enne amico di Marco Poggi, fratello di Chiara, ribadisce la tesi del "sicario". 
Chiara, "è stata uccisa da un solo killer, un omicida che fa riferimento a una massoneria internazionale, un’organizzazione criminale dedita al traffico di esseri umani e alla pedofilia". Uno scenario sconcertante che si collega a una delle piste più suggestive e misteriose del giallo di Garlasco, quello che accadeva al Santuario della Bozzola, luogo a pochi chilometri dalla villetta di via Pascoli e frequentato tanto dai Poggi quanto, secondo alcuni testimoni, dallo stesso Sempio.

Con tutti questi riferimenti è chiaro che la vicenda presenta ben altri aspetti e non certo quelli presentati e discussi inutilmente per anni sui media. Abbiamo visto e continuiamo a vedere cosiddetti esperti, criminologi, giornalisti parlare di fuffa di gossip, di sciocchezze, depistando forse inconsapevolmente, chissà, facendo distrazione di massa, soprattutto, evitando di approfondire certe tematiche scomode, glissando puntualmente su certi argomenti. 
Invece, il filo rosso della matassa che si sta dipanando, sembra portare altrove. 
Perché nessun giornalista dedica una sola delle infinite trasmissioni del caso Garlasco a questa fantomatica organizzazione criminale, legata alla massoneria internazionale, dedita alla pedofilia e agli omicidi rituali? 
Perché si continua a parlare di pedalini, di mutandine, di rapporti amorosi e gelosie annesse, di ricostruzione addirittura in 3D della villetta, come fossimo tutti seduti al bar, bypassando tutta la mole di materiale e testimonianze che portano a scenari decisamente più inquietanti e pericolosi? Perché questa continua omertà, comune a quasi tutti gli omicidi mediatici, che diventa poi becera narrazione che fa presa sulla psicologia di massa?
Ecco, lo scenario dietro alle quinte, pare interessare pochi ricercatori, mentre la criminologia ufficialista latita e si perde tra le pareti del labirinto. 
La cosa ancora più inquietante è che in carcere poi finiscono palesi capri espiatori, ignari di cosa passa sulle loro teste, vittime che si aggiungono ad altre vittime, un orrore dopo l'altro. Se domani esce Alberto Stasi, con tante scuse per avergli rovinato la vita, ci sarà un nuovo capro espiatorio come Sempio, e il mostro di turno sarà servito sulla tavola di un pubblico sempre più in astinenza da rogo, con annessi dibattiti degni del peggior depistaggio o, forse, della loro migliore propaganda. 
Perché qui si celebra un sistema che, talvolta, necessita di offrire all'oracolo le vittime designate, sia quelle uccise, sia quelle innocenti che dovranno pagare colpe non loro.
Il labirinto di Garlasco è un mistero senza fine, perché non c'è alcuna volontà di raggiungere il centro dove giace una bella rosa che non appassisce mai, fresca come appena colta, profumata e di colore rosso. Nascosta agli occhi dei sudditi di questo regno di cartapesta, ma così evidente che, forse, è sempre rimasta fuori dal labirinto o sopra di esso, senza ce ne accorgessimo, davanti ai nostri occhi, mentre tutti noi ci siamo persi nei suoi meandri e non troviamo la via d'uscita.



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